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L´ARRIVO DELLE FESTE DI FINE ANNO

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

24
DIC
2015

Che il Natale fosse alle porte si era capito già da un pezzo: le vie illuminate a giorno da mille luci supplementari, gli alberelli stilizzati e luccicanti sui marciapiedi; la gente che si ferma a guardare le vetrine tutte scintillanti e piene di articoli da regalo ci stavano avvertendo dell’arrivo delle feste. 

E mi viene in mente quando le feste natalizie si aspettavano quasi al buoi.

Appena iniziavano le vacanze si buttavano sotto il letto i libri e i quaderni, per i compiti il tempo si sarebbe trovato in seguito, magari la sera del sei gennaio, e si andava subito in campagna a cercare il muschio per il presepe, dopodiché si sostituivano le lucette fulminate, si acquistava qualche pastore o pecorella che si era rovinata, si sgomberava un angolo della casa e si procedeva alla costruzione del presepio, sempre più grande e sempre diverso da quello dell’anno precedente.

Per i regali le aspettative non erano molte, perché si sapeva, erano sempre gli stessi. Da piccolo la facevano da padroni i soldatini di cartapesta, il cavallino a dondolo, o qualche automobilina che si ricaricava a molla. I più grandicelli sotto l’albero potevano trovare il trenino elettrico, il cinturone con la pistola e la stella da sceriffo del West o, in alternativa, la scatola del meccano per costruire sempre nuovi oggetti: gru, auto stilizzate, macchine agricole o aerei che non si sarebbero alzati in volo nemmeno se lanciati con una fionda. 

Le femminucce trovavano sempre le solite bambole che capovolgendole chiamavano mamma e indossavano i vestitini di pezza e le scarpette di plastica; la scatola della piccola sarta o quella della cuoca. Per i figli dei meno abbienti invece, ben celati tra i torroni e le poche caramelle, c’erano sempre gli astucci portacolori, le matite e i pennini da intingere nel calamaio, i quaderni e l’albo da disegno che subdolamente i genitori volevano far passare come regali portati da Babbo Natale.

Crescendo, sotto l’albero si cominciavano a trovare sempre meno giocattoli e sempre più cose che a noi ragazzi non interessavano proprio: scatole contenenti sciarpe, scarpe, guanti e calzettoni di lana. Verso i dodici e i tredici anni arrivava magari l’orologio da polso, con il cinturino di metallo quasi sempre troppo largo e che pertanto veniva subito fatto sparire dalla mamma e messo da parte in attesa che ci si irrobustisse abbastanza da non far involontariamente scivolare via l’orologio.

Chi invece voleva proprio esagerare, sotto l’albero faceva trovare al figlio una bicicletta e magari l’ambitissimo pallone di cuoio. Ma questi erano regali rari e fatti solo da gente ricca che voleva dimostrare, anche in quella circostanza, la loro elevata o presunta tale, condizione sociale.

Un Natale, sotto l’albero ci trovai il libro Cuore di De Amicis e ci rimasi male. Così il Natale successivo i miei genitori fecero un salto di qualità e chiesero a Babbo Natale di portarmi I Promessi Sposi di Manzoni che, saltata a pie’ pari l’introduzione, non sono mai riuscito, comunque, ad andare oltre il primo capitolo perché quel buon uomo di Don Abbondio, con il suo breviario in mano, non si decideva mai ad allungare il passo per andare in contro al Griso e ai sui bravi che lo stavano aspettando appoggiati al muretto. (Ho però saputo in seguito e per vie traverse, che Renzo e Lucia alla fine del romanzo sono riusciti a sposarsi e così mi sono anche risparmiato di leggere le 561 pagine del libro). 

Ora tutto è cambiato. O meglio, dai zero ai quattro anni i bambini si riescono ancora a gestire e a regalare loro i soliti scontati giocattoli, ma per i più grandi è diventato un vero problema e ben più oneroso, perché ci si deve orientare sugli articoli elettronici e tra questi scegliere il migliore. Cellulari di ultima generazione, che anche se sono stati ideati per telefonare, ciò non è importante, è indispensabile invece che abbiano dei mega byte con infinita memoria; l’illimitata possibilità di navigare in internet; l’accesso a Facebook; Mail; Maps; Messenger; Navigatore satellitare; Giochi (per i momenti di apatia o di attesa), YouTube e WhatsApp. In più, naturalmente, tutte quelle applicazioni necessarie per archiviare foto e filmati, nonché le derivazioni e gli accessori indispensabili per non far fare al figlio una figura barbina con i propri amici. Poi tablet, grandi come televisori; Ipod con annesse cuffiette per poter ascoltare la musica durante il tragitto da casa a scuola e viceversa e, all’occorrenza, se il professore è proprio uno di quelli pesanti come un masso, anche durante la lezione. 

E il giorno di Natale? Anche qui tutto è cambiato. Ricordo che mia madre si alzava quando fuori era ancora buio e andava alla prima messa e quando tornava si metteva subito ai fornelli e li ci rimaneva sino a sera, e io, dopo tanti anni, non ho ancora capito se quello che si mangiava a pranzo era stato cucinato in mattinata o erano gli avanzi della cena, perché erano le stesse cose e avevano sempre lo stesso sapore.

Per l’ora di pranzo arrivavano tutti e allora a tavola era una gran festa. C’erano i nonni e gli zii, i cugini e le cugine (che tra noi ragazzi era sempre una corsa per chi riusciva a sedersi vicino alla più carina e alla più disinvolta). Mio padre sedeva a capotavola, di fronte a suo padre, il nonno, che aveva i baffi alla Francesco Giuseppe e beveva il caffè solo se era corretto con la grappa. Mia madre, praticamente mangiava in piedi, tra una portata e l’altra, perché se non era impegnata ai fornelli stava apparecchiando o sparecchiando la tavola. Le sedie e i tavoli non bastavano mai e allora si andavano a chiedere alla vicina, la signora Centi, vedova, sola e anche sorda che non apriva mai a nessuno e allora, sapendolo, mia madre iniziava a spiarla già dai primi di dicembre e quando la vedeva rincasare, fingendo di incontrarla casualmente, le reiterava la richiesta, ma le sedie non si muovevano sino a quando mia madre non invitava anche lei a mangiare da noi. 

Il pranzo aveva inizio sempre alle tredici in punto, con i soliti antipasti fatti in casa, cioè con salame, formaggio e sott’olio, fatti salire con parsimonia dalla cantina. Ma appena aveva inizio il tintinnio delle posate, c’era sempre il papà del cuginetto di turno che trovava sotto il proprio piatto la letterina con i buoni propositi e gli auguri del figlioletto e allora, fingendo stupore, chiedeva un po’ di silenzio e, fatto salire su una sedia il marmocchio, lo invitava a declamare la solita e sfiancante tiritera natalizia. Poi, finita la pantomima poetica, spentisi gli evviva e l’applauso generale, finalmente si poteva chinare la testa sul piatto.

La prima portata era sempre un piatto di pasta al sugo con polpette di carne, o di pane se quell’anno le risorse finanziarie non permettevano di meglio. Poi arrivava il maiale o l’agnello arrosto, acquistato dal nonno dopo una lunga e snervante trattativa con il suo amico e coetaneo macellaio, per accordarsi sul prezzo. Per il contorno ci si doveva accontentare dei soliti cavoli o delle verze raccolti nell’orto il giorno prima. Le patatine fritte, invece, non facevano mai in tempo ad arrivare in tavola, perché uno ad uno, noi ragazzi ce le mangiavamo appena venivano tolte dall’olio bollente. 

I grandi bevevano vino rosso e noi l’acqua del rubinetto, e se chiedevamo di imitarli, ci versavano una lacrima di vino nella brocca. La frutta era limitata a qualche mandarino e alle noci che in autunno mio padre aveva raccolto sotto l’albero del vicino. Il dolce invece, se qualcuno si era ricordato di portarlo, consisteva sempre nel solito e stopposo panettone, che però non bastava mai per tutti, e allora veniva diviso, poco equamente, tra noi bambini e la nonna Giovanna che ne era golosissima. 

Finito il pranzo, mentre tutti ci alzavamo, mia madre restava in cucina, aiutata da qualche mugugnante zia, a lavare la montagna di piatti, padelle e tegami che, ormai inutili, attendevano impilati ovunque. 

I grandi, una volta sparecchiato, stendevano sul tavolo una coperta e si mettevano a giocare a carte. Invece noi ragazzi venivamo invitati, senza tanti complimenti, ad andare a giocare all’aperto e se ci si lamentava che fuori faceva troppo freddo, ci veniva raccomandato di coprirci bene e soprattutto di non litigare, ma sempre di mezzo ci dovevamo togliere. Così, in strada, ci trovavamo con altri ragazzi che avevano subito la nostra stessa sorte, e ci mettevamo a confrontare i regali ricevuti. Appena faceva buio, però, rientravamo in casa e allora si giocava tutti a tombola sino a che, uno dopo l’altro, si cascava dal sonno.

E ora invece che succede? In casa degli altri non lo so, ma a casa mia succede che non si gioca più a tombola da un pezzo e a Natale, siccome mia moglie si è stufata di passare le vigilie in fila alla cassa del supermercato e il giorno di festa in cucina, si prenota al ristorante. Naturalmente la decisione è sempre accolta unanimemente e con gioia da tutto l’emisfero femminile: sorelle, nuore, nipoti e amiche. Un po’ meno da noi mariti che ci dobbiamo suddividere la spesa che, non so perché, sotto le feste lievita sempre a dismisura.

Passato Natale e Santo Stefano, ci accorgiamo di aver preso i soliti due chili, e c’è ancora il cenone di San Silvestro, con l’immancabile zampone e le solite lenticchie, che sicuramente ci gratificherà di un altro bel chili che, non so perché, si andrà a depositarsi, come gli altri, sull’addome. 

Per il successivo pranzo del primo dell’anno, cercheremo di mangiare qualcosa di meno calorico, magari andando a trovare qualche lontano parente: uno zio anziano che vive con la seconda moglie e che, senz’altro, vorrà invitarci a pranzo. Noi, dopo una studiata messa in scena accettiamo e così ci troviamo a mangiare polenta e spezzatino con contorno di peperoni ripiene che, se non aggiungeranno un altro chilo, si metteranno comunque sullo stomaco per tutta la notte. 

E allora, non riuscendo a prendere sonno e girandomi e rigirandomi nel letto, penso alle persone che io ritengo le più dritte, le più scafate. Quelle che con i soldi che avrebbero dovuto spendere per i regali natalizi, nonché per i pranzi e le cene, hanno preferito acquistare due biglietti aerei e sono andati a passare il Natale nei mari del sud. 

E invidio anche coloro che non potendoselo permettere, hanno voluto comunque far credere di averceli i quattrini e allora si sono tappati in casa una settimana e poi si sono inventati settimane bianche a Cortina D’Ampezzo, stupende escursioni in cammello tra le piramidi o crociere sul Nilo.

Infine, passata l’Epifania, che finalmente tutte le feste porta via, cosa ci rimane? 

Rimangono sicuramente cinque centimetri di girovita in più da dover smaltire in non so quanto tempo e non so con quanti e quali sacrifici; il portafoglio più vuoto di prima della tredicesima; una punta di fastidiosa gastrite; tanto sonno arretrato, ma soprattutto, ripensando ai Natali degli anni sessanta, una gran voglia di minestrina in brodo.

 


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