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Maracash/La città di cui nessuno parla

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

26
SET
2014
Luci e ombre di un quartiere leccese, dove la comunità senegalese ha vissuto miseramente ma sempre con dignità fino allo sfratto. In un documentario, realizzato dal giornalista Emiliano Carico, che ha vinto il Premio “Michele Frascaro”
 
 
Lo scrigno di una città è il suo centro storico, il cuore pulsante della sua identità più autentica e ancestrale. Ma a volte, per una sorta di crudele paradosso, questa diventa anche una sorta di “armadio degli orrori” in cui nascondere e confinare ciò che non si riesce (o non si vuole) integrare nel tessuto vivo della comunità. Così, nei vicoli più antichi di Lecce convivono la bellezza superba e avvolgente del barocco e il degrado assordante, che il giornalista salentino Emiliano Carico ha ricostruito e analizzato nel documentario Maracash.
Il presente di una città è spesso legato a doppio filo (se non addirittura incatenato) al suo passato prossimo, e alle figure che, nel bene o nel male, hanno esercitato una certa autorevolezza all’interno della collettività. Il capoluogo salentino è ormai da anni meta di migranti, eppure non sempre istituzioni e operatori hanno promosso il loro inserimento, anzi spesso lo hanno ostacolato e impedito. Ne è l’esempio la storia della comunità senegalese presente a Lecce, intrecciata indissolubilmente a quella delle case delle Giravolte, e di Mara, ovvero Antonio Lanzalonga, il transessuale che ne era proprietario. Sono loro i “protagonisti” di Maracash.
La comunità senegalese è giunta nel capoluogo salentino a partire dagli anni Novanta, confluendo rapidamente nel centro storico. Il civico 19 e il 33 di via delle Giravolte erano quelli con la maggior densità abitativa: ci vivevano infatti fino a 15-16 migranti per stanzetta, in condizioni di sostanziale inagibilità. D’altra parte però, proprio tale massiccia presenza innescò la rivalutazione dell’area, fino a quel momento scarsamente popolata. Il centro storico iniziò quindi a diventare sempre più appetibile per quanti potevano permettersi una casa nei suggestivi vicoli di Lecce, mentre intanto, a pochi metri di distanza, le condizioni di vita erano assolutamente disumane.
Attraverso le testimonianze di chi da anni opera a Lecce su queste tematiche, Carico ha ricostruito con sguardo preciso e implacabile il destino kafkiano a cui i senegalesi sono stati costretti, schiacciati tra la negligenza e la speculazione esercitata da Mara prima, e la scarsa attenzione delle istituzioni locali poi. Dopo la morte di Mara infatti, le case di via delle Giravolte passarono alle suore Benedettine, che in un primo momento permisero loro di vivere ancora lì, richiedendo comunque il pagamento di un canone d’affitto. Tuttavia, la comunità senegalese continuava a subire prepotenze e soprusi continui da chi era stato delegato alla gestione delle abitazioni. E la situazione divenne insostenibile quando, dopo aver ricevuto una serie di bollette, le religiose staccarono l’acqua e i migranti, in segno di protesta, smisero di pagare. A quel punto la proprietà adottò misure piuttosto sbrigative … e quantomeno discutibili, murando le porte delle case senza preoccuparsi minimamente del fatto che dentro ci fossero ancora gli effetti personali di chi ci abitava.
Intanto, nel 2012, a ridosso delle elezioni, le Benedettine stipularono un protocollo d’intesa con il Comune di Lecce, basato su una sorta di “baratto”. In base a esso le religiose avrebbero potuto utilizzare gratuitamente dieci aule (le più grandi) della scuola “De Amicis”, e il Comune sarebbe entrato in possesso delle case di via delle Giravolte, che avrebbe rivenduto per un totale di 1 milione e 400 mila euro. Così, tra settembre e ottobre dello stesso anno, i senegalesi vennero sfrattati, e il quartiere delle Giravolte, un tempo caratterizzato dai colori e dal forte senso comunitario dei migranti che lo popolavano, è sprofondato nell’incuria e in una desolazione che urla le responsabilità di quanti invece dovrebbero avere cura del territorio e della sua comunità. 
Il documentario di Carico scava nella carne viva di Lecce, ne restituisce un pezzo imprescindibile, se si vuole realmente conoscere la città. Ne “fotografa” le stridenti contraddizioni e i paradossi con il coraggio e la franchezza che solo un suo figlio può avere, guardandola dritta negli occhi. Non è un caso, quindi, che Carico si sia aggiudicato il Premio Michele Frascaro, che prende il nome da un giornalista salentino altrettanto coraggioso e appassionato scomparso alcuni anni fa.  Maracash è quindi un atto di accusa, ma anche e soprattutto una dichiarazione d’amore. Per le proprie radici … e per questo mestiere. 
 


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