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RABBIA SOCIALE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

6
SET
2018

Nelle piazze digitali impazza la rabbia, soprattutto verbale. Un pensiero sulla natura di questa emozione e alcune indicazioni di massima su come gestirla.

La nostra è una società assai complessa. E basta davvero poco per rendersi conto che non siamo affatto tutti uguali: ognuno di noi, un po’ per scelta e un po’ per caso, occupa di fatto una posizione, esprime degli interessi economici, quindi finisce col credere in alcuni valori morali piuttosto che in altri. Ognuno di noi risulta di fatto definito da relazioni interpersonali ed economiche, sia da quelle nelle quali è nato e cresciuto, sia da quelle che ha avuto modo di stringere nel corso della sua esistenza.
Fatto sta che dal confronto delle innumerevoli posizioni sociali che si vengono a creare in questo gioco prende vita quell’arte che noi chiamiamo politica. Un’arte discorsiva nei principi e fattuale nelle conseguenze; dialettica, sia in senso linguistico che pratico, poiché consiste sempre e necessariamente nel confronto, ora verbale ora concreto, tra interessi e valori differenti, i quali, siccome le cose non sono mai semplici, possono essere a loro volta dissimulati in vario modo a seconda delle convenienze. Di fatto, al netto di tali ipocrisie tattiche, resta comunque, sotto vesti sempre diverse, la contrapposizione tra chi occupa posizioni di relativo vantaggio e chi meno: gli uni propugnano la conservazione, che equivale alla conservazione della loro stessa esistenza; gli altri spingono per affermare i loro diritti, quindi, in senso più lato, il loro stesso diritto di esistere. Ed è proprio questa lotta per la vita, di darwiniana memoria, che motiva l’azione su entrambi i fronti; è la rabbia, più o meno accesa, che spinge sia gli uni che gli altri a difendersi o ad attaccare, in senso figurato e non solo.
Nelle forme più grezze, e talvolta patologiche, l’interlocutore politico viene considerato avversario, e la rabbia viene esternata come passaggio all’atto concreto: è il caso di chi agisce senza pensare o senza pensare abbastanza; è il caso di chi avverte, a torto o a ragione, una minaccia imminente e cerca di reagire ad essa quanto prima possibile e, purtroppo, non sempre nel modo più opportuno.
In forme meno grezze, ma ancora primitive, la rabbia viene parzialmente filtrata dal raziocinio, quindi tradotta sotto forma di espressioni verbali non sempre sufficientemente motivate da valide argomentazioni logiche e fattuali: è il caso di chi inveisce, dileggia, diffama un avversario presunto o reale; è il caso di chi simula, nella virtualità della dimensione linguistica, l’avvilimento o la neutralizzazione di esso, traendo da ciò una magra soddisfazione momentanea.
In ultimo, la rabbia, retaggio della nostra ineludibile natura ferina, può essere sottoposta ad un’ulteriore elaborazione mentale, ad un approfondimento dettagliato delle sue cause oggettive e soggettive, quindi compresa e trasformata in energia costruttiva, volta alla comprensione e alla trasformazione delle cose. Un virtuoso esercizio di logica pratica nel quale il linguaggio e la cultura ci forniscono gli strumenti per capire, capirsi e farsi capire; strumenti che ci permettono, inoltre, di coordinare collaborativamente l’azione concreta.
La rabbia, quindi, individuale e collettiva, si risolve sublimandosi nell’assertività, ossia nella capacità di pensare e agire in maniera opportuna: senza imporsi con la violenza, ma senza nemmeno sottoporsi ad essa. La persona assertiva si propone con la forza delle argomentazioni e con la capacità di affrontare i problemi. Una persona riflessiva ma non contemplativa, risoluta ma non avventata, forte ma non prepotente.



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