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Parole che contano

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

22
NOV
2013
B come Bari. Tre romanzi usciti quasi in contemporanea narrano con formule letterarie diverse una città che con i suoi protagonisti s’interroga sul presente attraverso la ricostruzione di un passato che fa sentire ancora la sua voce.
 
IL CUSTODE DEL MUSEO DELLE CERE
A Bari non vi è un museo delle cere: quello descritto da Raffaele Nigro nel suo ultimo romanzo “Il custode del museo delle cere” (Rizzoli) è una finzione letteraria, servita all’autore per costruire la cornice di un racconto di sperimentazione delle forme e delle formule  espressive “Per me – spiega Nigro – un libro non è un filone, ma un progetto narrativo, un luogo di sperimentazione, nel quale per il 40% penso al lettore e per il 60% tengo conto dei miei bisogni, dei miei traguardi ogni volta irraggiungibili. Io voglio fare a pugni con la scrittura.” Ed effettivamente nel “Custode del museo delle cere” è possibile scorgere il contrasto tra il tono apparentemente dimesso del  linguaggio epico e quello del realismo minimale della cornice in cui le narrazioni si inseriscono. L’autore si chiede se la letteratura possa ancora svegliare l’io  sepolto dalla polvere che è addormentato  dentro di noi. Ma il nocciolo di questo romanzo è rappresentato dalla morte della grande utopia socialista. Come mai è accaduto che le grandi idee, che Platone collocava nell’Iperuranio e considerava immortali, nella messa in opera finiscono sempre male? Come mai il socialismo e la democrazia hanno raggiunto i risultati che vediamo? Per rispondere a questi interrogativi Raffaele Nigro s’è inventato la storia di un nonno, un ottantenne, elegante professore caduto in depressione, arrabbiato con il mondo, “questo mondo di cadaveri va proprio male. E  io preferisco schiattare piuttosto che restare un’anima morta!” e un nipote all’ultimo anno del liceo che non vede l’ora di squagliarsela per andare a Torino e iscriversi all’università. Due generazioni  distanti, ognuna caratterizzata da stili di vita, linguaggi  e idee diverse, che, attraversando Bari, si recano nel museo delle cere dove incontreranno una serie di personaggi storici  che si racconteranno e in questo raccontarsi costruiranno una sorta di patchwork di vicende che sono tutto il nostro passato. Ma questi personaggi (il poeta turco Hikmet, Federico II, Bianca Lancia, Manfredi, Leonardo Sciascia che racconta la vicenda del poeta palermitano Antonello Veneziano, Raffaele Crovi, Pier Paolo Pasolini,  Carmelo Bene…) sono pupi di cera e sulle loro spalle hanno uno stoppino:  se lo si accende quelle figure si sciolgono. Questa settimana la rubrica è dedicata a Bari, eccola nelle pagine del “Custode del museo delle cere” descritta con le parole del nipote Andrea: “Attraversammo il centro, le strade perpendicolari che secondo Alfredo, che ci era stato in gita scolastica un anno che mi ero ammalato per iella proprio in quegli stramaledetti giorni, facevano somigliare la planimetria di Bari a quella di Parigi, perché pensata da Gioacchino Murat ai primi dell’Ottocento, le vie marine stese intorno al teatro Petruzzelli e al Margherita e ppoi il corso Vittorio Emanuele. La città era imbrunita da un’estate torrida che aveva ucciso eucalipti ligustri oleandri  elci. L’odore del pane e della focaccia appena sfornati, l’aroma delle caffetterie del corso lottavano col fetore di ossido di carbonio, di alghe morte e di sansa.”
 
 
PRIMA CHE TU MI TRADISCA
“Il secondo lavoro di Antonella Lattanzi è un romanzo importante, perché sicuramente pone un punto fermo intorno alla tematizzazione della città di Bari”. Ad affermarlo è stato Enzo Mansueto, giornalista, esperto di scritture, linguaggi, luoghi, nel corso della presentazione del romanzo di Antonella Lattanzi “Prima che tu mi tradisca”, (Einaudi) svoltasi domenica scorsa presso il Doks 101 a Locorotondo. “E’ un libro che contribuisce, insieme a pochi altri, - ha proseguito Mansueto – a costruire una costellazione di scritture pugliesi.” In effetti in Puglia da oltre un decennio è possibile individuare la presenza di tante scritture letterarie che creano quella che Mansueto ha giustamente definito una vera e propria mappatura. I romanzi scritti dagli autori pugliesi  (La Gioia per Bari, Argentina per Taranto, Livio Romano per il Salento, per portare alcuni esempi) diventano così una sorta di lente attraverso la quale è possibile leggere il nostro territorio, ricostruirne la storia seguendone l’evoluzione,  penetrare nello spirito dei luoghi, nelle atmosfere, nei linguaggi, nella gente che vi abita, per comprenderlo e accoglierlo nelle tante sfaccettature, senza incorrere nel rischio di una mediazione di immagini stereotipate ed oleografiche. “Prima che tu mi tradisca” ha una trama complessa, corposa, aspetto questo notevole anche in virtù del fatto che l’autrice riesce a gestire una narrazione ampia e un percorso articolato fra scenari che hanno come fulcro due città: Bari e Roma. “Alle 19.30, mio padre compiva sette mesi. Si sentì un boato, il cielo si oscurò di un nero innaturale…Era il 2 dicembre 1943” E’ questo l’incipit del romanzo che si apre con il racconto, in prima persona, fatto da Michela, una delle due protagoniste,  di un evento storico drammatico, il “disastro di Bari: il più distruttivo attacco degli alleati dopo Pearl Harbor, e il più grave episodio di guerra chimica del secondo conflitto mondiale  avvenuto durante la II guerra mondiale, un evento taciuto, che rappresenta il primo dei tanti tradimenti sui quali la narrazione si sviluppa. Il padre di Michela e di sua sorella maggiore,  Angela Junior, è nato dunque sette mesi prima di quel tremendo 2 dicembre 1943 che fece esplodere la pancia della nave americana John Harvey contenente iprite, una sostanza fortemente tossica, cancerogena, utilizzata durante la prima guerra mondiale, bandita dal Trattato di Ginevra del 1925 ma che gli americani avevano. Pochi sapevano che nella pancia della nave c’era l’iprite. Tutti sapevano che l’iprite faceva molto male. I pochi che lo sapevano tacevano. Ecco il primo tradimento, che come imprimatur sembra avere lasciato in eredità alle sue figlie una specie di infezione che le ha marchiate per sempre, votando anch’esse  al tradimento. La vicenda narrata si sviluppa tra Bari e Roma, luoghi che l’autrice conosce molto bene, in particolare l’aspetto che colpisce è l’intreccio molto ben costruito anche linguisticamente, tra le micro storie dei personaggi e la grande storia che tocca la città di Bari con eventi paradigmatici come l’incendio del Petruzzelli. 
 
IL BORDO VERTIGINOSO DELLE COSE
E’ sempre Bari lo scenario della vicenda che ha per protagonista, Enrico, che ad un certo punto della sua vita, dopo aver letto una notizia sul giornale, decide di tornarvi per compiere un viaggio, anche di tipo esistenziale,  che annodi i fili di un’esistenza fino a quel momento anestetizzata. Il titolo del nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio che da tre settimane è in vetta alle classifiche delle vendite, “Il bordo vertiginoso delle cose” rimanda al tema del confine tra violenza e tenerezza, felicità e dolore, successo e insuccesso. “Il tema centrale di questo romanzo – spiega Carofiglio – è proprio il crinale. Ci sono molti bordi in questa storia. Quello che mi interessava raccontare sono quegli abissi che appaiono nelle pieghe della quotidianità, quelle crepe sul muro della banalità che, improvvisamente ti fanno sussultare e ti costringono a chiederti chi sono? Dove sto andando? Sto andando nella direzione giusta? “
Il protagonista del romanzo, scritto alternando la prima e la seconda persona, è Enrico, uno scrittore, autore di un unico romanzo che, dopo aver letto appunto una notizia sul giornale, decide di tornare da Firenze  a Bari, in uno spostamento che non è solo nello spazio, ma anche nel tempo. Di tornare così alla sua adolescenza, nella Bari degli anni ’70, degli anni di piombo, nella città vecchia “…un luogo che allora era un posto pericoloso dal quale noi ragazzini perbene ci tenevamo alla larga. Era facile perdersi nell’intrico di quelle piccole vie, e soprattutto era facile essere aggrediti, malmenati, rapinati da bande di coetanei molto più avanti di noi nell’esperienza della vita reale. Ognuno di noi aveva una storia da raccontare, più o meno vera, più o meno romanzata, di cosa gli era accaduto in una imprudente incursione a Bari Vecchia.  “ La Bari raccontata da Carofiglio è anche la Bari del centro, la città del sole, del vento fresco e del cielo azzurro, del teatro Margherita, di Corso Vittorio Emanuele, del molo di sant’Antonio, dalla cui fascia interna si vedono “una accanto all’altra, le silhouette della città vecchia e della città nuova, immobili, silenziose e surreali” e i pescatori che pescano i  cefali in un’acqua scura, profonda, lurida.  Un’acqua che rimanda alle paure del vuoto e del buio. Alla paura che accompagna chi cammina sul bordo dell’abisso e non cade. Un romanzo, quindi, dei luoghi, metafore, specchio delle storie individuali, luoghi guardati “con la coda dell’occhio”, per percepire attraverso i dettagli il tutto.  Nel romanzo c’è anche tanta letteratura, quella “letteratura che esiste solo per indagare le meccaniche dell’infelicità”. E poi c’è la scuola, i professori, in particolare Celeste, la professoressa di filosofia che parlando agli studenti di Antifonte, spiega che a lui è stata attribuita “l’arte di evitare il dolore, cioè un metodo per curare la sofferenza psicologica attraverso le domande, i discorsi e l’interpretazione dei sogni.” Enrico, dopo trent’anni ritroverà Celeste, lei lo riconoscerà e pronuncerà il nome dell’autore del verso “A noi preme soltanto il bordo vertiginoso delle cose”, Robert Browning, offrendogli una nuova possibilità.
 


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