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Il racconto/ PRANZO DI FERRAGOSTO

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

14
AGO
2015
Per evitare l’affollamento di pentole, tegami, mestoli e scolapasta in cucina, assembramenti di parenti e amici in sala da pranzo e l’accatastamento di soprabiti e cappotti sui letti di casa, mia moglie ha indetto un referendum tra sorella, cognate e amiche, per decidere se fosse il caso, nelle feste comandate, di non cucinare più in casa, ma andare a pranzare fuori
 
Quando arriva Natale, Capodanno, Pasqua, Ferragosto e qualche altra festa familiare, lasciando l’onere di scegliere il ristorante, il menu e i vini a mio cognato, si va tutti a pranzo fuori.
Una domenica d’agosto, di qualche anno fa, l’appuntamento era per le 13:30, ma arrivati in anticipo, io e mia moglie abbiamo parcheggiato l’automobile e tenendo d’occhio l’ingresso del ristorante abbiamo fatto due passi su quel tratto di litoranea. Era una splendida giornata di sole e il caldo così intenso da doverci riparare sotto le fronde di alcuni salici che ornavano il marciapiede. Il traffico a quell’ora era quasi inesistente e la strada infuocata era percorsa solo da frettolosi bagnanti e da frotte di ragazzini che non vedevano l’ora di tuffarsi in mare. Mentre attendevamo l’arrivo dei parenti venni attratto da una coppia giovanissima che seduta su una panchina, tenendosi per mano e guardando verso il mare, stava mangiando un pezzo di focaccia. Si scambiavano qualche parola e poi ricominciavano a masticare silenziosamente quell’improbabile pranzo ferragostano.
Ripassandoci accanto, sorridendo e buttandola lì, chiesi: “Mangiare a quest’ora la focaccia, non vuol dire rovinarsi l’appetito e il pranzo?”
La coppia alzò lo sguardo e la ragazza, guardando prima il suo compagno e poi me, rispose: “ Il pranzo è tutto qui. Non stiamo rovinando proprio niente.”
“Come mai” insistetti io. Poi, accorgendomi della gaffe che stavo facendo replicai: “Scusatemi ragazzi. Avete ragione, non sono fatti miei.”
“Di niente”. Intervenne il ragazzo: ”E’ solo che non abbiamo soldi e a casa dei nostri genitori è meglio che non ci andiamo.”
“Mi spiace”, replicai: “Niente di grave, spero. Vi auguro che siano solo incomprensioni passeggere. Siete così giovani.”
“Incomprensioni che durano da sempre, purtroppo.” Aggiunse la ragazza. “Lui è disoccupato e non trova lavoro. Io aspetto un bambino e viviamo alla giornata, e questa è il ferragosto che ci tocca.”
Non so quale impulso mi abbia spinto a farlo, ma li invitai al ristorante. La coppia si guardò perplessa e poi rivolse lo sguardo verso mia moglie, come a chiedere conferma di quello che avevano sentito. Mia moglie altrettanto esitante chiese, più a se stessa che a noi: “E se non ci sono più tavoli?”. “Ci stringiamo e mangiano con noi.” Ribattei io, sapendo che non sarebbe stato facile farlo accettare ai commensali. Detto ciò, invitai il ragazzo a seguirci e lui, preso la mano della sua compagna, l’aiutò ad alzarsi e assieme attraversammo la strada per dirigerci verso il ristorante. 
Un tavolo per due fu subito trovato e i due ragazzi, ancora increduli e tenendosi sempre per mano si sedettero. Quando al loro tavolo arrivò il cameriere per le ordinazioni, loro ammutolirono e disorientati si voltarono verso di me, allora feci cenno di portare loro il menù predisposto per noi e se desideravano dell’altro, di accontentarli. Alla fine dell’interminabile banchetto ci alzammo e la coppia, che era uscita dal locale prima di noi, vedendoci, si avvicinò per ringraziarmi ancora una volta. Preso da un eccesso di generosità, così almeno lo definì mia moglie, trassi il portafoglio e detti loro 50 euro: “Per domani. Auguri.” 
La ragazza, incredula, rigirando tra le mani la banconota mi guardò sorridendo:” Grazie, ma questi è meglio che li teniamo da parte per il bambino. Nascerà tra quattro mesi.”
In macchina, sulla strada di casa, mia moglie mi fece notare che non ci eravamo presentati e non sapevamo nemmeno i loro nomi: “Solo tu riesci a creare certe situazioni assurde: Incontri due sconosciuti, parli un momento con loro, subito li inviti a pranzo e al momento di salutarli dai loro anche del denaro, senza sapere chi siano, come si chiamino.” Mi girai verso di lei per replicare, ma guardandola capii che stava approvando quello che avevo fatto e stetti zitto.
 
Tempo dopo, molto tempo dopo, entrando nella sala d’aspetto di un ambulatorio dentistico, trovai seduti in attesa del loro turno due signore e un papà con due adolescenti che gli sedevano accanto. Mi sedetti anch’io e presa una rivista dalla mensola che traboccava di riviste, cominciai a sfogliare distrattamente le pagine di un settimanale vecchio almeno di un paio d’anni. Attraverso la porta chiusa del laboratorio arrivava il rumore inconfondibile di un trapano che stava scavando a pieno regime e le due ragazzine preoccupate, guardando il padre, chiesero: “Ma questo è il trapano, lo devono usare anche con noi?” Lui le rassicurò dicendo che erano lì solo per controllare e registrare l’apparecchio che avevano per allineare i denti. Io sorrisi e il padre, guardandomi, annuì. Mi accorsi però che l’uomo non smetteva di guardarmi. Scambiava qualche parola con le figlie e poi si girava ancora verso di me e mi fissava. Imbarazzato e pensando che quel mio sorriso fosse stato frainteso stavo quasi per scusarmi, quando l’uomo alzandosi mi rivolse la domanda: “Mi scusi, lei, per caso, qualche anno fa, più di qualche anno fa, si ricorda di aver offerto un pranzo ad una coppia?”
Lo guardai sorpreso. No, non ricordavo di aver mai offerto pranzi a coppie. Cercai nella memoria, ma proprio non riuscivo a ricordare. “Era il giorno di ferragosto, due ragazzi, un ragazzo e una ragazza, stavano seduti su una panchina della litoranea e lei gli ha invitati a pranzo. Era ferragosto. Ora ricorda?” Scossi la testa in segno di diniego, a disagio e non sapendo cosa rispondere, mi aggiustai meglio sulla sedia, sperando che si aprisse subito la porta e l’infermiera chiamasse il prossimo paziente. “La ragazza era incinta. Ora ricorda? Lei era con sua moglie e ci invitò al ristorante. Eravamo io e mia moglie. Stavamo mangiando un pezzo di focaccia seduti su una panchina di fronte al mare, ricorda?” Alzandomi annuii. Improvvisamente mi era tornato alla mente l’episodio accaduto non so quanti anni prima. 
“Io sono quel ragazzo e queste sono le mie due gemelle. Mia moglie ancora ne parla perché da quel ferragosto tante cose sono cambiate.” Mi disse avvicinandosi e abbracciandomi, mentre le due ragazzine ci stavano osservando esterrefatte. Io imbarazzato contraccambiai l’abbraccio senza replicare. Mi raccontò che subito dopo quel pranzo aveva trovato lavoro presso un fornitore all’ingrosso di prodotti per bar e ristoranti. Guidava il furgone della ditta, faceva le consegne e anche il magazziniere e lo stipendio gli bastava per tirare avanti e pagare l’affitto di casa. “Avrei voluto ringraziarla per quel pranzo e la fortuna che ci ha portato, ma non sapevo come rintracciarla. Dopo la nascita delle gemelle anche le controversie con le famiglie si sono appianate ed ora, finalmente, stiamo attraversando un periodo di serenità”. Mi disse anche che la moglie aspettava un altro bambino e che era felice di poterle dire che mi aveva incontrato, salutato e finalmente ringraziato. Quando l’infermiera lo invitarlo a seguirla, lui si alzò e mandò avanti le figlie poi, girandosi verso di me: “Scusi, abbiamo parlato per una buona mezz’ora, ma non ci siamo presentati nemmeno questa volta. Io mi chiamo…….” “No. Non dica nulla” Lo interruppi. ”Non mi dica il suo nome, come io non le dirò il mio. Lasciamo che quella dimenticanza di allora rimanga un piccolo mistero inespresso. Forse quello che mi ha raccontato non è mai successo ed è solo frutto della sua immaginazione.” Conclusi.
Seguendo l’infermiera che lo stava aspettando per richiudere dietro di se la porta, mi sorrise: “ Si. è successo. E come se è successo! Io me lo ricordo benissimo e anche lei se lo ricorda. Ma se vuole, facciamo come dice lei. La saluto, ma a mia moglie che l’ho incontrata e le ho parlato glielo devo proprio dire, per forza. Buona serata e ancora grazie di cuore.”
Rimasto solo nella sala d’attesa, guardai l’orologio e pensai che si era fatto tardi, o forse era stato quel persistente ronzio del trapano, o il desiderio di tornare nell’oblio che mi fece alzare ed uscire. Tirato su il bavero del loden e messo le mani in tasca per ripararmi dalla tramontana, mi avviai verso casa, contento di constatare che qualche volta le miserie quotidiane possono avere anche un lieto fine.
 


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