Metti un'intervista sulla sabbia, un avvocato appassionato di fotografia, un cane assolutamente nel ruolo e un campione di kite. Il risultato lo vedete: e la spiaggia di San Vito diventa un po' Miami
Credo che non ci sia nulla di più rilassante di una chiacchierata in riva al mare cristallino del litorale tarantino, sorseggiando una bibita fresca, in compagnia di un bellissimo Kiter, dagli occhi dello stesso azzurro dell’acqua che si contempla.
In un caldo pomeriggio di luglio, verso l’ora del tramonto, ho avuto il piacere di conoscere Alessio Barbera, accompagnato da un suo allievo e dal suo inseparabile e simpaticissimo cane Aurelio, detto Lallo. Una antica credenza narra che queste bestiole assomiglino ai propri padroni e questo è un caso emblematico, infatti il muscoloso Lallo si tuffa in mare e nuota sott’acqua. In tutta la vita non mi era mai capitato di vedere un cane con siffatte doti straordinarie. Il fedelissimo Aurelio accompagna sempre Alessio, anche in barca a vela; a modo suo si rende utile ed è un’ottima compagnia.
Il Kite è uno sport non molto conosciuto, giovane ed estremo; richiede importanti misure di sicurezza per non trasformarsi da divertimento in tragedia. In compenso permette a chi lo pratica di provare delle sensazioni meravigliose, sembra quasi di volare, infatti il corpo si libra nell’aria come se perdesse la propria massa materiale.
A chi si trova sulla terraferma sembra di assistere ad un balletto nel quale il coreografo è il vento, il primo ballerino il Kiter e il corpo di ballo, che lo solleva e lo fa volteggiare sulla tavola da surf, è l’aquilone.
La preparazione di coloro che praticano il Kite è molto lunga e procede per gradi, ma alla fine si diviene capaci, non di domare il mare, in quanto forza della natura, ma di affrontarlo e mettersi in salvo in situazioni estreme. Per tale motivo, questo sport è molto istruttivo e aiuta a temprare sia il carattere che il fisico, giacché si pratica anche d’inverno.
Da quest’anno, finalmente, è entrato anche a far parte delle discipline olimpiche, ottenendo il lustro e l’importanza che l’attività e il coraggio dei suoi atleti meritano.
“Mens sana in corpore sano” affermavano i latini, ebbene Alessio è il prototipo dello sportivo sano ed equilibrato. L’unico suo vizio è la necessità, di tanto in tanto, di quella scarica di adrenalina che si trasforma in un bel volo e altrettanto belle figure, tratteggiate nella cornice del cielo azzurro e del mare blu di Taranto.
Nel mentre ammiro le bellezze della natura che mi circondano e mi appresto alla chiacchierata con Alessio Barbieri, quest’ultimo prepara la postazione per accomodarci e il cane Lallo, da perfetto amico e compagno di avventure, si è già accucciato dinanzi alla sdraio e mi guarda, pronto a rispondere alle varie curiosità.
In quale occasione e periodo della tua vita hai scoperto la passione per questo sport? Spiegaci precisamente in cosa consista.
"Il mare è la mia passione principale, infatti il Kite è solo un coronamento di tutta una serie di esperienze con gli sport acquatici.
La mia formazione è cominciata con una barchetta a vela e a 18 anni sono divenuto istruttore, giungendo a conoscere molto approfonditamente l’aspetto agonistico e didattico di questa attività fantastica.
Successivamente ho praticato per sei anni il Windsurf in maniera alquanto radicale, quindi ho approcciato al Kite che, dieci anni fa, costituiva uno sport futuristico. Mi ha entusiasmato molto perché, mentre con il Windsurf per effettuare un salto bisogna attendere l’onda e la vela è molto vicina, obbligando ad una postura più impostata del corpo, nel Kite l’aquilone è molto distante dal kiter e consente massima libertà di movimento. Ma la cosa più emozionante è che, anche con l’acqua piatta, si possono raggiungere altezze enormi.
Ho cominciato con attrezzature molto pericolose, perché si tratta di aquiloni da traino sovradimensionati e capaci di sollevarti anche per decine di metri. In via sperimentale, dunque, ho dovuto approcciare alla sicurezza ed è stato estremamente difficoltoso.
Oggi l’attrezzatura consente una totale affidabilità, al punto che questo sport può essere tranquillamente praticato anche dai ragazzini.
In conclusione sono in acqua dall’età di otto anni, con la barca a vela, e da dieci pratico il Kite".
Chi ti ha sostenuto e incoraggiato permettendoti di raggiungere un così importante traguardo?
"Ho cominciato grazie a mia madre, che ha un timore pazzesco dell’acqua, ma l’approccio con la barca a vela è stato casuale.
Alcuni amici avevano seguito un corso e all’improvviso hanno cominciato a parlare in gergo velico. All’epoca praticavo il tennis ma, incuriosito dal loro modo di esprimersi, decisi di andare a seguire anch’io un ciclo di lezioni. Contemporaneamente vinsi un torneo al circolo di tennis e, poiché la premiazione coincise con la seconda lezione di vela, non presenziai perché preferii non perdere l’addestramento.
Ormai avevo deciso di diventare un 'Waterman', cioè di conoscere bene tutte le attività a propulsione eolica che si possano svolgere in acqua".
Aderite a competizioni ufficiali o il Kite si pratica, attualmente, solo a livello amatoriale e con il fine di istruire altri kiters?
"E’ ancora uno sport molto giovane, sebbene siano trascorsi dieci anni, e solo di recente è stato integrato tra le discipline olimpiche, con tutte le sue specialità: dalla 'free style' alla 'race'.
Qui non abbiamo ancora un circolo attrezzato che ci consenta di allenarci e di formare una squadra agonistica, così come facciamo con la Vela. Il Kite ha bisogno di vento forte e, nonostante Taranto sia ventilata, il problema è che non esiste un posto ben preciso che sia costantemente esposto. E’ difficile creare una base logistica, dunque, che consenta di allenarsi.
Per questo motivo è uno sport itinerante, bisogna recarsi ovunque ci sia la migliore condizione per lavorare in totale sicurezza. La stessa cosa vale per i corsi, cioè ci si sposta in base ad una ben precisa direzione del vento e compatibilmente con la presenza dei bagnanti, giacché l’attività velica contrasta con le spiagge affollate.
La Federazione Italiana Vela ha istituito un iter che bisogna seguire per diventare istruttori e a breve sosterrò un piccolo esame integrativo per divenire maestro di Kite. Nonostante ciò, sono molti anni che insegno e grazie a me molta gente a Taranto ha approcciato a questa disciplina".
Come hai conciliato una passione così impegnativa con il lavoro?
"Sono un’insegnante nella vita, pertanto ho acquisito una forma mentis didattica che, successivamente, ho scoperto essere un protocollo che funziona molto bene anche nel Kite ed è applicato nelle scuole più rinomate.
Vivo di musica perché sono un docente di chitarra classica, un mondo completamente diverso. Ho la fortuna, però, di aver trasformato le mie passioni in lavoro.
Il mio insegnamento è estremamente classico, anche se il mio spirito carioca, piuttosto caldo, si manifesta con l’amore per la musica sudamericana. Nel tempo, ovviamente, si potrebbe perdere l’appetito per una disciplina come quella che insegno, ma questa situazione si potrebbe presentare in ogni tipo di attività.
Il Kite è esattamente l’opposto, pertanto questo sport mi ha permesso di raggiungere un equilibrio: se pratico per molto tempo l’attività con lo strumento, necessito di tornare nel mondo del Kite, che mi allontana dalla chitarra ma mi ridona la carica per ritornare nel mondo della musica. E’ come una bilancia che a volte pende da una parte e a volte dall’altra.
Ritengo che, probabilmente, si tratti di quell’equilibrio che esiste tra sport e arte. Penso che lo sport sia una manifestazione artistica e che l’arte richieda, ugualmente allo sport, costanza ed allenamento. Insomma sia l’uno che l’altro presuppongono la stessa attitudine e propensione.
"Assolutamente sì! L’arte aiuta a vivere il vero sport del mare.
Praticare il Kite è vivere la natura, l’unica risorsa che abbiamo a Taranto e che fortunatamente sfruttiamo in toto. Qualsiasi attività acquatica si può svolgere in modo sano, competitivo e puro.
Avrei potuto trasferirmi lontano dalla Puglia e intraprendere la carriera di concertista, poiché dopo molti anni conosco bene lo strumento, però ho capito che non sarei stato felice. Questa attività mi avrebbe impedito di praticare il Kite e io ho bisogno di ricaricare le batterie in acqua, per ritrovare la giusta motivazione a tornare nel mondo della musica".
Evidentemente questo è il tuo modo di conciliare sport e lavoro: li vivi come condivisione con i tuoi allievi.
"La fortuna è che ho capito, nel tempo, di poter riuscire a trasmettere questa passione ai ragazzi. Me ne accorsi quando, all’età di 14 anni, il mio istruttore di vela ci portò a Gandoli, ci dotò di cinque barchette e un gommone, e ci affidò cinque ragazzi, chiedendoci di insegnare loro questa disciplina. Ovviamente eravamo supervisionati, ma un ragazzino vive l’esperienza di passare da essere allievo a coach con grande spirito di responsabilità. In questa occasione ho compreso di voler condividere questa mia passione e di essere predisposto ad insegnare.
Nella Vela, nel Windsurf e nel Kite ho tantissimi discepoli. Mi ritengo, pertanto, molto fortunato, anche se penso che la fortuna non sia l’unica componente.
Per divenire insegnante di chitarra classica ho frequentato sedici anni di conservatorio, ho sostenuto sessantaquattro esami, compresa l’abilitazione, e non è stato affatto facile. Ora ho tantissimi allievi, a livello musicale, e noto con piacere che lascio una traccia nella loro vita, permettendo loro di elaborare i contenuti e interiorizzarli per un continuo miglioramento.
La Vela mi ha aiutato, nei momenti pesanti di studio, a scaricare lo stress e la fatica. Dai 18 ai 21 anni ho allenato una squadra agonistica, poi ho realizzato la mia scuola a Marina di Pulsano. La Vela e il Kite sono una pura passione, pertanto tutto il profitto lo reinvesto per acquistare e migliorare la mia attrezzatura, molto costosa, giacché il sostentamento mi proviene dall’insegnamento".
Oltre a svolgere l’attività di istruttore, hai partecipato a qualche competizione di Kite?
"La Federazione Italiana Vela organizza a livello regionale un circuito di gare ed io ho partecipato nella specialità 'race', con la 'tavola twintip', ho vinto un paio di competizioni e mi sono classificato bene in altre.
Ovviamente per diventare un vero campione mi sarei dovuto trasferire all’estero e allenarmi in continuazione".
Quante ore bisogna dedicare a questo sport per diventare competitivi?
"In realtà bisognerebbe dedicare la vita e dare tutto se stesso per divenire un campione".
Qual è la tua condizione emotiva prima di ogni competizione o dell’addestramento dei tuoi allievi?
"Non credo che tutto si limiti ad una fisiologica scarica di adrenalina.
Esiste un famoso detto dei velisti che ripeto entusiasticamente ai corsisti: 'Chi si bagna con l’acqua salata non si asciuga più'.
Entrare in acqua e praticare uno sport, crea un rapporto intimo con la località nella quale ciò avviene. Ho viaggiato molto, ma una cosa è rimasta scolpita nella mia mente, un nuovo punto di vista: quello dal mare verso la terra. Il tutto condito dalla traversata con un mezzo divertentissimo.
Per il Surfista e il Kiter tutto ciò è come una sana droga. Si ascoltano continuamente le previsioni meteo e, appena c’è un po’ di vento, si incastrano gli appuntamenti di lavoro, anche solo per un’ora, si carica e si scarica l’attrezzatura e, a volte, all’arrivo le condizioni climatiche sono variate.
Ci si mette in mare e si può rompere l’attrezzatura, ma imperterriti si continua e si acquista quella nuova. Insomma, dopo vent’anni, c’è sempre la stessa passione.
Una bella e sana 'febbre' che, per un paradosso, sale anche d’inverno perché la spiaggia è libera ed è totalmente nostra e le condizioni di vento marino sono più 'hard'. Queste ultime sono davvero particolari e, chiunque le provi, ritorna in Puglia anche gli anni successivi. Addirittura i miei amici mi chiamano da Termoli e percorrono 330 Km, con il rischio di trovare condizioni meteo variate, ma affrontano questa eventualità.
Personalmente, d’inverno, dopo un po’ di giorni, la mia pelle avverte la necessità del contatto con l’acqua salata. Credo di essere affetto dalla 'sindrome dell’Uomo di Atlantide', non per niente reputo di essere l’unico ad avere un cane che nuoti sott’acqua".
Quali sono gli obiettivi futuri, ti senti realizzato così o vorresti raggiungere nuovi traguardi?
"Ho chiuso il cerchio perché ho trovato il mio equilibrio, pertanto mi dedicherò alla formazione. In acqua ancora realizzo ottime performance, ma mi dedicherò soprattutto all’addestramento di un ragazzino di 12 anni, molto promettente, che ha la possibilità di viaggiare e diventare un campione. Tale compito, ovviamente, comporta un’enorme responsabilità. Questo giovane già insegna con me, quindi si può immaginare l’elevato livello di competenza.
Il Kite va appreso a piccoli passi, giacché è uno sport fisico e molto veloce, ogni mossa è dettata dal puro istinto, non c’è tempo per pensare.
Praticare il Kite comporta saper stare in acqua, conoscere il linguaggio, saper navigare e solo se si comincia da piccoli c’è la possibilità di apprendere passo dopo passo tutto ciò.
Ad esempio, ho cominciato a 26 anni a praticare il Kite, ma da quando avevo 8 anni conoscevo bene la Vela, pertanto sono occorsi soltanto cinquanta minuti per apprendere questa nuova disciplina. Questo non perché io sia un campione, ma avendo le basi, ho semplicemente ricomposto tutti i tasselli".
Il mare rappresenta un elemento e una forza della natura e, come tale, va rispettato. Ritieni che il Kite rappresenti una sfida in questo senso o che aiuti ad acquisire il coraggio di affrontarlo, soprattutto nelle situazioni nelle quali si scatena in tutta la sua potenza?
"Secondo me la paura non esiste, si prova solo quando si affronta qualcosa che non si conosce. Se ci si trova in situazioni pericolose, ma si sa come operare, questo sentimento scompare.
Avere paura in mare vuol dire: buttarsi in determinate circostanze senza avere le competenze per affrontarlo. Il Kite è uno sport ad alta mortalità, ho perso anche degli amici e ho visto altri farsi molto male.
Il mare necessita di rispetto perché, come dico ai miei corsisti, che hanno dai 6 anni in su, se ci si fa male, prima bisogna tornare a terra e, se le condizioni sono avverse, c’è bisogno di competenze e di tempo per intervenire.
Io nutro un profondo rispetto per questo elemento della natura perché, portare gente in acqua, comporta una grossa responsabilità. Non metterò mai i miei corsisti nelle condizioni di affrontare il pericolo, senza prima avergli fornito gli strumenti per operare in totale sicurezza. Altrimenti diverrei causa del loro allontanamento.
Se ben guidati, la paura non esiste, anche se in un paio di circostanze ho rischiato la vita e ringrazio le competenze acquisite se mi sono salvato. Tempo fa a Frassanito ho perso l’attrezzatura al largo e la corrente fortissima mi impediva di tornare sulla terraferma, nonostante sia un esperto nuotatore. Da questo si deduce quanto, prima di diventare un campione, sia necessario imparare delle regole che permettano di gestire tutte le situazioni.
Bisogna avere l’umiltà di non far prevalere quella spensieratezza e sprezzo del pericolo, che caratterizzano soprattutto i giovani".
Gradiresti trasmettere al lettore un messaggio ben preciso?
"Vorrei diffondere nella città di Taranto la conoscenza del mondo del mare e della Vela. La fortuna e la sfortuna, al contempo, del tarantino consiste nella mentalità di vedere 'l’erba del vicino sempre più verde'.
Dall’anno scorso abbiamo cominciato, con il nostro centro velico, ad operare anche d’inverno con tanti ragazzini, sia con squadre agonistiche che di iniziazione.
I vari circoli, piuttosto che competere, preferiscono cooperare e personalmente ho una Scuola di Vela a Marina di Pulsano. Si iscrivono sia i turisti che i tarantini in vacanza, nel periodo estivo, ma lo scopo principale è far approcciare un numero sempre più alto di ragazzini a questo meraviglioso sport.
Tutte le volte che porto un adulto tarantino nelle nostre acque cristalline in barca a vela, spesso e volentieri, esclama: 'Perché non l’ho fatto prima?'.
In passato non c’è stata la possibilità di promulgare questo sport, così come accade negli ultimi tempi, e la differenza la fanno le persone che hanno voglia di diffondere questa realtà. Tutti i miei compagni ed io nel piccolo e quotidianamente cerchiamo, con tutta la passione possibile, di pubblicizzare il Kite e speriamo che in futuro ci aiutino anche i giovani che stiamo addestrando".
Il venticello caldo dell’ora del tramonto ci ha sfiorato tutto il tempo, rendendo ancora più piacevole la chiacchierata e la conclusione di una giornata piuttosto calda.
Il sole sta cominciando a nascondersi nell’acqua ed è giunta l’ora dei saluti e della canonica foto di gruppo. Nel guardare l’anteprima dello scatto, siamo tutti scoppiati in una fragorosa risata giacché il cane Lallo, posizionatosi in prima fila, ha atteggiato il muso come se sorridesse e si fosse messo in posa.
Degna conclusione di un gradevole pomeriggio alla scoperta delle bellezze e peculiarità del mare di Taranto ma, soprattutto, del meraviglioso mondo del Kite.