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LA PATATA BOLLENTE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

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LUG
2018

Tra basagliani e anti-basagliani, questa settimana alle prese con l’annosa questione dei servizi di assistenza psichiatrica.

Chi tutt’oggi invoca la reclusione manicomiale come soluzione preventiva a certi fatti di sangue incontra sempre la strenua opposizione dei sostenitori della cosiddetta legge Basaglia (L. 180/78), quella a cui solitamente si attribuisce la chiusura degli ospedali psichiatrici. Fatto sta che questa contrapposizione tra basagliani e anti-basagliani percorre un po’ tutto il dibattito politico-giornalistico sulla gestione della malattia psichiatrica, dibattito che, specie quando tenuto da laici, risulta spessissimo, e su entrambi i fronti, piuttosto generico nonché assai polarizzato su posizioni preconcette.

Gli assertori del custodialismo si appellano primariamente alla questione della sicurezza sociale, questione non del tutto falsa, ma sovente di molto amplificata. Di fatto il 95% dei reati violenti viene commesso da persone considerate sane, e solo il restante 5%, percentuale esigua ma comunque rilevante, viene commesso da persone dichiaratamente disturbate (dati tratti dalla Società Italiana di Psichiatria). È proprio per questi ultimi che sono stati istituiti i REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), versioni moderne degli OPG (Ospedali Psichiatrico-Giudiziari), strutture residenziali che si prefiggono appunto il compito di gestire il malato psichiatrico autore di reato. Purtroppo la scarsità dei posti letto disponibili comporta spesso spiacevoli conseguenze: da un canto la presenza in carcere di malati psichiatrici («Carceri, 56 pazienti psichiatrici in cella: ma dovrebbero stare in ospedale. Il Dap ammette: “Situazione illegittima”» Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2018); dall’altro la libertà di soggetti socialmente pericolosi («Csm, la denuncia: “Dopo la chiusura degli Opg, le Rems sono piene e i criminali malati mentali restano liberi”» Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2017). Di fatto gli ultimi residui del custodialismo securitario, condivisibili o meno, naufragano nella mancanza di risorse, tant’è che alcuni addetti ai lavori finiscono addirittura per rimpiangere l’obsoleto ‒ ma più capiente! ‒ regime degli Ospedali Psichiatrico-Giudiziari.

Sull’altro fronte i basagliani inneggiano tutt’oggi alla loro legge eponima, richiamando, nel corso delle loro articolate argomentazioni, i potenziali effetti patogeni della lungodegenza psichiatrica, ampiamente indagati dalla cosiddetta antipsichiatria e resi noti al grande pubblico dalla narrativa di genere e dalla cinematografia impegnata («Qualcuno volò sul nido del cuculo»). E se è pur vero che gli istituti di lunga degenza possono benissimo causare danni iatrogeni, è anche vero che di detti istituti si è potuto promuovere il progressivo smantellamento solo dopo la messa a punto delle farmacoterapie antipsicotiche, che, sebbene ancora migliorabili, permettono quanto meno di contenere chimicamente eventuali e dannose intemperanze del comportamento. Così il progresso tecnico-farmacologico ha predisposto quelle condizioni che hanno reso per certi versi fattibile la rivoluzione basagliana, incorporata ‒ bisogna ricordarlo ‒ in una riforma sanitaria (L. 833/78) improntata anche e soprattutto su esigenze di natura pragmatica. Di fatto anche lo spirito basagliano, che restituisce il malato al suo territorio e che lo affida alle cure di strutture più leggere, anche questo spirito, al contempo pragmatico e umanitario, oggigiorno fatica duramente sotto la spinta di un carico ‒ si sa! ‒ assai considerevole rispetto alle risorse disponibili.

Certo è che entrambi gli approcci ‒ oggi coesistenti sebbene in diversa misura ‒ attraversano delle difficoltà grosso modo analoghe e riconducibili in ambo i casi a problematiche di natura strettamente economica. Perché la salute comporta una spesa e i diritti umani anche. Pertanto bisogna, nell’ambito di un impegno economico umanamente oculato, affrontare il problema di petto: smascherare, da un canto, l’ipocrisia buonista dei benpensanti e contrastare, dall’altro, il pregiudizio sociale nei confronti del malato psichiatrico, cominciando con la divulgazione scientifica e con le campagne di sensibilizzazione. La strada maestra rimane sempre quella indicata dalla tradizione: á½ φελέειν, á¼¢ μá½´ βλάπτειν («essere d’aiuto o quanto meno non arrecare danno»). Nel nostro caso: monitorare senza stigmatizzare, intervenire senza reprimere. Ma possiamo ragionevolmente supporre che la perfetta implementazione di questo modus operandi richiederà un ulteriore cambio di paradigma, cambio in cui potranno attuarsi appieno dei valori che per ora esistono di certo nella dignità della parola scritta.
 



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