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Un arrivederci per il domani/S´ CrÓ™stÓ™ Peppino!

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

1
MAR
2018

Avvocato, eroe purissimo della martinesità, l’ultimo highlander a difesa della nostra lingua: un ricordo d'autore di Giuseppe Gaetano Marangi

S’ CrÓ™stÓ™ Peppino! Ti salutiamo con una delle espressioni idiomatiche martinesi che ti erano più care e con cui ti piaceva chiudere le lezioni che ipnotizzavano classi di attempati scolari tornati sui banchi di scuola per imparare – dalle basi – una nuova-antica lingua: il martinese. S’ CrÓ™stÓ™ era il segnale con cui, verso mezzogiorno, i capicantiere interrompevano l’attività per la sferra (pausa pranzo) e lo stesso che chiudeva la faticosa giornata di lavoro. Un arrivederci per il domani. Salutare Giuseppe Gaetano Marangi nel suo ultimo viaggio resta comunque un compito delicatissimo, trattandosi di un grand’uomo, che richiede grande senso della misura. Occorre transitare attraverso il suo carattere forte e determinato per poter comprendere l’ammirazione istintiva che suscitava nonostante fosse un capacchione più duro di quella stessa cutizza da lui celebrata come pietra angolare della martinesità. Ma per Peppino non servono smancerie, salamelecchi o arzigogoli cesellati dai ricordi. Tantomeno necessita il saccheggio della ghiotta biografia che da sola basta e avanza a riflettere ottanta anni buoni di storia martinese: incontrarlo una volta o cento non avrebbe spostato di un grammo il bilico della sua coerenza e, pertanto, non avrebbe fatto la minima differenza. E’ stato sicuramente un uomo felice che ha pagato al destino l’unico scotto di nascere in Italia, un paese in cui valori come onore, orgoglio, coerenza risuonano spesso come sinonimi di snobismo. Fosse nato in Albione non avrebbe dovuto inventarsi un suo personalissimo Murgia-shire fatto di splendidi cavalli e spider anglosassoni, di doppiette finemente cesellate e cani da riporto, di giacchette di velluto a costa larga e splendidi foulard con quell’irresistibile motivo “paisley”.  Un uomo di classe che aveva un rapporto così intimo con la natura da arrivare ad esserne parte integrante come quella volta che organizzò un raid in sella a cavalli murgesi sui tratturi della transumanza che portano le greggi oltre la Daunia. Tutto senza mai mettere gli zoccoli sull’asfalto e, soprattutto, senza bed&breakfast o comodi agriturismi: si dormiva sotto le stelle come nei migliori film di John Wayne. L’eroe western, ovviamente, non è una citazione casuale ma un richiamo perfetto ad una tua impresa che, in caso di riuscita, avrebbe forse cambiato il corso della storia della nostra Città. Come nel film Ombre Rosse fosti l’ultimo “uomo bianco (in senso democristiano non certo antropologico)” a sfidare nel 1994 il tuo avversario –come candidato sindaco DC - fregandotene apertamente che, per l’occasione, il settimo cavalleggeri – quello che puntuale arrivava a salvare la diligenza - aveva fatto l’alleanza con gli indiani. Evenienza storica quest’ultima che ciclicamente ha segnato le vicende politiche di Martina Franca fino ai giorni nostri. In quell’avventura di indiani e cow-boys ero il tuo addetto stampa ed ebbi occasione di conoscerti da vicino. Realizzai subito che stava andando in liquidazione la mia adorata grande balena bianca ma per niente al mondo mi sarei persa una competizione in cui sfidavi un ottimo candidato come il tuo collega avvocato Martino Margiotta con lo stesso stile rude dell’eroe di Fort Apache. Uno sceriffo con un pugno duro come la pietra e una stella di latta non abbastanza grande da coprire un cuore grande, capace di tantissima umanità. Se Peppino avesse vinto la sua sfida politica ne avremmo viste delle belle, oh se ne avremmo viste, in tema di legalità e coraggio nell’assumersi le proprie responsabilità. Già mi pregustavo di come – forte delle tue conoscenze giuridiche – avresti caterpillarizzato la casta dirigenziale  o spernacchiato (temo di non essere solo letterale in questa fattispecie) qualche lacchè del potere politico.  Una cosa è certa: come primo atto ufficiale avresti divelto le palme di Piazza Roma - che detestavi senza farne mistero - per rimpiazzarle con arbusti murgesi. La perfetta conoscenza della flora autoctona e l’attaccamento alle tue radici ti portarono a rivedere il classico “dizionario botanico martinese” che presentava vistose lacune. Fu quello il primo passo verso la grande avventura editoriale che ti avrebbe definito eroe purissimo della martinesità, l’ultimo highlander a difesa della nostra lingua. Nacque così quello che all’apparenza appariva come un indigeribile mattone di quasi 800 pagine ma che sarebbe diventato insostituibile compagno di viaggio nella comprensione della lingua e delle tradizioni martinesi: “La Parlata dei Martinesi e altri ricordi”, bellissimo libro editato da Nuova Editrice Apulia, che è anche un ricco dizionario italiano/martinese e martinese/italiano. Senza la tua risolutezza non ci saremmo accorti che la nostra è una lingua in serio pericolo di estinzione esposta com’è alle devianze dei social network, non-luoghi letterari dove si scrive come si parla. E così decidesti di domare il tuo cavallo più selvaggio e al tempo stesso più caro: la lingua dei martinesi che aveva fatto ammattire linguisti del calibro di Gerhard Rolfs e impegnato uomini di buona volontà come Don Giuseppe Grassi. Un lavoro che mise definitivamente in luce i tuoi raffinati orizzonti culturali talvolta in secondo piano per il tempo dedicato alla professione forense. La qualità dell’operazione è stata così alta da portare la lingua martinese nel sancta sanctorum dei dialetti italiani – l’Atlante Linguistico Italiano presso l’Università di Torino – dove il tuo prezioso testo è oggetto di studio da parte degli studenti. Allo stesso tempo, il libro ha dato la stura ad un bellissimo movimento culturale di poeti in vernacolo, studiosi delle tradizioni martinesi, cantautori e stornellatori, attori di deliziose compagnie di teatro dialettale, fanatici della martinesità e docenti scolastici. Finalmente possiamo esprimerci correttamente in ogni situazione e organizzare una seria linea difensiva contro la degenerazione del dialetto sui social network. Gli stessi in cui sei diventato – era inevitabile! – una superstar per l’ironia tagliente dei tuoi interventi e la puntualità con cui hai cazziato gli utilizzatori del martinese maccheronico, cioè scritto come viene parlato. E proprio facebook, del cui uso improprio e spesso banale ti lamentavi, ha registrato le ultime considerazioni di un gentleman di campagna che aveva intuito come lo splendido autunno della sua esistenza stesse scivolando verso l’inverno.  Ti lamentavi di come tanti piccoli oggetti personali, tante pagine scritte, migliaia di foto e di ricordi si sarebbero persi come lacrime nella pioggia.  Sbagliato, caro Peppino. Di te ci ricorderemo benissimo anche senza vederti scritto su una lapide del Patriae Decus (ormai i vecchi parrucconi della cultura di palazzo le lapidi le fanno sparire se contengono nomi che garbano) che meriteresti senza ombra di dubbio. Comunque ci proveremo, lancio un appello da queste pagine, nella convinzione che hai dato moltissimo alla cultura di Martina Franca. Ciao Peppino, è stato un onore!

 



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