Come consuetudine ogni fine settimana ci si mette d’accordo e si va a cena fuori. Quel sabato sera, quando ci incontrammo verso le 20:00 e…
Francesco, affrettandosi a precisare che il menù offerto sarebbe stato vario e pertanto, per chi avesse preferito la pizza non ci sarebbero stati problemi, ci informò che aveva già prenotato in una trattoria di Martina Franca, perché lui aveva una gran voglia di un bel piatto di arrosto misto. Arrivati a Martina Franca e lasciate le macchine in piazza Vittorio Veneto, ci incamminammo verso il centro storico: Piazza XX Settembre, Porta Santo Stefano e arrivo sotto i portici di piazza Maria Immacolata. Eravamo tre coppie e in trattoria subito ci venne indicato il nostro tavolo e serviti i primi antipasti. Mentre stavamo parlando tra noi delle solite noiosissime cose, nel locale entrò un gruppo di ragazzi vocianti, forse una quindicina, che si andò a sistemare nella tavolata predisposta di fronte a noi. Osservandoli pensai che sembravano tanti soldatini in divisa: tutti in jeans sgualciti, se non addirittura strappati sulle ginocchia, camicia rigorosamente penzolante fuori dai pantaloni e giubbotto di tela. Anche la capigliatura era pressoché uguale alle altre: rasatura a zero intorno alle orecchie e nuca e un’impalcatura a cresta di gallina sulla testa. In mano, al posto del fucile stringevano, pronto all’uso, il proprio cellulare. Anche l’abbigliamento delle ragazze non si differenziava molto da quello dei maschietti: jeans rigorosamente uguali, t-shirt colorata, felpa nera o rossa. Tutte si potevano identificare, assieme ai maschietti, come appartenenti ad un’unica categoria: “a quella beata e rimpianta gioventù, per me sfumata ormai da tanti anni.” Dopo aver fatto un rumore assordante spostando sedie e posate nell’accomodarsi, a quel tavolo tornò improvvisamente un silenzio da convento di clausura. Tutti, ma proprio tutti, si erano estraniati e tuffati sui propri telefonini. Chi si stava slogando i pollici pigiando i tasti ad una velocità da record, chi lo teneva in mano come una reliquia, chi l’aveva appoggiato sul tavolo, davanti al proprio piatto e faceva scorrere immagini o rubrica, chi invece si guardava intorno preoccupato per la mancanza di campo e di ricezione internet. Solo quando si presentò il cameriere con penna e blocchetto in mano, si verificò un pigro risveglio della comitiva, ma durò poco, solo il tempo di mettersi d’accordo sulle ordinazioni e per specificare che tipo di pizza avrebbero preferito, poi tutto tornò nel totale silenzio, intercalato solo da qualche bisbiglio, qualche frase sommessa, ma non scambiata tra loro, bensì rivolta al proprio cellulare.
Tutto ciò mi fece sorridere e mi soffermai a riflettere sull’atteggiamento di quei soldatini in “divisa”, tanto da non seguire più la conversazione che al mio tavolo stava prendendo vigore. Mi venne in mente quella volta, molto tempo addietro, quando la villa di famiglia fu venduta e passò di mano. Mio padre, quella sera tornò a casa con uno scatolone pieno di fotografie sbiadite e di corrispondenza ingiallita. Prima di consegnare le chiavi al nuovo proprietario si era fatto un giro stanza per stanza e in soffitta aveva trovato questo scatolone, dimenticato lì chissà da quanto tempo. Guardando le foto e leggendo le lettere, scoprii che si trattava dell’epistolario intercorso tra il mio bisnonno paterno Germano e la bisnonna Emma. Le lettere, alquanto sgrammaticate, non erano datate, ma si potevano collocate approssimativamente intorno al primo ventennio del ‘900. Erano lettere che il mio bisnonno aveva inviato dal fronte. In una, scritta poco prima della rotta di Caporetto, si leggeva, per aggirare la censura militare: “Cara Emma, io sto bene così penso di te……. Qui vanghiamo, non zappiamo.” Per significare che non avanzavano, ma si stavano ritirando, e nelle giornate dal 24 al 26 ottobre 1917 anche le autorità militari avevano capito il significato di quell’enigmatico vangare e non zappare. Le vecchie famiglie contadine sanno bene che per vangare la terra si deve retrocedere e per zappare, invece, si avanza.
Nello scatolone c’erano anche dei semplici biglietti scritti su carta oleata, su ritagli di giornale o sul retro di qualche busta gialla. Erano frasi quasi infantili, scritte con mano tremante, insicura e con degli evidenti errori di ortografia. Su uno di questi foglietti si leggeva: “Questa sera passo dall’orto e ti aspetto nella serra. Cerca di venire senza riscare (rischiare). “Se si o no dillo direttamente a Ofelia che ti porta questo mio biglietto.”
Non so per quale ragione la mia bisnonna Emma abbia voluto conservare tutti quei biglietti. Suppongo perché riteneva quelle frasi, quelle parole, dei piccoli frammenti di quotidiano, di un amore intenso da tenere riservato e sconosciuto agli altri. Con chi si sarà confidata? Avrà avuto delle amiche fidate? Chi sarà stata questa Ofelia? Lei ha mai risposto ai biglietti del suo Germano? Domande che resteranno per sempre senza risposta, con la sola certezza che si sono sposati ed hanno avuto 5 figli, tutti maschi e tra questi mio nonno Quirino, classe 1919.
Cento anni sono trascorsi da quando quei bigliettini, ora sgualciti e ingialliti, sono stati scritti. Emozioni e stessi batticuore dai giovani d’oggi e di sempre, certo, ma quanta differenza. Di questi biglietti, presumibilmente scritti prima della grande guerra e prima che i miei bisnonni si sposassero, ne ho trovati a decine, forse un centinaio e ora mi portano a fare un improbabile parallelo con i figli e i nipoti del nostro tempo, con questi ragazzi seduti davanti a me, tutti rigorosamente dotati di cellulare che con un SMS, whats App o email, in un attimo possono mettersi in contatto tra loro, dovunque si trovino e senza intermediari, spioni, curiosi o censure di sorta. Anche il mio avo Germano, contadino e allevatore, forse avrà rischiato di slogarsi un polso, sporcandosi sicuramente le dita di inchiostro, per scrivere quei arzigogolati pensieri alla sua Emma. Poi però, non avendo a disposizione il tasto invio, a differenza di questi ragazzi che preferiscono comunicare con i pollici e guardare un display, invece di parlare tra loro, avrà dovuto mettere quei pensieri spiegazzati inevitabilmente nelle mani di cortesi e fidati amici o amiche, per farglieli recapitare.
Quanti anni sono passati, quante invenzioni e innovazioni, diventate ormai indispensabili e irrinunciabili, si sono succedute negli anni. Ma al posto di questi TVB – TA – TP – TD – non sarebbe più piacevole e delicato dire per intero e a voce quello che si pensa e si prova?
Arrivato l’arrosto misto con i contorni, sono stato richiamato alla realtà da mia moglie e dagli amici: “Hai appena assaggiato gli antipasti, non hai voluto le orecchiette, né la pizza, assaggia almeno questo straordinario arrosto”, mi disse Francesco, portandosi alla bocca la salciccia e infilzando con la forchetta una costoletta di agnello.