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LA TARANTA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

25
AGO
2016
Mia figlia è ancora piccola e non ha mai visto il paese dove sono nata, ma io voglio trasmetterle qualcosa di quella terra meravigliosa e dai contorni da favola...
« Su Giulia, è ora di andare a letto! »
Dico a mia figlia, cercando di convincerla e smetterla di guardare i cartoni animati alla televisione. 
« Stasera me la racconti una storia, vero mamma e posso sceglierla io? »
Mi chiede, con un sorrisetto da furbetta, mentre si alza da terra per avviarsiverso la sua cameretta. 
« Sentiamo, quale storia vorresti che ti raccontassi? »
« Quella della taranta. Dai, per favore mamma, raccontamela. »
Sapevo già cosa mi avrebbe chiesto e così, mentre l’aiuto ad indossare il suo pigiamino, le sorrido e annuisco.
Da diverso tempo ormai risiedo al Nord, ma il mio cuore è, invece, rimasto nel Salento, nella terra dove sono nata e cresciuta. 
I miei amici mi dicono sempre che sono una persona allegra e solare e io rispondo ironicamente che forse è perché porto sempre dentro di me tutto il sole della Puglia, assieme ai suoi colori e profumi. Ed è proprio dal ricordo di quel sole, di quella luce, di quella terra riarsa, di quelle persiane chiuse per il caldo,dalle strade vuote e silenziose nelle ore pomeridiane, che attingo la forza per affrontare le lunghe giornatepiovose qui, dove vivo ora, oquando la malinconia e la nostalgia mi assalgono.
Per rincorrere i miei sogni, ho lasciato la mia terra e il mio paese ormai da quindici anni. Allora mi ero appena laureata ed ero piena di speranze, ma dopo aver tanto cercato e aver svolto per qualche tempo i soli e soliti lavori che poteva offrire il mio paese, ho deciso di seguire i consigli della sorella di mio padre che da tempo risiede al Nord e che l’estate venivacon la sua famiglia in vacanza da noi. 
« Carmela, ma cosa aspetti? Perché non vieni con noi? Con una laurea come la tua vedrai che un lavoro lo trovi di sicuro. »
Mi continuava a dire mia zia, mentre dopo cena stavamo prendendo il fresco nel giardino di casa.
Ne parlammo con i miei genitori e alla fine presi la decisione e sono partita con mia zia. Ericordo ancora che quel giorno pensai: “perché sono costretta a lasciare la mia terra per realizzare i miei sogni? Ci riuscirò alla fine? Starò facendo la cosa giusta?”
Ma la risposta me la stava dando proprio la mia terra, dove i sogni e i desideri dei giovani spesso, troppo spesso, sono destinati a rimanere tali. Pur amando il Sud, il calore della gente, il clima, i sapori, gli odori e soprattutto il mare, ero consapevole di non poter più rinviare oltre la partenza. Se avessi tentennato ancora,avrei rischiato di far rimanere chiusenel cassettole mie aspettative e, soprattutto, la mia sudata laurea. 
Quanto averi voluto che la decisione di partire fosse stata una scelta e non una esigenza, ma lo sapevo, la mia terra non era quelladove si potevano realizzare i propri sogni,perché era la terra dei sogni infranti, e lo stavo vivendo sulla mia pelle. 
Così, dopo notti insonni, presi la decisione e partii, consapevole e sicura che comunque fossero andate le cose, avrei sempre avuto un posto dove ritornare e dove sarei stata accolta a braccia aperte. 
E ora posso anche dire che mi è andata bene, perché qui, in questa grande città del Nord, ho trovato lavoro, mi sono assicurata il futuro, mi sono sposata e ho avuto la mia splendidabambina.
Come aveva previsto la zia, dopo aver mandato curriculum a destra e a sinistra, venni chiamata per sostenere dei colloqui e alla fine sono stataassunta da un’azienda di export. 
Da allora al mio paese ci sono tornata raramente e quasi sempre incircostanze tristi. Le ultime due volte in occasione dei funerali dei miei genitori, prima quello di mio padre e poi, dopo due anni, quello di mia madre. 
« Allora mamma, me la racconti la storia che ti ho chiesto? »
Mi chiede la bambina, tirandomi per una manica e riportandomi alla realtà. Io sorrido,sentendola parlare con quell’accento così diverso dal mio, con quelle strascicate vocali eparole mozzate. E allora mi diverto a risponderle con il mio dialetto. Lei mi guarda interdetta e mi chiede: 
« Cos’hai detto, mamma? »
« Ho detto che un giorno te lo insegnerò il mio dialetto e così scoprirai la magia delle sue parole. »
« Ma mamma, mi avevi promesso di raccontarmi la storia della taranta. »
« Va bene. Allora ti racconterò quellache mi raccontava la mia nonna Giuseppina, quando la sera mi faceva sedere, accanto a leidavanti al caminetto.E’ la storia della taranta. Ma tu promettimi di non spaventarti, perché devi sapere e tenere presente che si tratta di una fiaba e null’altro. »
« Dai racconta mamma. Come ti diceva la tua nonna quando veniva a prenderti in giardino e tu non volevi seguirla? »
«Figghia mia, paripungiuta da la taranta. »
Giulia ride a sentirmi pronunciare quelle parole incomprensibili e altrettanto impronunciabiliper lei, ma pur conoscendo la risposta, continua a domandarmi:
« Perché ti diceva così, mamma? »
« Perché ero un terremoto e non stavo mai ferma. Perciò la nonna diceva che ero stata punta dalla tarantola. »
« Dai mamma... Raccontami… Raccontami la storia della taranta. » 
Mi chiede ancora Giulia. Io le rimbocco le coperte e iniziai a raccontare:
"Oh Santi del Paradiso, proteggetemi pure oggi dal pizzico della taranta e che io possa ritornare a casa sana e salva". Ripeteva ogni mattina una bella ragazza del paese, prima di andare a lavorare nei campi. La sua terra era quella dove sono nata io, il Salento. Una terra bellissima, incantevole, circondata da due mari, loIonio e l’Adriatico. E’ un territorio dove i raggi del sole splendono radiositutto il giorno e dove la natura e il paesaggio sembranodelle tele dipinte da un bravissimo pittore.
A giugno le mandorle erano maturee bisognava raccoglierle e,a quei tempi, per le ragazze del paese quel lavoro era l’occasione buona per guadagnare dei soldiniepotersi comperare qualcosa di utile. La ragazza, che si chiamava Luciana, era fidanzata e voleva sposarsi, e quelle giornate di lavoro le facevanoproprio comodo. 
Ma nel mese di giugno, con le mandorle da raccoglieree il grano da falciare, si risvegliava anche un insetto: la tarantache, se riusciva a pizzicare una ragazza la rendeva pazza.
Quella mattina Luciana aveva un brutto presentimento e non voleva andare in campagna, ma le sue amiche andarono a prenderla, la canzonarono, e dicendole che era una dormigliona l’invitarono a sbrigarsi perché si stava facendo tardi: "Su sbrigati Luciana, che aspetti? Non hai voglia di lavorare? Non ti servono i soldi oggi?” Luciana, poco convinta,accantonòcomunque i suoi brutti pensieri e, lasciatasi convincere, raggiunse le amiche e con loro andò in campagna.
"Ahi", disse ad un dato momento, mentre china sotto l’albero stava raccogliendo le mandorle. "Ti sei fatta male?", le chiesero le amiche. "No, no. Non è niente, mi deveaver punta una spina", rispose Luciana continuando a lavorare. 
Dopo qualche giorno però, la ragazza disse alla sua mamma di non sentirsi bene e di non volersi alzare dal letto. Passarono altri giorni e Luciana continuò a peggiorare e le venne anche la febbre alta. Non si alzava più dal letto e nonvoleva nemmeno mangiare. Non vedendola più, preoccupate, le sue amiche andarono a trovarla, ma lei rimase apatica nel letto e sembrava non ascoltarle, né averle nemmeno riconosciute.
"Non deve essere stato un rovo o una spiga di grano a pungerla l’altro giorno, ma la taranta". Disse, rivolgendosi sottovoce alle sue amiche, una delle ragazze. Tutte si guardarono spaventate e di nascosto si fecero il segno della croce e poi, con una scusa, lasciarono precipitosamentequella casa.Ad una delle ragazze, che non aveva capito del perché avessero avuto improvvisamente tutta quella fretta di andarsene, le sue amiche le risposero che Luciana era stata punta dalla taranta, un insetto velenoso che si chiamava anche Licosa Tarantula o Ragno Lupoe che il suo morso, dolorosissimo, inoculava nel corpo del veleno che faceva impazzire chi lo riceveva.
Rimaste sole, la madre di Luciana si avvicinò al letto della figlia e guardandola pensò:" Che stupida sono stata a non averlo capito subito. Speriamo che non sia troppo tardi " edi corsaandò a chiedere aiuto a chi di quelle cose ne sapeva più di lei. 
" La cura è una sola”, le dissero le comari, dopo aver fatto visita all’ammalata: “La musica. Solo la musicapuò salvarla ". Allora la madre di Luciana andò subito a chiamare i suonatori del paese e, appena calato il sole, posta la figlia al centro della piazza e averle fatto cerchio con le comari,pregò i suonatori di iniziarea suonare la "pizzica", una musica dal ritmo travolgente e coinvolgente. 
Al suono di quella musica Luciana piano piano sembrò ridestarsi,cominciò a muoversi, si alzò, e iniziò a ballare. E mentre la ragazza continuava a ballare i tamburelli, le fisarmoniche, i violini, le cornamuse, continuarono per tutta la notte,il giorno seguente, e continuarono ancora per tutta un’altra notte a suonare, giunto il nuovo giorno,Luciana cadde a terra esausta. Allora tutti si fermarono e dissero che finalmente la ragazzaera guarita, perché era riuscita a scacciare dal suo corpo il veleno che le aveva iniettato la taranta.
La madre ringraziò tutti e riportò la figlia a casa, le fece mangiare qualcosa e poi la mise a letto. Luciana dormì per tutto il resto della giornata e tutta la nottee la mattina successiva, quando si svegliò, non ricordava nulla di ciò che le era successo. Diceva di essere solo stanca e di sentirsi le gambe legnose e doloranti. 
La domenica successivala madre portò Lucianain un paese vicino, proprio nel giorno in cui stavano festeggiando il Santo Patrono, nonché il Santo protettore delle persone morse da animali velenosi. Luciana, assieme ad altre ragazze, che avevano subito la stessa brutta avventura, entrò in chiesa, bevve l'acqua benedetta del pozzo e così si sentì finalmente bene e guarita del tutto.
Ma una volta tornata a casa, ecco presentarsi un nuovo problema, nonostante Luciana fosse guarita dal morso della tarantola, il suo fidanzato non volle più sposarla perché, disse,gli avevano assicurato che dal morso della tarantola non si guarisce più, e lui non voleva per moglie una "paccia", come venivano chiamate le ragazze che erano state punte da quell’insetto. 
Così, quando le curiose comari chiedevano alla madreperché non si vedesse più in giro la figlia, lei rispondeva allargando le braccia e alzando gli occhi al cielo: "Sta bene. Questa figlia mia sembra stare bene, ma certe notti si comporta in modo strano. Quando c’è la luna piena ed èalta in cielo, leisi alza dal letto e corre nei campi e comincia a saltare e a ballare". "E voi non vi dovete preoccupare. Lasciatela ballare, quella è la taranta che la fa ballare", rispondevano sogghignando le vecchie comari. 
Giulia dorme già da un po', ma io ho voluto lo stesso finire di raccontarle la storia, o meglio, la leggenda della tarantola e, mentre la raccontavo, mi sembrava di sentire quella musica coinvolgente e a me tanto cara, tanto che mi sono rivista con le mie amiche di allora che per le strade del mio paese ballavo a piedi nudi la pizzica.
Quando arrivava la notte della tarantola era una festa, un appuntamento irrinunciabile, una ricorrenza musicale da non perdere e dove i turisti, mescolatialla gente del posto,venivano coinvolti nel ballo esembravano dominati anche loro dalla pizzicaoche fossero stati punti dalla tarantola. 
Mi chino sul lettino e dopo aver dato un bacio leggero a Giulia, silenziosamente chiudo la porta della sua stanzetta ma, tornata in salotto, proprio non resisto: mi tolgo le scarpe,pestoleggermente i piedi per terra e con la pizzica in testa comincio a girare su me stessa, mentre mio marito mi guarda esterrefatto. 
« Ti ho mai detto che dal morso della tarantola non si guarisce più? »
Gli dico, sforzandomi di mantenermi seria. Lui si alza e sorridendo mi dice:
« Quest'estate,te l’ho promesso, andiamo in vacanza nel Salento, so bene quanto ti manchi la tua terra. E sono curioso di vedere se è vero che la tarantola mordeproprio le donne più belle. »
Io smetto di piroettare e lo abbraccio, e lui prosegue:
« Sai, stavo leggendo proprio stamattina che in agosto,nel Salento, si tengono molte sagre dedicate alla taranta. Ma non solo nei grandi centri, ma in tutto il Salento sono previste sagre e danze con la pizzica. Così quando ci andiamo tu ti potrai scatenare. »
Dopo la morte dei miei genitori, nel Salento non ci sono più voluta tornare. Troppi ricordi in quella casa, in quel paese adagiato in riva al mare, in quelle vie assolate, i quei tratturi affiancati dai muretti a secco. E poi, anche il solo pensiero,di quel profumo di vigneti e uliveti, di lavanda e di zagare, di fichi d’india, mi avevano sempre messo troppa tristezza,perché mi ricordavano la mia giovinezza spensierata. 
Ma ora, con Giulia ormai grandicella, è giusto che ci torniper far conoscere anche a lei i posti dove è nata la sua mamma, dove ha trascorso la sua infanzia e dove la sera della taranta ballava per ore la pizzica.E se quando andremo nel Salento ci sarà un posto dove si farà festa e si ballerà la pizzica, sono certa che mi lascerò coinvolgere e ballerò tutta la notte, sino a crollare sfinita.
 


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