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PENSIONE: DIRITTO O PRIVILEGIO?

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

22
MAG
2015
Tra le questioni irrisolte di questo strano paese chiamato Italia ve ne è una che si sta riproponendo in questo caldissimo maggio, non solo dal punto di vista meteorologico. La pensione è un diritto acquisito o un privilegio elargito dalla generosità di Cesare? La domanda può apparire retorica, se non fosse che il dato viene continuamente messo in discussione da chi, nel nostro caso per grazia ricevuta, dovrebbe gestire la “res publica”. I fatti sono relativamente chiari: la vita lavorativa di un cittadino si sviluppa nell’arco di 35/40 anni durante i quali accadono una quantità di avvenimenti che vanno dal matrimonio alla nascita dei figli, dal percorso di studi degli stessi all’acquisto della propria casa, dalla necessità di concedersi delle vacanze all’acquisto periodico di automobili, ai possibili rovesci sul lavoro e svariate altre voci, motivo per cui, spesso, non è possibile accantonare risorse economiche tali da consentire un agiato tenore di vita quando cessa l’attività lavorativa. In virtù di ciò lo Stato si fa garante per il cittadino di metterlo in condizioni di vita dignitosa, alla fine del suo percorso lavorativo, attraverso un meccanismo di “previdenza sociale” comunemente conosciuto come pensione. La pensione non è una generosa elargizione da parte dello Stato ma, più prosaicamente, una restituzione di quanto accantonato dal lavoratore con i contributi che paga durante il percorso lavorativo e che lo Stato si impegna a custodire per suo conto. Stando così le cose la pensione è da considerarsi un diritto acquisito ed inalienabile che ha come presupposto imprescindibile la dirittura etica e morale di chi regge la cosa pubblica. Purtroppo chi ha governato lo Stato nei 70 anni della Repubblica ha più punti di contatto con i 40 ladroni di Alì Babà che con Catone il Censore, ed ha utilizzato i contributi dei lavoratori per il proprio tornaconto personale e dei suoi “amici “, leggi pensioni d’oro, pensioni baby, vitalizi ed ogni altra porcata immaginabile, prosciugando le casse della previdenza sociale. Ora che i nodi sono giunti al pettine, anche perché la Corte Costituzionale ha stigmatizzato con sentenza il sopruso commesso ai danni dei pensionati, esortando il governo a restituire il mal tolto, l’immarcescibile giullare fiorentino ha messo in scena l’ennesima buffonata. Si è intestato il merito di restituire, e non a tutti, l’11% degli importi dovuti pari a 2 miliardi di euro a fronte di un “furto” di 18 miliardi di euro, chiamandolo spudoratamente “bonus pensione”. Quel che l’ottuso, o finto tale, inquilino di Palazzo Chigi continua ad ignorare è che guidare un Paese non è solo godere gli onori del potere ma anche farsi carico degli oneri che la carica impone, anche gli oneri ereditati dalle sciagurate compagini governative che lo hanno preceduto. Stia attento l’incauto Renzi nel continuare a “giocare” ad asso piglia tutto. La sua ascesa è stata tanto repentina quanto vertiginosa, ma la pazienza degli italiani si è esaurita e la sua caduta potrebbe essere altrettanto repentina quanto disastrosa. 
 


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