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Francesco Pugliese/Ora che le sirene non incantano più

Pubblicato da: Categoria: COVER

5
OTT
2017

La città vecchia, i profumi, i sapori di una terra portata nel cuore. Il Ceo di Conad parla di bellezza ma anche di errori, quelli di una classe politica e imprenditoriale che spesso ha tradito la propria mission

Ci piacerebbe, ma sappiamo già in partenza che l’impresa è non facilmente realizzabile, avere un libro nel quale poter leggere il nome di tanti tarantini che con il loro lavoro, il loro estro, studio e ricerche hanno onorato il nome della città di Taranto.
Un bel capitolo sarebbe da dedicare a Francesco Pugliese, amministratore delegato e direttore generale di Conad, cooperativa leader in Italia di imprenditori indipendenti del commercio al dettaglio. Pugliese, nato a Taranto nel 1959, ne è leader dal 2004, ne ha promosso e rafforzato lo sviluppo commerciale fino ad ottenere performance di eccellenza. Ricopre anche la carica di presidente di Conad Carni e consigliere di amministrazione di Alidis, l’alleanza strategica tra i sei maggiori gruppi di retail europei: Conad (Italia), Eroski (Spagna), Intermarchè (Francia), Edeka (Germania), Colruyt (Belgio), e Coop Suisse (Svizzera).
E' vice presidente di ADM - Associazione Distribuzione Moderna – 900 retailer, 32 mila negozi, e membro del Comitato di Presidenza e del Consiglio Direttivo di GS1 Italy.
Di recente ha assunto la carica di consigliere di amministrazione di Upa, l'organismo associativo che riunisce le più importanti e prestigiose aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità e comunicazione.
Manager di primo piano nel settore alimentare e della distribuzione, in precedenza è stato direttore generale Europa di Barilla e amministratore delegato e direttore generale del Gruppo Yomo.
Pugliese fino a oggi ha percorso una strada che lo ha visto protagonista di un settore con il quale ogni giorno ciascuno di noi si deve confrontare. Eppure nel suo campo è diventato una “eccellenza” o, ancor meglio, un “talento” speso bene in favore della collettività perché, non bisogna dimenticare, che il settore della grande distribuzione non può e non deve trascurare le classi medie e quelle povere della popolazione.
Lo abbiamo incontrato presso Masseria Bagnara dove, in una atmosfera di grande cordialità e ospitalità, interrompendo per qualche ora la sua vacanza, ha risposto alle nostre domande finalizzate ad avere una visione completa e inedita del nostro talento tutto tarantino.


Lei è nato a Taranto. Dopo gli studi superiori si è trasferito al Nord per completare gli studi universitari e, in seguito, per lavorare, facendo una carriera fino a ora strepitosa. Cosa le manca della sua città?
“Mi piace sapere che la mia città c’è, affacciata su un mare meraviglioso che la fa da padrone. Non può che mancarmi tutto, quindi: dal mare a ciò che sta sopra la terra e a quanto sta sottoterra, quasi invisibile, come i frantoi in cui già mille anni fa si faceva un olio con le profumatissime olive della terra di Puglia. Le sirene di Taranto, però, non incantano più: la città vive una lenta decadenza, tante zone sono lasciate andare, impera una certa “anarchia”. Spero nei giovani e nella loro intraprendenza, anche se sono convinto che serva tanto di più”.

Sappiamo che periodicamente torna a Taranto per vacanza e per presenziare a qualche evento. C’è un posto della città che ama particolarmente e che cerca di visitare prima di andar via?
“La città vecchia è quella che più parla al cuore dei tarantini e che si portano appresso, ovunque vadano. Cultura e storia che si impossessano di te appena metti piede in questi vicoli che respirano la vita quotidiana più intima dei rioni. C’è però un posto fuori Taranto a cui faccio fatica a rinunciare: la masseria Bagnara a Lizzano, un manciata di chilometri dalle dune di Campomarino. E’ la mia scorta di profumi, luci e panorami destinata a durare il più possibile per non farmi prendere dalla nostalgia, 'lassù' dove abito e lavoro, tra Parma e Bologna”.

C’è qualche prodotto della nostra terra che le piace particolarmente?
“Se indicassi un prodotto farei un torto a tanti altri. Siamo in una terra in cui il pesce e la carne della Murgia tarantina, il vino e l’olio extravergine purissimo, la pampanella e il cacioricotta, il capocollo di Martina, le friselle, il pane di Laterza… fanno la buona cucina a cui siamo abituati e che è conosciuta anche fuori dalla Puglia. Una cucina che respira i profumi del mare e delle vigne, che si colora del verde degli ulivi, del giallo dei campi, che è adagiata nel bianco dei marmi e delle pietre antiche”.

“Compiamo 50 anni. Vi diciamo grazie prima che voi ci diciate auguri”. Questo lo slogan utilizzato nel 2012 per festeggiare i 50 anni di vita della Conad. Quanto l’azienda ritiene importanti i suoi clienti? E quanto le loro opinioni influenzano le scelte aziendali?
“Attribuiamo alla relazione con il cliente una valenza fondamentale, così come al rapporto umano in occasione di una spesa. Lo facciamo in modo trasparente e coerente con il nostro impegno quotidiano.
Vogliamo essere un’insegna all’altezza delle attese e meritarci la fiducia di chi entra nei nostri negozi per una spesa, piccola o grande che sia. Ciò testimonia la sensibilità con cui prestiamo ascolto ai bisogni quotidiani – anche quelli del tutto nuovi – delle persone, dando loro risposte concrete, tangibili. Essere una grande impresa non è solo una questione economica o di patrimonio, se non si è capaci di contribuire alla soddisfazione di chi ci ha scelto anche per un solo acquisto”.

Il futuro del commercio al dettaglio sarà connesso, interattivo o ci dovremo aspettare qualcosa di nuovo?
“Crediamo che il futuro sarà questo. Occorre tuttavia capire come farlo con una certa compatibilità economica, poiché è necessario tenere presente che non è fonte di guadagno, ma di servizio per i clienti e di sostegno per il negozio fisico. Solo partendo da ciò si può pensare che possa contribuire positivamente alla crescita dell’impresa, costruendo valore e rafforzando i tre principali fattori competitivi: l’imprenditore, l’insegna e la marca privata”.

Quali sono le caratteristiche principali della vostra insegna, i vostri punti di forza e gli elementi di differenziazione dai vostri principali competitor?
“Siamo un’organizzazione di imprenditori dettaglianti indipendenti associati in cooperativa, unici nel panorama della moderna distribuzione italiana. Con una forte attenzione ai bisogni delle comunità, ai piccoli e medi produttori locali, alle economie del territorio.
Consapevoli che il valore economico, di mercato, viene generato dalla competizione, mentre il valore sociale che intendiamo costruire è basato sulla condivisione e sulla relazione con la comunità.
Una comunità che per Conad è fatta di persone, cittadini che diventano anche i clienti dei nostri negozi, animati da bisogni che non sono solo materiali, come l’acquisto di un prodotto, ma anche più profondi, legati alla vita della comunità, in famiglia, nello sport, nella cultura e nella scuola, nel lavoro”.

Lei ritiene che una Taranto senza Ilva sia possibile?
“L’Ilva è Taranto, ma Taranto potrebbe non essere necessariamente l’Ilva. Sarebbe, però, inutile e dannoso alimentare false illusioni: gli operai non vivono di sogni e le famiglie non di sole buone intenzioni. E’ evidente a tutti che l’Ilva ha creato e crea problemi ai cittadini e alla città, perché è nata nel tessuto urbano tarantino.
L’Ilva sconta interventi sbagliati e mancati per farne un vero motore dell’Italia. Molti gli errori, non solo dei politici ma anche di quanti – in primo luogo gli imprenditori – avrebbero dovuto spingere per risolvere il problema dell’Ilva e si sono invece arroccati a difendere privilegi e posizioni personali. Dunque ben lontano dal quotidiano che vivono i tarantini. Mi chiedo: è una 'favola' destinata a un lieto fine?”.

Anche quest’anno Conad ha deciso di aumentare l’investimento in comunicazione, in primis su tv, radio e stampa. L’headline “Persone oltre le cose” e la coppia socio-moglie risultano azzeccati e hanno colpito nel segno, cioè rimanere impressi nella mente di chi guarda lo spot. Quanto una pubblicità azzeccata può orientare nella scelta di un marchio invece di un altro e far mettere nel carrello un prodotto invece di un altro?
“Per le dimensioni e il ruolo assunti oggi dalla nostra insegna nel panorama distributivo italiano, il ruolo della comunicazione in Conad è di supporto all'attività dei punti di vendita, puntando sempre più ad essere di alta qualità, proponendoci in modo innovativo, creativo e sperimentando anche idee nuove. Crediamo occorra uscire dall'omologazione e farsi notare da un solo cliente in più perché ormai tutte le catene, anche le piccole, sono arrivate nei palinsesti nazionali di radio e televisione e il rischio è di appiattirsi in messaggi scontati e banali. L’obiettivo di una “buona” pubblicità è proprio quello di farsi ricordare e alimentare la discussione – le battute, anche – e la sensibilità che portano nel carrello un prodotto Conad anziché uno industriale”.

I farmaci di fascia C si possono vendere solo nelle farmacie. Ma per quale motivo? Perché sull'acquisto di farmaci primari devono rimetterci i cittadini, pagandoli di più? Per questo la Conad ha avviato la campagna “Liberalizziamoci”: insieme a Federazione Nazionale Parafarmacie Italiane e ad Altroconsumo chiedete che questi medicinali vengano venduti sia nelle farmacie sia nelle parafarmacie sia nei corner salute, sempre in presenza di un farmacista. A che punto è la vostra campagna?
“Come saprà il ddl Concorrenza approvato di recente non prevede la vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie. Senza concorrenza ritorniamo, però, al Medioevo. L’Italia è prigioniera del passato, ostaggio di corporazioni nate per difendere esclusivamente i propri particolari interessi. Complice anche la debolezza di una classe politica che non fa nulla per rendere moderno il Paese né mette in discussione le prerogative di pochi, date per acquisite come se fossero ormai un diritto. Non consideriamo però esaurito il nostro impegno: porteremo avanti la campagna Liberalizziamoci rafforzando le alleanze in atto e costruendone di nuove per esercitare pressioni in vista del prossimo ddl”.

“Il Paese vive in un limbo in cui si pensa che per arrivare al vertice di una piramide non sia necessario scalare, ma basti lanciarsi col parapendio”. E’ una frase contenuta nel suo libro “Tra l’asino e il cane”. Ci spiega meglio?
“E’ la metafora dell’ottenere il massimo senza fare nessun sacrificio. Arrivare laddove tanti altri arrivano solo a prezzo di sacrifici e rinunce, ma senza nessun compromesso. E’ il male del nostro tempo, di una società che – per dirla con Ennio Flaiano, scrittore e giornalista – fa sì che la linea più breve tra due punti sia l’arabesco, di un Paese bloccato e incapace di scegliere. Un Paese in cui è radicato quanto profondo il legame tra burocrazia e corruzione: più burocrazia significa più tangenti, più bizantinismi significano più corruzione”.

La Conad festeggia quest’anno il suo 54° anno di vita. Quali iniziative sono in porto per il futuro prossimo?
“Tutto ciò che facciamo è finalizzato a soddisfare i nostri clienti, ad accrescere la fiducia in Conad, a generare nuove relazioni e consolidare quelle in essere. E’ ciò che stiamo facendo, ad esempio, anche con il Grande Viaggio Insieme nella tappa che quest’anno ha toccato Lecce, altra perla del nostro bel Salento.
Vogliamo essere sempre più comunità per la comunità, con la persona al centro dei nostri impegni, ben consci che una comunità che sta meglio ed è soddisfatta è anche una comunità che ritrova il piacere di spendere e, soprattutto, di spendere bene”.

Taranto, miniera di beni culturali diffusi su tutto il territorio, vive un momento di incertezza per distrazioni o “cancellazioni” da parte del Governo. Quale messaggio vuole lanciare a questo proposito?
“Taranto è fatta di storia e di storie umane, di architetture e culture; è un’eccellenza della terra pugliese che non deve essere abbandonata a se stessa. E’ un viaggio nel tempo, tappa di infinite emozioni e bellezze. Il governo di un Paese civile non può abbandonare al proprio destino una città che è stata crocevia, fin dal Medioevo, di differenti culture che ne hanno connotato la crescita nei secoli e che oggi può avere un ruolo importante.
L’auspicio è che Taranto smetta di essere ostaggio di interessi economici e dello scontro tra poteri forti, di promesse fatte ma mai realizzate, di collusioni e corruzioni che l’hanno resa una città isolata dove anche la disperazione è spreco”.

Taranto, città sul mare. Ma cosa le manca per diventare città del mare?
“Penso a Taranto e mi viene in mente Bilbao, rinata con un cambiamento che è stato sì radicale ma che ha anche saputo conservarne l’anima e le più naturali emozioni. Perché non fare altrettanto con la mia città di nascita, orgogliosa dei propri tesori? Una città marinara, operaia, familiare che ha in sé tutte le risorse per trovare la voglia di riscatto e rinascere”.

Durante il nostro incontro abbiamo notato sul suo braccio un particolare tatuaggio con una sua particolare storia. Ci spiega meglio?
“E’ un tatuaggio Maori che mi sono fatto fare in Nuova Zelanda, quando alcuni anni fa ho seguito la finale dei campionati mondiali di rugby. E’ un motivo astratto che rappresenta la famiglia e raccoglie al suo interno le iniziali di mia moglie e dei miei tre figli. Un modo per averli sempre con me, per sentirmi sempre protetto da loro”.

Lei vive da molti anni a Parma. Cosa ha portato del suo Sud nella città romagnola?
“Un 'mare' di emozioni e sensazioni, il respiro lento di una terra che ti è compagna e amica, un’eredità fatta di passioni e schiettezza, una tenacia che è figlia degli ulivi che disegnano questa terra con il loro verde argenteo e la loro forza millenaria”.

Lei ha molti hobby, quale riesce a coltivare meglio nel suo tempo libero?
“Tarantino di nascita, ma juventino di cuore, la mia grande passione. Leggo tantissimo, cercando di essere aggiornato su tutto, anche al di fuori dell’ambito del lavoro, e amo cucinare. Venticinque anni trascorsi in Barilla e tredici in Conad hanno lasciato il segno.
Soprattutto, appena ho un po’ di tempo libero torno in Puglia, di cui sono del tutto dipendente”.

Dal breve, ma intenso curriculum vitae, dalle risposte date con spirito di grande apertura e sincerità, è venuta fuori la figura di un tarantino al quale tutti, ma soprattutto i giovani, dovremmo guardare.
Qualcuno potrebbe dire: “ma non ha fatto altro che il proprio dovere”. Sì, è vero, ma non tutti riescono a inserire nel quotidiano dovere quel “quid” che ne fa la differenza.
Pugliese fa parte di questa categoria ed è per questo che gli diciamo due volte “grazie”: la prima per la disponibilità avuta verso il nostro settimanale Extra Magazine, l’altra perché possa, incoraggiato dai risultati fino ad oggi ottenuti, andare sempre più avanti.
L’ultimo aspetto, prima di chiudere questo nostro servizio, che ci preme sottolineare, è la autentica “tarantinità” che emerge dalle risposte fornite. Sì, Pugliese è un talento, ma anche un “tarantino” doc che segue, come se continuasse a vivere nella propria città natale, le sorti, non sempre positive, di questa città poco fortunata sotto l’aspetto socio-economico ma certamente eccellente e talentuosa per la sua ultramillenaria cultura e per i suoi paesaggi che, nonostante i continui attacchi da parte delle fonti inquinanti, restano unici e splendidi in tutto il mondo.
 



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