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LA TRUFFA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

30
GIU
2016
(Prima parte)
Non mi ero ancora abituata a fare i conti con le ristrettezze economiche, perché prima i conti non contavano. Risolveva tutto mio padre con il suo denaro. Poi le cose sono peggiorate e progressivamente tutto è cambiato.
Mio padre era uno di quelli, come si dice, che si è fatto da solo. Aveva iniziato a fare traslochi con un carretto e piano piano aveva creato la più grande azienda di autotrasporti della città. Era diventato azionista di punta di due banche e sino a settant'anni aveva sempre gestito in proprio le sue attività. Poi, dopo uno strano dolore al petto e su consiglio dei medici, si è ritirato. Abbandonò progressivamente l'azienda, si allontanò dagli affari; fece diversi investimenti e interventi a mio favore epoi, per il resto dei suoi giorni, non volle interessarsi più di nulla. Una sera, finito di cenare si alzò, mi dette un bacio sulla fronte come faceva sempre, salì in camera sua e andò a letto e non si svegliò più. Da quel giorno tutto è cambiato.
Anche se mi stavo occupando già dell'azienda e degli affari, quante difficoltà stavo incontrando. Sino ad un anno prima mi ero interessata solo di me stessa, dei viaggi, di imparare le lingue, poi, di colpo, mi sono trovata catapultata in un mondo nuovo che non conoscevo e che a causa di collaboratori infedeli, inaffidabili e disonesti, mi ha trascinata in un mare di guai. Non sapevo più come far fronte a tutte quelle ingiunzioni, sequestri e pagamenti e alla fine dovetti rassegnarmi e accettaiuna vita diversa, più modesta.
Vendetti casa e quello che restava dell’azienda, e con il denaro ricavato pagai i debiti e cercai una dimora e un lavoro che mi permettesseroun minimo di dignità. Il lavoro lo trovai in un call center e così la mia vita ricominciò da un punto di vista totalmente diverso da quella di prima, quando era ancora in vita mio padre.
***
Stavo uscendo dal lavoro e stavo per attraversare, quando dall’altra parte della strada vidi un ragazzo in giacca e cravatta che, fermo all’incrocio, si stava pulendo ogni scarpa sul polpaccio opposto e poi allungava le gambe per controllarne il risultato. Sorridendo attraversai.
«Ciao Fulvio. Che piacere rivederti», gli disse, riconoscendo in quel ragazzo un vecchio amico d’infanzia. «Non ti ricordi di me? Non mi riconosci? Sono Denise», e constatando la sua persistente perplessità aggiunsi: «Sì, hai ragione. Sono cambiata. Ma sai, ultimamente le cose non mi stanno andando troppo bene». Lui per un attimo sembrò annaspare nella memoria. Si chinò, allungò le braccia lungo i fianchi, piegò le ginocchia come a sgonfiarsi e poi si irrigidì di nuovo e sorrise.
«Ma certo, Denise. Che stupido», e dicendo così si avvicinò e mi abbracciò.
Fulvio era un amico di molti anni fa, di quando eravamo ragazzi e frequentavamo la stessa scuola e gli stessi amici. In diverse occasioni venne anche a casa mia, e all'epoca mi fece una discreta corte, ma senza mai esagerare, forse perché mi riteneva irraggiungibile. Poi crescendo ci siamo persi di vista.
«Ma quanto tempo è passato, Fulvio. L’ultima volta che ci siamo visti è stato forse sette o otto anni fa, in occasione di un mio compleanno. Poi sei sparito. Non sei più venuto a casa. Perché?», gli chiesi, solo per mantenere il discorso su di lui.
«Sinceramente casa tua mi ha sempre dato soggezione, a cominciare da quell’ingresso alto come una cattedrale, quelle due rampe di scale simmetriche che andavano verso il piano superiore, specchi ovunque. Era tutto così lussuoso, ricercato, che alla fine anche la servitù mi sembravafuori dalla mia portata, dei ricchi!»
« E tutto questo ti dava fastidio? Ti metteva in imbarazzo? Perché?»
«Perché? Perché potevo fare tutti gli sforzi possibili, ma con i miei abiti, poco adeguati al tuo mondo, qualunque cosa avessi indossato, sarei rimasto il cafone che ero».
***
Mi raccontò che dopo il diploma anche per lui le cose non erano andate bene e che dovette abbandonare gli studi a causa della morte dei suoi genitori.
«Prima... » mi disse « ...lavoravo in una agenzia immobiliare, ma a causa del ridimensionamento del personale sono stato licenziato». «E ora di cosa ti occupi?», gli chiesi, tanto per non far scivolare il discorso su di me. E lui, dopo un tempo lungo un secolo, mi rispose che si stava occupando di pubblicità. «Pubblicità. Lavoro nel campo della pubblicità». «Bello. Deve essere interessante. Ma cosa fai di preciso?», gli chiesi ancora. «Non sono nella pubblicità nel vero senso della parola. Lavoro in una azienda che fa pubblicità. Sai, io sono ragioniere», era imbarazzato, gli si leggeva negli occhi e alla fine sbottò: «Insomma..... Il mio lavoro consiste nell’infilare i depliants pubblicitari nelle cassette delle lettere dei palazzi. Per ora non ho trovato niente di meglio e devo comunque mangiare e mantenermi. Questo faccio».
***
Per un po’ lasciammo scorrere il silenzio e poi mi avvicinai e gli aggiustai il nodo della cravatta, come facevo sempre da ragazzina quando non lo vedevo perfettamente al suo posto, poi indietreggiai e lo osservai. Era un bel ragazzo. Magari sempre timido e con quell’aria da eterno stralunato, ma era proprio un bel ragazzo.
«E ora dove stai andando?», gli chiesi, mettendogli una mano sotto il braccio e invitandolo a camminare.
«Sto tornando da un colloquio di lavoro, una finanziaria cerca ragionieri. Bla, bla, bla. Va bene, le faremo sapere. Le solite cose. Ed ora ero qui che stavo pensando se tornare a casa o fermarmi in qualche fast food».
Non sapevo se fosse il caso di metterlo al corrente della mia situazione attuale e delle mie vicissitudini passate, ma fu lui a tirare fuori il discorso.
«Ho saputo della morte di tuo padre e mi è dispiaciuto molto. Sarei venuto anche al funerale ma l’ho saputo in ritardo. E ho anche saputo che per te è stata dura. E ora come te la passi?», mi chiese, con quella semplicità che sfiorava l’ingenuità.
«Male. Sto rincasando anch’io. Vieni, così mangiamo assieme e continuiamo a parlare dei bei tempi. No, non preoccuparti, nulla ti potrà più mettere in soggezione. Ora non abito più in quel palazzo. Dopo la morte di mio padre la mia vita è cambiata in modo radicale e non saprei dirti chi di noi due se la stia passando peggio».
***
Fulvio mi seguì fino a casa quasi in silenzio e poi si sedette in un angolo della cucina e attese che preparassi le uova strapazzate e poi mangiammo assieme.
Da quel giorno continuammo a frequentarci. Ci incontravamo quasi sempre la sera e a volte, dopo cena, si fermava da me e parlavamo molto e di tutto.
Non eravamo una coppia, continuavamo ad essere amici. Eravamo due dispersi che essendosi ritrovati cercavano di sostenersi a vicenda, di farsi coraggio nei momenti di sconforto.
Una sera, dalla sua borsa tirò fuori dei depliants e si mise a fare dei conti, delle somme su una delle facciate di quei volantini.
«Che cosa sono questi fogli? E che conti stai facendo, Fulvio?», gli chiesi incuriosita. Lui sollevò per un attimo la penna e poi guardandomi fisso negli occhi mi disse: «Forse ho trovato il modo per fare soldi». «Hai trovato un nuovo lavoro?», gli chiesi speranzosa. «No. Ma me lo sto inventando. E’ da tempo che ci sto pensando e ora voglio provare a metterlo in atto. E tu mi darai una mano». «Di che si tratta?».
«Al diavolo i buoni propositi. Ho deciso di mettere in atto una truffa».
Io da prima lo guardai sbalordita e poi gli dissi di scordarselo, perché su di me non avrebbe mai potuto contare. Lui fece spalluccia e poi cominciò a girare le pagine dei foglietti che aveva tra le mani. Erano delle offerte per l’acquisto di cellulari, tablet, pc portatili e altre cose connesse alla tecnologia.
«La mia idea è semplice, Denise. Mi faccio preparare da uno studio informatico un sito ad hoc. Posto su internet le proposte d’acquisto. Ho scelto prevalentemente prodotti per la telefonia, perché sono quelli che tra i ragazzi vanno per la maggiore. Li diamo a prezzi stracciati e li vendiamo su internet».
«Ah sì? E dove li prendiamo noi questi prodotti, senza soldi?».
«Non ce li procuriamo. Li vendiamo e basta. Chiediamo 250 euro d’anticipo a cellulare e il saldo alla consegna, contrassegno. Per mille acquirenti sono 250.000 euro. Poi dobbiamo aggiungere i tablet offrendoli ad un prezzo di poco maggiore e poi i pc portatili, anche loro a prezzi convenienti. Alla fine potremmo arrivare anche a 500.000 euro. Arraffiamo la grana e via».
Io mossi l’indice della mano destra come un tergicristallo, ma più veloce, e gli gridai un no secco, molto fermo, definitivo, ma lui, prevedendo la mia reazione socchiuse gli occhi e continuò: «E’ un’ottima idea. C’ho perso le notti per metterla a punto. Si tratta solo di stabilire dei tempi ragionevoli. Non possiamo andare oltre la fine di agosto. Poi prendiamo i soldi e fuggiamo assieme, senza lasciare traccia».
***
La sua idea in definitiva era semplice e consisteva nel vendere online dei prodotti che noi non avevamo. Avrebbe fatto stampare, da una tipografia che non faceva troppe domande, altri depliant e li avrebbe infilati nelle cassette delle lettere assieme alla pubblicità che giornalmente la sua agenzia gli affidava. Avrebbe aperto un conto corrente fittizio alle poste, a nome di un’azienda altrettanto fittizia, dove avrebbe fatto indirizzare tutto il denaro, e man mano che arrivava lo avrebbe prelevato e depositato il contante in una cassetta di sicurezza di una banca.
«Io che comincio a preoccuparmi se solo sento squillare il cellulare e non riconosco l’interlocutore, mi ci vedi a impelagarmi in una cosa simile? Prima o poi fioccherebbero le denunce e la polizia finirebbe per rendersi conto che si tratta di una truffa…».
«Si tratta di mettere a punto il tutto prima. Poi partire con le vendite e nel giro di tre mesi, prima della fine d’agosto, smobilitare tutto, ritirare il contante dalla cassetta di sicurezza e levare le tende. Intanto dobbiamo provvedere per i passaporti, ad acquistare i biglietti per i voli. O magari potremmo allontanarci, senza dare nell’occhio, con dei turisti che vanno in vacanza. Imbarcarci su una nave da crociera sarebbe la cosa migliore. Nei porti non fanno controlli sulle persone e dei bagagli con scanner, come in aeroporto, e al primo scalo estero: Grecia, Turchia, poi si vedrà, facciamo perdere le nostre tracce. Con i soldi, e senza badare a spese, ci procuriamo dei documenti nuovi, cambiamo identità e così possiamo spassarcela per il resto dei nostri giorni».
«E perché hai scelto come data conclusiva proprio la fine d’agosto?».
«Perché in agosto, si sa, va tutto a rilento. Ditte chiuse, poste con personale dimezzato, polizia e tribunali che hanno altro da fare. Noi comunque staremo attenti alle richieste e, appena riceviamo gli ordini con l’anticipo, rispondiamo che a causa delle tante, troppe richieste pervenute, ci vediamo costretti a ritardare la consegna e comunicheremo anche che, per scusarci del contrattempo, comunque non derivante da nostre responsabilità, apporteremo un ulteriore sconto sul prezzo di listino».
Quella sua idea, che per il momento portava avanti da solo, cominciò ad insinuarsi anche nei miei pensieri. Con quella sua idea, che in definitiva non trovavo del tutto irrealizzabile, avrei potuto dare una svolta alla mia vita e se non proprio tornare ai fasti di un tempo, quando era in vita mio padre, almeno avrei potuto vivere in una casa decente, comperarmi degli abitinuovi e magari andare più spesso dal parrucchiere.
***
Una sera se ne venne a casa mia con uno zainetto sulle spalle, e quando lo aprì vidi che stava estraendo i depliant che aveva ritirato dalla tipografia: “OFFERTA IRRIPETIBILE E VALIDA SOLO SINO AL 25 AGOSTO”, si poteva leggere a lettere cubitali nell’intestazione e poi, a seguire, venivano elencati i prodotti e una infinita serie di fotografie che riproducevano cellulari, tablet e pc di ultima generazione, più il costo del prodotto sottolineato e in grassetto. Naturalmente i prezzi erano molto al disotto di quelli che si potevano trovare nei negozi. E Fulvio aveva preso la precauzione di scrivere e spiegare anche il perché: “A causa della chiusura della sede italiana, la nostra ditta offre i prodotti in catalogo a prezzo di liquidazione e si impegna a far fronte a tutte le richieste pervenute entro la data del 25 agosto. Da quella data in poi, si precisa, non sarà più possibile farne richiesta, poiché l’azienda entro il 31 dello stesso mese, si dovrà trasferire in altro Stato comunitario”.
« E tu pensi veramente che questa truffa, che poi è uguale a tante altre di questo genere, possa davvero funzionare?», gli chiesi, perplessa. Ma lui non sembrò per niente turbato, né preoccupato.
«Certo che funzionerà. Tutto sta nel rientrare nei tempi d’attuazione. Non possiamo far trascorrere troppi giorni, però».
«Ma passi per la vendita online, ma tu hai detto che vuoi mettere questi depliant anche nelle cassette delle lettere dei palazzi, lasciarli nei bar, darli per strada. Non ti sembra troppo pericoloso? Potrebbero cercare l’azienda e che troverebbero? Solo un fermo posta. No, non può funzionare, risalirebbero subito a te, e poi a me», gli risposi. Ma lui, guardandomi con la sua eterna aria serafica, mi disse che i depliant non li avrebbe fatti circolare nella nostra città, ma in altre, in quelle più grandi e lontane. Ne aveva fatte stampare più di 300 mila di quei depliants e aggiunse che avrebbe trascorso due giorni in un luogo, altri due in un'altra città, sino a esaurimento delle scorte.
«E con il lavoro che hai come fai? Come pensi di giustificare le assenze?», gli chiesi, stringendo i pugni sui fianchi. Ma anche qui lui non fece una grinza e rispose che ci aveva già pensato. Avrebbe detto che non stava bene e che si sarebbe dovuto assentare per degli accertamenti. In definitiva lavorava a cottimo e nessuno si sarebbe preoccupato di lui. Anzi, c’era una fila lunga così di ragazzi che avrebbe chiesto di prendere il suo posto.
***
Dopo una settimana Fulvio sparì dalla circolazione e per due mesi non lo vidi più, e non vedendolo ne sentendolo, incominciai a rasserenarmi. In fondo io non c’entravo nulla con quella sua idea strampalata. Sì, gli avevo promesso che gli avrei dato una mano a rispondere alle e-mail, per ringraziare e assicurare dell’avvenuta ricezione, eccetera eccetera, ma di più non avrei fatto e d'altronde lui era sparito e io non avevo fatto nemmeno quello. Ma avevo comunque paura e mi bastava vedere una macchina della polizia per sentirmi a disagio. [Continua]
(LA SECONDA E ULTIMA PUNTATA SUL PROSSIMO NUMERO DI EXTRA MAGAZINE)
 


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