Sono le 6:45 di giovedì 13 novembre 2014 e queste persone sono in fila in attesa che apra l’ufficio tributi. Qualcuno è davanti a quel portone, da quando ancora era tutto buio. Tra di loro non c’è né un assessore, né una delle groupie platinate che spesso, a suon di selfie, ne narrano le "eroiche" gesta. C’è solo tanta rabbia. Rabbia per essere qui a quest’ora del mattino (e meno male che il tempo è clemente); rabbia perché sono qui per l’ennesima volta (molti di loro ci sono già stati ad aprile per la Tares); rabbia perché la scadenza del 16 è alle porte e molti, così com’è successo altre volte, alla fine pagheranno perché “è meglio perdere questi, che non pagare questi e gli altri.”
Non si vede nessuno da questi parti e i pochi amministratori che attraversano l’atrio di Palazzo ducale, lo fanno a capo chino e in tutta fretta. Non si vedono quei consiglieri che quando erano seduti tra i banchi della minoranza invitavano a ribellarsi, mentre ora, seduti in maggioranza (a seconda dei giorni, dell’umore o delle richieste da avanzare), preferiscono le esternazioni criptare sui social network perché tra la gente non hanno il coraggio di presentarsi; non si vede nessuno che abbia il coraggio di chiedere scusa, aspettando magari un’altra “autogestita” con domande imbarazzanti del tipo: “Sindaco, lei la Tares la paga?” Tanto poi, tra un Bova e un Saviano, tutto finisce a fave e foglie. E non si vede chi per primo, magari non per responsabilità diretta ma oggettiva, dovrebbe dimettersi: l’assessore al bilancio Lorenzo Basile.