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Durante, Merini, Rosselli/Le chiamavano pazze, erano poetesse

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

13
MAR
2015
Un viaggio all’interno di  tre modi diversi di essere donne, un percorso nell’intimo di  tre anime tormentate. Un ritratto sofferto ma  nello stesso tempo fecondo di riflessioni sulla condizione femminile del secolo scorso
 
"Io sono pazza", il libro di Clelia Ancora e Rita Rucco edito da Milella edizioni, è un meraviglioso  viaggio nell'universo letterario femminile di tre grandi voci del mondo poetico: Rina Durante, Alda Merini, Amelia Rosselli. Poetesse di grande spessore lirico e di grande fascino immaginativo ma al contempo donne dallo struggente travaglio interiore, abitate da demoni e in costante ricerca  di un loro precario equilibrio  tra esistenza e tormento, desiderio di vivere e quella che  erroneamente viene definita "pazzia", che sfocia nel rapporto tra poesia, ragione e follia. Un profondo sentire femminile quello che anima le tre  poetesse, una manifestazione del loro  mondo interiore che  prende forma generando un dialogo intimo in grado di svelare  la quotidiana e inarrestabile fatica del proprio sentire, un caldo fluire dell’emozione  che intreccia la parola all’esperienza. Per  queste poetesse,  scrivere è scavare nel profondo per  cercare di curare una  ferita arcana che  arde e duole nel petto, guardarsi  dentro con coraggio,  onestà e a volte severità,  dialogando con il proprio Io e cercando di dare forma e vita  al  dolore  che pervade l’anima; abbandonandosi  alla nuda  verità della poesia, alla sua capacità di aprire squarci nell’abisso del proprio sentire. Il libro appare come un contenitore di emozioni e sentimenti in grado di sviscerare le tante sfumature cangianti dell’animo femminile, grazie al raffinato e culturalmente elevato lavoro delle due autrici, Rita e Clelia, che hanno proposto aspetti incredibilmente  emozionanti di tre sensibilità del '900. Tre modi di sentire unici e diversi, ognuna con una propria lettura  differente del mondo, che vengono  presi in considerazione e analizzati da Erasmo da Rotterdam, Sigmund Freud e Michel de Foucault perché Apollo, aveva indetto il concorso poetico a tema "il miracolo della follia" .
Un testo meraviglioso che ha i contorni di un moderno lavoro teatrale. Tre donne come oggetto di analisi di altre due donne che con coraggio hanno percorso sentieri   impervi: quelli della ricerca di senso delle esistenze altrui, dei meandri del cuore di altre donne alla ricerca del filo che unisce la poesia alla follia. Un grazie a Rina, Alda, Amelia che ci hanno permes¬so di entrare nel loro magico “folle” mondo poetico e alle nostre bravissime autrici, Rita e Clelia.
 
Gentilissime  Rita e Clelia, "Io sono pazza" si presenta più come un canovaccio teatrale che un saggio, è un dialogo fra tre poetesse; Rina Durante, Alda Merini e Amelia Rosselli, tre anime poliedriche, eclettiche, sensibili e profonde, e traccia il quasi invisibile confine che segna il rapporto tra poesia, ragione e follia. Infatti, quando qualche figura femminile, attraverso la storia, è riuscita a liberarsi dalla gabbia delle consuetudini soffocanti e ad affermarsi, lo ha fatto con enormi sacrifici, con ribellioni, con rinunce dolorose. Qual è il filo che unisce queste tre donne?
Rita: «Il filo sottile che le unisce è la consapevolezza, per ciascuna, della propria alterità, della propria lettura differente del mondo. Pur appartenendo a tre contesti socio-culturali lontani, le tre poetesse sono unite dalla autenticità del vivere essendosi esse spogliate da orpelli e sovra-strutture. Rina Durante, donna di un Sud atavico, che l'ha poco riamata, si è distinta per una  forza intellettuale in un mondo in cui si avvertiva "dolorosamente" altra. Ha combattuto battaglie sociali, culturali e politiche con forza e caparbietà, donandosi a noi con opere narrative, saggi, articoli giornalistici e un' unica silloge poetica esaminata in Io sono pazza. Alda Merini, amatissima per la sua commuovente statura emotiva ed intellettuale, ha vissuto con atrocità e leggerezza amori e dolori. Carnale e spirituale insieme, creatura ossimorica come le sue poesie. Amelia Rosselli, figura straordinariamente impegnata nelle espressioni poetiche di Neo-avanguardia, di rottura dei codici tradizionali, ha rappresentato la figura dell'intellettuale mitteleuropea, aperta a contesti culturali e linguistici multiformi. Tutte s-radicate. Tutte abitate dai demoni. Solo Amelia ne è stata tragicamente vinta».
Clelia: «Non darei una connotazione precisa al testo che può tranquillamente spaziare tra un genere letterario e l’altro. Lo scritto scaturisce dal desiderio di dar voce a tre donne che, pur appartenendo ad ambiti socio -  culturali e geografici diversi,  sono riuscite ad esprimere, con caratteristiche e peculiarità personali, il mondo di appartenenza, le loro idee, il loro disagio, il loro modus vivendi tramite parole - messaggi che hanno valicato l’ambito ristretto del  vissuto per diventare universali. Su Rina, tra l’altro, avevo già pubblicato il testo” Istantanee d’autrice” in cui mettevo in rilievo la personalità della scrittrice attraverso le parole e le esperienze di chi l’aveva conosciuta (in ambito familiare, amicale, professionale) e aveva avuto la fortuna di starle accanto».
  
Le Donne raccontate in "Io sono pazza" sono ribelli, alternative, sofferenti, incomprese, divise tra l’arte e la quotidianità alienante e alla ricerca di un sé in armonia con il mondo e con la loro dirompente follia creatrice e creativa. Poetesse di grande spessore lirico e di grande fascino immaginativo ma al contempo donne sofferenti, che hanno saputo come lasciare una testimonianza a partire dai loro poemi e dalle loro vite, in bilico tra una confessione e un desiderio di essere ascoltate, ricevute, è la forza delle donne che il dolore rende poetesse?
Rita: «Non vorrei assolutizzare il seguente punto di vista, ma credo fermamente che la riflessione sul proprio o altrui dolore sia la cifra della differenza rispetto a chi non ne sia cosciente. Intendo dire, parafrasando Heidegger, che solo chi conosce e accoglie il dolore viva una vita autentica che non contempla l'angoscia della morte, ma che ne fa un orizzonte di possibilità razionale. La donna, emblematicamente, conosce e accoglie il dolore e quando si associ a questa condizione anche una ricchezza di sensibilità e originalità, allora la forza delle donne è una via aperta alla poesia e alla riflessione profonda e significativa sul mondo».
 
Clelia: «Non si diventa poeti ipso facto: ciò vale sia in ambito maschile che femminile. Ma la strada è senz’altro più difficile  per le donne  la cui identità per secoli è stata soffocata dalla cultura patriarcale che le raffigurava in ambito  letterario e  artistico come angeli, streghe o femme fatale. Eppure da sempre esse hanno avuto un mondo interiore, una sensibilità che hanno cercato di fare emergere. Poi, per fortuna in un generale clima di emancipazione faticosamente conquistato  nel corso del tempo, la donna è riuscita ad appropriarsi di  spazi autonomi e, soprattutto, della capacità di far vibrare le corde del proprio vissuto e della consapevolezza  di poter influire sul   del proprio e sull’altrui destino. Ecco  il perché di una scelta difficile ma entusiasmante. Il nostro, infatti,  è stato  un viaggio all’interno di  tre modi diversi di essere donne, autrici, poetesse, un percorso nell’intimo di  tre esistenze, di tre anime tormentate, delle quali abbiamo cercato di scandagliare i più segreti  recessi in punta di piedi, con delicatezza, cura, armonia e passione. Ne è venuto fuori un ritratto sofferto, complesso  ma  nello stesso tempo fecondo di riflessioni sulla condizione femminile del secolo scorso e su ciò che può liberare i demoni chiusi in ciascuno di noi, demoni folli che scalciano e si agitano per venire fuori e che la ragione trattiene».   
 
La folgorazione poetica è il punto in cui il muro tra follia e poesia viene abbattuto, segnando il punto di massima tensione tra l’universale e l’individuale. La Follia per Erasmo da Rotterdam è rivelatrice di Verità. Qual è il suo punto di vista riguardante il  rapporto tra poesia e follia?
Rita: «In un passaggio relativo alla riflessione sul mondo poetico della Rosselli, suggerisco alle Muse che recitano in coro: "Dove c'è arte non c'è follia", ovvero dove c'è la possibilità di creare, pensare, riflettere, coordinare , selezionare e rivedere la propria espressione artistica, non vi può essere follia, intesa come patologia, ma solo come originalità di essere nel mondo, come Arte che si intreccia alla Vita. La poesia è liberazione, è catarsi,  è elevazione, può sanare le proprie ferite, o almeno le  attenua. Per il poeta la vita ha sapori, odori, suoni altri, diversi. Per questo è, forse, spesso, un po' folle. Per questo i fili tesi tra sé e  il mondo si incarnano nella parola poetica».
Clelia: «Mi piace rispondere utilizzando le riflessioni di un filosofo e una scrittrice: “Genio e follia  hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri” (Arthur Schopenauer).
“Poesia e pazzia... sono come i due lati di una foglia.  Uno ha gli stomi e guarda in alto, l’altro scarica anidride carbonica verso il basso. Da un lato all’altro, c’è un continuo passaggio di umori, lo scorrere delle molecole e dei fluidi.  Mi avvinceva il destino di tanti poeti divenuti folli” (Susanna Tamaro).
 
Solo chi ha un alto sentire può uscire dai cardini stabiliti dalla società conformista e urlare i propri sentimenti e la propria “follia"».  
Ritenete che la poesia conservi ancora  il suo posto nel mondo e quanto c’è di umano e di divino, cioè quanta capacità  di attingere a quella larga parte di mistero che ci circonda, in un componimento poetico? 
Rita: «"La poesia salverà il mondo" sosteneva Pascoli. Noi attendiamo che ciò avvenga. Abbiamo tutti il dovere morale, soprattutto in questi tristi momenti di  dis-umanità diffusa, di coltivare la bellezza, la purezza, l'astrazione, la verticale trascendenza per salvarci e per salvare la nostra umanità profonda, per ritornare ad immergerci nei nostri continenti sommersi, nei nostri "porti sepolti". E' una bellissima domanda, questa che lei ci porge perché coglie il senso del mistero che ci circonda e che magicamente viene espresso, con la più immateriale delle forze, quella della parola. Che traccia segni indelebili».
Clelia: «Poesia, dal verbo greco poieo, fare. Finché ci sarà sulla terra un essere umano capace di “fare”, di stabilire un rapporto tra umano e divino,  di sublimare i più reconditi sentimenti e  di rendere partecipi i suoi simili di ciò che gli ”urge dentro”,  avremo salvato l’umanità e l’avremo resa simile agli dei, ma soprattutto saremo stati in grado di dare spazio al dolce suono di un verso e all'emozionante arte del poetare».
Oggi la poesia, in un tempo di atonia sentimentale e di sordità dei sentimenti, può dare le parole a quello che ognuno si porta dentro di inquietante e inespresso, può educare il cuore, aprire la mente, riempire i vuoti, curare le ferite?
Rita: «Sì, mai come in questo momento, che personalmente reputo pericoloso per il vuoto esistenziale e valoriale che si sta producendo, per la devastante sordità dei sentimenti come lei dice, credo che la poesia  debba essere coltivata, letta, prodotta per smussare, scalfire l'indifferenza, lenire i dolori, curare le ferite. Non solo quelle personali. Ed è una gioia profonda quando, come sempre più spesso mi accade nelle mie classi, ci si accorge di nuove germinazioni, di giovani poeti che nascono all’ascolto del proprio mondo interiore e che fanno della letteratura, oggetto di studio, un’occasione per sé. Per la propria bellezza».
Clelia: «Anche Eugenio Montale  nel dicembre 1975  si chiedeva se la poesia poteva sopravvivere in un mondo dominato dalla malvagità, dalla disattenzione, dalla superficialità e dall’egoismo sfrenato. “ E' ciò che molti si chiedono - egli dice - ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa: poesia è  quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un'epoca e tutta una situazione linguistica e culturale, e allora bisogna dire che non c'è morte possibile per la poesia... la grande lirica può morire, rinascere, rimorire, ma resterà sempre una delle vette dell'anima umana”».
 
Il senso poetico del libro si rispecchia anche nella scelta dell’immagine di copertina,  uno splendido dipinto raffigurante tre volti femminili raffiguranti la sofferenza e la malinconia di chi sente e percepisce troppo. Come nasce la scelta della copertina?
Rita: «Sì, rispondo anche a nome di Clelia e la ringrazio io per l'autore che ci ha regalato  l’immagine splendida di un volto che ruota su se stesso rendendo la complessità del movimento e le differenti inclinazioni ed espressioni di un  viso che attraversa stati emozionali differenti. Il titolo del lavoro  di Maurizio Rucco, mio fratello, medico e artista, è "Tre lacrime", realizzato appositamente a commento grafico dell'opera e che credo delinei esplicitamente il dolore della vita. Sembra un bozzetto, ma è un’opera compiuta: “la triade  con i volti umani – due di profilo e uno centrale – abbozzati con un gessetto sopra un reticolato quasi invisibile, ci dice che i volti, così come sono, sono reciprocamente necessari”. (Manuela Margagliotta)». 
 
 


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