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Il racconto/ Il bagnino di lido Venere

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

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LUG
2015
Tutti e due frequentavano l’ultimo anno al liceo classico Manzoni. Ricca e viziata lei, lui lavoratore e timido. I loro destini si incrociano, complice l’estate
 
 
Martino era un bel ragazzo, studente modello e primo della classe. Figlio di un artigiano e di una casalinga, passava l’estate al lido Venere, dove faceva un po’ di tutto: dal bagnino al parcheggiatore, dal cameriere al barista. Carmela, se non ultima della classe, poco ci mancava. Ed anche per essere antipatica le caratteristiche non le mancavano: altezzosa, ricca di una famiglia di notai da generazioni; odiosissime smorfie che accentuava quando parlava, e poi quel suo voler ostentare un abbigliamento casual, uguale a tante ragazze, ma che si capiva che quei capi e quelle scarpe non erano alla portata di tutti. 
Una domenica mattina, verso mezzogiorno, mentre Martino stava accompagnando dei villeggianti al loro ombrellone, si sentì chiamare. Era Carmela che facendogli segno di fermarsi lo stava rincorrendo lungo la passerella. Martino, chiedendosi cosa mai potesse volere da lui, che non lo aveva mai degnato di uno sguardo, nemmeno a scuola, sistemate le sdraio, stava per tornare verso l’ingresso del lido, ma lei lo trattenne: “Martino ho bisogno di un grosso piacere. Fermati un attimo per favore. Devo risolvere un casino che abbiamo combinato questa notte”, gli disse, prendendolo per un braccio e facendolo girare verso di lei. “Che ti serve?”, le chiese stupito, sia per l’incomprensibile richiesta e perché aveva smesso quella odiosissima altezzosità. “Senti. Tuo padre non è un artigliano?” “Sì. Fa il carrozziere, e allora.” “Ho un problema e devo risolverlo entro pochi giorni, prima che i miei tornino da Londra.” “Cioè? Non capisco.” Insistette Martino. “ Questa notte abbiamo tirato tardi a casa. Una serata tra amici. Abbiamo approfittato, la casa era libera. Sai com’è.” “No. Non so com’è.” Le rispose piccato Martino, che stanco morto andava a letto alle dieci di sera, perché alle sei di mattina doveva già alzarsi per correre in spiaggia a rassettare la sabbia e sistemare gli ombrelloni prima che arrivassero i bagnanti, con i loro teli, borsoni e figli maleducati. “Aspetta un attimo. Senti almeno quello che ho da dirti.” gli ripeté, trattenendolo per un braccio. “Dimmi che ti serve. Ma sbrigati però. Come vedi ho da fare.” La incalzò lui, mentre sistemava altre due sdraio e un ombrellone per dei villeggianti sopraggiunti in quel momento. “Ho un problema”. ”Sì, questo l’ho capito. E poi?”, rispose ormai snervato Martino. “Il fatto è questo: ieri sera, come ti ho detto i miei si trovano a Londra da mio fratello, ci siamo riuniti tra amici e un cretino, che non è altro che un cretino, con una sigaretta ha bruciacchiato l’orlo di un tavolino del salotto e poi, per completare l’opera, ci ha rovesciato sopra un bicchiere di brandy che ha lasciato un alone grande così proprio al centro del tavolo. Non puoi immaginare quanto ci tenga mia madre.” “Al brandy?“ Chiese ironico Martino. “Ma no. Smettila di prendermi in giro. Non riesci proprio a capire quanto sia importante per me risolvere questo problema? A quel tavolo mia madre ci tiene un sacco. Capisci?” “Si. Ho capito. Ma io che dovrei fare?” Insistette ancora Martino. “Ecco, hai detto che tuo padre è un artigiano, giusto? Lo incalzò Carmela. “Si. Ti ho detto che è un carrozziere e allora?” “Allora…. Se lui lo rimettesse a posto… Non so… lo strofina, lo vernicia, lo aggiusta insomma…..” “Insomma… Ma allora sei scema. Ti ho detto che fa il carrozziere. Ripara e vernicia macchine. Non ripara tavoli. Non fa il falegname.” 
Carmela tanto insistette e tanto pregò che quando Martino tornò a casa ne parlò al padre. Il quale, quando capì cosa chiedesse il figlio, prima rimase con la forchetta a mezz’aria e la bocca aperta, poi si rivolse con la stessa frase che lui aveva usato con Carmela: “Ma allora sei scemo.” Comunque, dopo le insistenze e le spiegazioni di Martino, il padre si impegnò a chiamare un amico, che si intendeva di restauri e d’antiquariato, e chiedergli cosa si potesse fare per evitare un infarto Quando, dopo qualche giorno, i genitori della ragazza tornarono dall’Inghilterra, la casa era talmente linda e pulita che nessuno ebbe niente da ridire e a quella piccola e leggerissima sfumatura più scura che era rimasta all’angolo del tavolo rettangolare in stile rococò, come aveva sentenziato che fosse il restauratore, nessuno fece mai caso. Da quel giorno, sarà stato per riconoscenza, sarà stato per simpatia, quando si incontravano, Carmela lo salutava sempre volentieri e spesso si fermava a parlare con lui. Sebbene si rendesse conto della distanza abissale che si frapponeva tra loro, a Martino faceva piacere che lei gli dimostrasse delle attenzioni, della cordialità e che si fermasse a parlare con lui. Una volta, agli inizi di settembre fu anche invitato a pranzo a casa sua. Era andato per tradurre una lettera del fratello che, sebbene sapesse che nessuno conosceva quella lingua, da Londra aveva scritto a casa in inglese. A tavola Martino si sentiva a disagio, sui carboni ardenti, fuori posto tra quella gente affettata che a lui risultava falsa e di una cortesia forzata. E poi erano tutti così eleganti: il notaio, seduto a capotavola, non si era nemmeno tolto la giacca, né la cravatta, e dalle maniche gli spuntavano due gemelli d’oro grandi come due mandorle; e la signora, come aveva precisato lei stessa sedendosi all’altro capo del tavolo, indossava ancora un elegantissimo l’abito da passeggio perché a causa del traffico aveva fatto tardi e non voleva far attendere l’ospite. Martino, udendo pronunciare quella banalità, e sentendosi chiamato in causa, mentre una solerte cameriera, in abito nero, cuffietta e grembiulino bianco ricamato, gli si era avvicinato con il vassoio degli antipasti, rivolse alla signora uno studiato e slavato sorriso compassionevole. “Su su, prendi. Senza complimenti. Serviti pure.” Gli disse il notaio con un’aria da carità cristiana, più che da padrone di casa all’ospite. Lui, mentre pensava a suo padre che a tavola si sedeva con la tuta che indossava in officina e che e la madre aveva sì l’abito, ma era sempre lo stesso, sia per casa, per la sera e all’occorrenza anche per uscire, facendo ciondolare il capo in segno di assenso, sfilò dal vassoio due fette di prosciutto e una mozzarellina e le depose nel piatto. Il pranzo, per tutto e quel cerimoniale ottocentesco, gli sembrò interminabile, tanto che alla fine non ne poteva più e non vedeva l’ora di andarsene. Dopo quel giorno, anche se invitato, a casa loro non ci tornò più. Continuò a frequentare Carmela, ma fuori, soprattutto nei fine settimana. Provava una piacevole sensazione quando stava con lei, o quando sentiva la sua voce al cellulare. Cosa fosse ancora non lo sapeva. Non voleva innamorarsi: si era chiuso a riccio dopo una delusione cocente e non voleva ricascarci. Era stata una storia breve, la durata di un’estate, ma così intensa da aver lasciato una ferita profonda. Conosciuta al lido, era una ragazza milanese che con i genitori era venuta a passava le vacanze al mare: si erano subito piaciuti e innamorati. Poi, a fine estate, non gli rimase altro che il suo numero di cellulare, qualche istantanea, tanta amarezza, delusione e un grande vuoto dentro. Carmela, le piaceva e lei gli dimostrava altrettanta simpatia, ma non era la stessa cosa. Una sera, all’uscita del cinema, mentre la stava accompagnando a casa, pensando che fosse comunque arrivato il momento, si mise alla ricerca di un posto tranquillo per parlarle e magari baciarla. Fermo al semaforo, mentre cercava le parole giuste da dirle e soprattutto il coraggio, sentì Carmela che gli diceva: “Guarda che è diventato verde da un’ora, cosa aspetti? Prontooo? Ci sei?” Lui, sporgendosi per sbirciare il semaforo, lasciò andare la frizione e senza pronunciare parola proseguì sino sotto casa di Carmela. Dopo aver aperto la portiera, lei si girò e guardandolo stizzita, gli disse: “ Credevo… Cioè, mi aspettavo che almeno questa sera ti saresti deciso, ma vedo che proprio non ti interesso.” Lui le prese la mano e le rispose: “ Hai ragione, Carmela. Scusami, volevo farlo, credimi. Ma hai visto anche tu, il semaforo era diventato verde.” 
Quando Carmela sparì dietro il pesante portone, Martino prese il cellulare e chiamò la ragazza di Roma per dirle che aveva deciso, Avrebbe frequentato l’università a Milano. Non aveva importanza la facoltà, l’importante era che lei gli dicesse che lo amava ancora.
 


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