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Don Aniello Manganiello: I miei sedici anni a Scampia

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

25
MAG
2012

 

Nel suo libro “Gesù è più forte della Camorra”, la testimonianza del prete di strada che ha combattuto la camorra e portato speranza nell'inferno della periferia napoletana
 
“Come mai questi camorristi, pur vedendo amici ammazzati con ferocia e pur convivendo con la morte sin da piccoli, non smettono di vivere nell’illegalità? Me lo sono sempre chiesto benedicendo quelle salme, e la mia risposta è che nessuno aveva mai aiutato quei ragazzi perché la loro esistenza era considerata senza alcun valore”.
Questa amara considerazione, riportata sulla quarta di copertina del libro “Gesù è più forte della Camorra” è del suo autore, don Aniello Manganiello, padre guanelliano ed ex parroco a Scampia, popoloso e popolare quartiere “difficile” della periferia napoletana.
Ospite, lo scorso 22 maggio, del Presidio del Libro di Taranto Rosa Pristina, don Aniello Manganiello ha presentato il suo libro, scritto in collaborazione con il giornalista Andrea Manzi, presso la Chiesa del Carmine di Taranto alla presenza del parroco mons. Marco Gerardo e del Presidente del Tribunale di Taranto dott. Antonio Morelli.
Divenuto mediaticamente noto per alcune apparizioni televisive, tra cui una celebre intervista all’inviato delle Iene Giulio Golia, don Aniello Manganiello è un personaggio scomodo, fuori dagli schemi, amato dalla sua gente e spesso osteggiato dalle alte cariche ecclesiastiche.
Sin dal primo giorno a Scampia, don Aniello dà conforto aiuto ai malati di Aids e ai tossicodipendenti, conduce importanti battaglie sociali a favore di famiglie troppo frettolosamente etichettate come malavitose, visita le case di camorristi veri, ascoltandoli e ottenendone la fiducia. Talvolta assiste persino a loro conversioni e ripensamenti radicali. Con questi metodi, però, diventa ben presto un personaggio scomodo: nel quartiere di Scampia è oggetto di continue minacce. Si fa nemici nell’Amministrazione comunale e all’interno degli uffici ecclesiastici, accusati di non essere sufficientemente impegnati dalla parte dei più deboli.
Nel 2010, infatti, dopo l’ennesimo scontro e nonostante le raccolte firme, le fiaccolate e le petizioni di duemila fedeli, la Congregazione dei padri guanelliani decide di allontanare don Aniello dal suo quartiere e dopo 16 anni  passati a svolgere la propria missione apostolica in un territorio difficile come Scampia, riportarlo a Roma in una parrocchia del borghese quartiere Prati, dove il prete aveva già operato per anni. Ufficialmente per “motivi di avvicendamento”, il trasferimento è per molti motivato da cause ben diverse. Don Aniello non ha paura di alzare la voce contro la camorra: “I boss sostengono le famiglie, pagano perfino le cure odontoiatriche e oculistiche. Quando le donne aggrediscono polizia e carabinieri durante un blitz lo fanno […] anche perché il clan è una sorta di società per azioni che fornisce di che vivere”. Il prete anticamorra ha denunciato piazze di spaccio e ha strappato al “sistema” tantissimi giovani, rifiutandosi persino di dare la comunione ai camorristi e di battezzare i loro figli. Una forte e coraggiosa presa di posizione che gli è costata le minacce della camorra. Dopo il clamore suscitato dal suo trasferimento, don Aniello si è concesso un anno sabbatico ed è tornato a casa per riflettere.
Per sua stessa ammissione don Aniello è “stanco dei tanti attacchi” di chi lo “accusa di aver cercato la fama e il successo attraverso i media, affermando che le minacce sarebbero solo delle invenzioni”.
Il prete di Scampia, per il quale la legalità dovrebbe essere il presupposto di ogni ideologia politica, non ha mai nascosto le sue simpatie:  “Per la destra, delle quali non mi sono mai vergognato”. Trasparente la sua amicizia con il presidente della camera Gianfranco Fini che più volte l’ha difeso dagli attacchi dell’ex sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino.
Per don Aniello “oggi la Chiesa ha perso la sua vocazione ad essere sale, luce, ad impegnarsi per la giustizia. Il clero si è assuefatto ad una mediocrità scandalosa”.  
Nel suo libro definisce la sua una anticamorra “delle opere, del contagio dell’esempio, dell’intervento concreto; un’anticamorra discreta che ha più effetto però di una grande campagna mediatica, perché nel suo Dna c’è il potere seduttivo della verità. Perciò, per risultare credibile, la lotta alle mafie non può essere un lavoro ma deve essere una missione, un’opera generosa e gratuita”.
Forte la critica nei confronti della Chiesa napoletana,  accusata “di essere molto più sensibile agli equilibri di potere, ai rapporti istituzionali di vertice, alle relazioni diplomatiche con politici spesso compromessi con poteri oscuri che alla vicinanza effettiva con la gente”.
Nel libro presente anche un capitolo dedicato allo scrittore Roberto Saviano. Pur apprezzando il valore civico del libro Gomorra, don Aniello condanna la sua trasposizione cinematografica in quanto non lascierebbe alcuna speranza. A Saviano dice che “non basta la denuncia, ma che occorre lottare per offrire nuove condizioni di vita, bonificare vaste aree, creare posti di lavoro, offrire alternative, diffondere la cultura, magari tenendo aperte le scuole fino alla sera”.
Tutto questo per far sì che per gli “intruppati” della Camorra, come don Aniello li chiama, che desiderassero cambiar vita, si possa portare sì la Parola del Vangelo, ma anche un aiuto a trovare sistemi di sostentamento onesti. Perché, come ha insegnato il beato Guanella e come è ben spiegato nel suo libro, ai poveri è necessario portare “pane e Vangelo”.


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