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Rina Durante/La grande raccontatrice

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

30
DIC
2015

In occasione dell'undicesimo anniversario della morte della grande intellettuale salentina, ne ripercorriamo la straordinaria avventura culturale, tutta tesa al recupero delle tradizioni folkloristiche e musicali della sua terra 

 

Caterina Durante, per tutti Rina, è figlia della terra da lei tanto amata, il Salento.

Un angolo di mondo, a quei tempi,  poco disposto ad aprirsi, a comprendere  ed accettare pensieri divergenti e atteggiamenti anticonformisti. Poco incline ad abbracciare e sostenere una delle sue creature più eclettiche e vere.

Lei, l'intellettuale scomoda. La sua vita è stata votata alla libertà di pensiero e alla rottura degli schemi precostituiti. "Donna-contro", pronta a lottare contro pregiudizi e discriminazioni, presunzione e ignoranza. Questi sono stati i suoi mulini a vento.

Da sempre affascinata dalle mani callose degli uomini, indurite dal quotidiano contatto con la terra, dalle donne umili che raccoglievano olive, dalle ricerche folkloristiche  ed etnomusicali, dai ritornelli vibranti sotto gli ulivi e dai racconti di vita, ha  permesso di  recuperare  il patrimonio culturale dei lavoratori dei campi evitando che andasse perduta l'identità della sua terra, fatta di retaggio di saggezza antica. Ha contribuito al grande lavoro di ricerca e intervento sul tema della cultura popolare ed è stata tra le principali fautrici del tarantismo come fenomeno da riscoprire e preservare, partendo dagli studi antropologici di Ernesto de Martino sul tarantismo. Tale infaticabile lavoro ha costituito il trampolino di lancio di quanto è stato poi costruito in seguito sulla musica popolare nel Salento.

Forse in pochi associano il nome di Rina alla Notte della Taranta, ma tutti i gruppi che oggi fanno parte del movimento della pizzica hanno un grosso debito nei suoi confronti, sono stati l’opera, gli scritti e il lavoro certosino di persone come Rina che  hanno vissuto in modo simbiotico con la loro terra a permettere che il patrimonio folkloristico non andasse perduto nell’oblio.

Il suo  contributo alla conservazione della memoria del Salento è stato straordinario. Tra le prime a far conoscere la tradizione musicale salentina a livello nazionale, collaborando con la principale e originale  esponente del circuito del folk revival, Giovanna Marini.  Il suo fiore all'occhiello? La creazione del Canzoniere grecanico salentino e la cura de "I canti di terra dì Otranto e della Grecìa salentina"

Così scrive:

 

"Un paese ha la sua storia e deve tenersela stretta, altrimenti perde la sua identità, che non può ridursi al dato etnico. La pizzica, la taranta, il tamburello connotano l’uomo folklorico, cioè quello che erroneamente viene considerato individuo astorico, una sorta di buon selvaggio. Ma questa concezione, ancorché sbagliata, è riduttiva, perché non tiene conto della storia, che tutto macina, anche il povero cristo senza potere e speranza di riscatto, e lo investe, lo coinvolge, lo trasforma. Bisogna allora andarseli a cercare, questi momenti di presa di coscienza, in cui il buon selvaggio alza la testa, scende in piazza ed entra nella storia".

 

Questa è Rina, una donna che sceglie di mettere costantemente al centro del racconto le persone, le loro storie di vita, la fatica di ogni singolo e imperfetto viaggio umano, la gioia di appartenere alla propria terra, la visione del domani intrisa di passato.

Rina, donna della modernità che  infrange barriere. Lei sola tra i tanti uomini di pensiero e di parola come i più importanti intellettuali salentini: Vittorio Bodini, Oreste Macrì, Vittorio Pagano, Donato Valli, Vittore  Fiore, con i quali  ha sempre stretto un sodalizio basato  su discussioni intorno allo scambio culturale di riflessioni e di condivisione della poesia, della letteratura e della posizione emarginata degli scrittori.

Lei che ha sempre avvertito l'estraneità dolorosa al mondo degli altri e, grazie alla sua sete di conoscenza  e alla sua lucida follia generatrice di pensiero e azione,  ha lottato  per conquistare spazi e idee.

 

Un mondo caleidoscopico e affascinante il suo, non c'era posto per niente, neppure per l'ospite indesiderato e temuto: il cancro, che ha annientato  con crudele e banale mediocrità, anche una grande donna e intellettuale come Rina.

Negli ultimi tempi di vita consacrati alla scrittura, centro della sua esistenza, scrive:

 

"Io non sono una ricercatrice. Io sono moderatamente antropologa, al servizio di qualcosa che non ha niente a che vedere con l’antropologia. Tutte queste ricerche mi servivano per arricchire il mio repertorio di storie, di immagini, di fatti, di personaggi di cui mi sarei servita come narratrice; io sono una scrittrice, una raccontatrice. E mi incazzo quando vedo gente che intraprende questo tipo di avventura che è quella della scrittura e pare che non gliene freghi niente di tutto quello che si svolge intorno. Mi sembra assurdo. Io ho asservito alla narrativa tutto quello che mi è capitato, e continuerò a farlo fino a quando mi sarà possibile."

 

Lei che ha dedicato l'intera esistenza alle ricerche etnomusicali, al lavoro, alle attività rurali della sua amata terra, nonostante la ritrosia di un Sud poco disposto ad accettare i suoi pensieri divergenti,  il suo spirito rivoluzionario e coraggioso, le sue scelte di vita personali, il suo migrare alla costante ricerca di un sé in armonia col mondo.

Lei che ha definito se stessa "povero pescatore d'amuleti con un'ostrica al posto del cuore", un modo unico e raro di dare il senso di sé.

Contro di lei una barriera di mentalità chiuse, bigotte, ristrette di molti benpensanti.

Ora, post mortem, per ironia della sorte a Melendugno e in molti altri luoghi,  si esalta la sua figura e la personalità eclettica di questa donna.

Probabilmente  la nostra cara Rina se la ride ora, pensando a coloro che un tempo la sbeffeggiarono.

 


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