Caterina aveva posato sul tavolo della cucina lo sformato appena tolto dal forno e ancora una volta si stava chiedendo come mai sua figlia le somigliasse così poco.
Anni prima, quando era ancora incinta, si era immaginata una figlia dolce, bionda come lei, compita, garbata e in qualche modo che assomigliasse a lei. Rosalba, invece, non era nulla di tutto questo. Sì, era intelligente, ma anche molto ostinata. Sapeva quello che voleva e anche come ottenerlo: atteggiamento questo che sconvolgeva sua madre. Non vestiva con eleganza e quando rideva, rideva troppo forte e quando si arrabbiava diceva cose irripetibili e, anche se gli altri le assicuravano che Rosalba era una ventata di allegria e di freschezza, la madre ne era sconcertata.
«Lasciala fare». Le ripeteva il marito, cedendo ai capricci della figlia. Come quella volta che la piccola aveva voluto trascinare materasso e lenzuola sul balcone perché voleva dormire all’aperto e vedere la luna girare. Poi il padre era morto e il rapporto con la madre s’incrinò ulteriormente.
«E adesso quest’altra!...» La madre aveva corrugato la fronte e osservato la figlia mentre maneggiava acquerelli e cartoncini.
«Toglitelo dalla testa, Rosalba. Con la pittura non si va da nessuna parte, non si campa. Non posso e non voglio assecondarti in un progetto simile. Come pensi di tirare avanti? Pensi che la gente sia tutta lì ad aspettare che le tue tele si asciughino per poi acquistarle?»
Se Rosalba fosse stata più attraente, la madre non si sarebbe preoccupata troppo del suo futuro. In città non mancavano certo uomini che guadagnavano bene, quindi, se si fosse sposata uno di questi, non sarebbe stato certo un problema continuare a dipingere o inventarsi altri hobbies assurdi. Ma purtroppo la figlia non era così, e lei aveva un brutto presentimento... chissà che razza di marito avrebbe trovato con quel carattere incostante che si ritrovava.
«Vorrei che tu facessi qualcosa di sensato. Ma mi stai a sentire?» Le chiese preoccupata.
Rosalba alzò la testa, muta guardò la madre e poi tornò a immergersi nei suoi acquerelli.
«Ma che genere di attività hai in mente?» Le aveva infine chiesto, dopo un lungo silenzio.
«Aprire uno studio artistico, con la vendita di articoli da regalo: souvenir, buste, lettere, penne, cartoline e biglietti per ogni genere di occasione. Tutto personalizzato».
«Ah. Bene, allora buona fortuna. Ai turisti piacciono le cartoline personalizzate. Adesso poi stanno arrivando in porto anche le navi da crociera. Peccato che le lettere e le cartoline non le scriva più nessuno». Le aveva risposto la madre, sempre più sconcertata.
«La felicità che una lettera scritta a mano riesce a dare sia a chi la manda sia a chi la riceve, non è paragonabile all’effetto che fa un’email o un sms. La piacevole sorpresa di trovare nella cassetta della posta una lettera, la curiosità di voltare la cartolina per vedere chi l’ha scritta, è una sensazione incredibilmente piacevole che ormai sta scomparendo, e per questo io voglio tenerla in vita. Non ti accorgi che ora per posta arrivano solo bollette, avvisi di pagamento e pubblicità».
Le aveva risposto sempre più entusiasta la figlia.
Alla fine Rosalba aveva fatto di testa sua. Aveva aperto un minuscolo negozio nel centro storico, nel cuore della città vecchia a pochi passi dal Duomo. L’affitto non era troppo alto, considerata la posizione, e inoltre il locale era collegato al piano superiore da una scala a chiocciola dove erano state ricavate due stanze, una piccola cucina e un bagno.
«Così risolvo anche il problema della casa e quello della more uxoria con te». Aveva detto pomposamente alla madre, che intanto la stava ascoltando perplessa.
Otto settimane dopo quella discussione con la madre, Rosalba si trovava già in negozio, su una scala di legno e stava appendendo alle pareti dei festoni, palloncini colorati e articoli da regalo. “Angolo delle emozioni perdute”, si leggeva a lettere dorate sulla vetrina del negozio appena inaugurato.
La madre, non essendo riuscita a convincere la figlia a cercarsi un lavoro decente, esasperata, aveva sospirato che gestire un negozio, di qualunque tipo, sarebbe stato comunque sempre meglio che fare la pittrice e così, nonostante tutto, le aveva anticipato la somma necessaria per avviare quell’assurda attività che, se non altro, sembrava una cosa un pochino più seria di quella di dipingere quadri che nessuno avrebbe mai comprato.
Rosalba, per non farsi mancare niente, nel frattempo si era anche fidanzata con un bel giovanotto alto e moro, salutista ed estremamente sportivo. Da tre mesi Renato era diventato il suo ragazzo; gestiva una palestra in periferia e aveva molto a cuore il suo lavoro. Diceva di tenerci al benessere delle sue clienti e consigliava loro il modo migliore per tenersi in forma e in salute. E non perdeva occasione per cercare di convincere anche Rosalba ad avvicinarsi a quel mondo, a quel modo di vivere, sano e sportivo.
La prima volta che aveva invitato Renato a casa sua, Rosalba aveva apparecchiato tavola con vino rosso, uova sode, polpette e patatine fritte, mozzarelle, formaggi e salumi, più una torta al cioccolato, fatta con le sue mani.
«No, santo cielo, tutte cose deleterie per il fisico. Mens sana in corpore sano!» Le aveva detto Renato, rifiutando categoricamente di mangiare quella roba e mettendola in guardia dalle insidie che si celavano in quei cibi, nell’alcool e nel caffè.
Rosalba aveva bevuto un sorso di vino, si era pulita le labbra con il dorso della mano e poi lo aveva invitato ad assaggiare almeno la torta. Era così buona… Ma non ci fu verso.
Lei aveva una sua personale concezione delle cose che potevano rendere la vita felice e, non rientrando certamente in quelle cose i cibi vegani, restò impassibile davanti a tutti gli sforzi che quotidianamente Renato faceva per convincerla del contrario. Ma Rosalba non capiva perché mai avrebbe dovuto mangiare solo granaglie.
«Le granaglie sono per i polli, io non sono mica una gallina». Commentò una mattina a colazione, lasciando esterrefatto Renato, mentre lei si spalmava generosamente di burro e marmellata dei deliziosi croissants.
All’inizio, appena conosciuti, Rosalba aveva cercato di assecondarlo e si era anche lasciata convincere ad accompagnarlo nelle sue corse mattutine…
«Vedrai che ti piacerà. Alle sei di mattina la città è magnifica. E ricordati che correre fa bene e che bisogna mantenere una velocità costante, sciolta».
Rosalba aveva annuito, ma dopo i primi cento metri cominciò a boccheggiare e subito si dovette fermare e premersi una mano sulla milza. E quando venne superata da un arzillo vecchietto dal passo deciso, busto eretto e le braccia che si muovevano a tempo, aveva definitivamente abbandonato l’idea di seguire le astruse manie del suo ragazzo.
«La prima volta è sempre difficile». Aveva insistito Renato, svegliandola alle cinque di mattina, ma lei, prediligendo di gran lunga la città che conosceva meglio, quella in cui la sera tirava tardi con gli amici, non si alzò e lo lasciò andare a correre da solo.
Col passare del tempo le differenze tra loro diventarono però sempre più evidenti e, mentre prima aveva cercato di superare certi ostacoli, adesso vedeva chiaramente tutto ciò che li divideva.
Rosalba adorava fare colazione a letto, e Renato non capiva cosa ci fosse di bello a lasciare un mucchio di briciole tra le lenzuola. A lei piaceva tirare tardi la sera e lui voleva alzarsi presto. La domenica lei adorava poltrire nel letto, mentre lui preferiva sfrecciare in bicicletta da un parco all’altro della città.
Il giorno di San Valentino Rosalba gli aveva regalato un braccialetto d’oro con inciso i loro nomi, e Renato quella sera era tornato a casa con un paio di scarpe sportive.
«Traspiranti, superleggere, le migliori sul mercato. Buon San Valentino, Rosalba».
Ma la cosa che le dispiaceva di più, però, era che Renato non le scrivesse mai un biglietto, una lettera, una cartolina, nemmeno in occasione di una ricorrenza, del suo compleanno.
«Ma se sono qui! E poi, se parto, ci sentiamo per telefono, o no?» Le rispondeva perplesso lui, quando si doveva assentare per andare a seguire congressi o aggiornamenti professionali.
Lei invece, per molto tempo gli aveva lasciato messaggi ovunque: sullo specchio, sul cuscino, dentro una scarpa da ginnastica o dentro la sacca da viaggio, poi, quando aveva cercato di ricordarsi quando avesse smesso di farlo, non se lo era ricordato più. E non si sarebbe nemmeno mai aspettata che Renato l’avrebbe lasciata via Skype. Non le era mai capitato nulla del genere, anche se sapeva che tra loro le cose non andavano più bene.
«Non abbiamo molti interessi in comune e forse non ci siamo nemmeno mai amati veramente». Le aveva farfugliato lui, e finalmente anche Rosalba c’era arrivata.
Adesso aveva capito e si era chinata in avanti perplessa, cercando di dare un senso al balbettio di Renato, ma sorprendentemente non aveva provato dolore. Non molto almeno.
Erano passate tre settimane da quando Rosalba lo aveva accompagnato all’aeroporto, e fin dall’inizio aveva avuto l’impressione che quel seminario di studi che si sarebbe tenuto a Parigi, fosse il preludio della fine della loro storia.
Nei giorni che seguirono la separazione, Rosalba si tuffò alacremente nel suo lavoro, riempendo scaffali e vetrina di rotoli di carta da regalo, buste e fogli colorati. Dipinse delle piastrelle con colombe, grappoli d’uva, cuori e fiori che brillavano sotto uno spesso strato di lacca trasparente. Su un tavolo dispose a ventaglio dei bigliettini su cui aveva scritto delle parole, massime e aforismi dai suoi poeti preferiti.
Dopo la chiusura, Rosalba saliva al piano di sopra e sedeva fino a notte fonda al tavolo da lavoro e scriveva e disegnava biglietti per chiunque credesse ancora nella magia delle parole scritte a mano.
Creava deliziose opere d’arte in miniatura. Piccoli capolavori con frasi e proverbi che accompagnava con disegni e acquerelli: “Non dimenticarmi” – “Anche dietro la nuvola più nera splende sempre il sole” – “Questa mattina, quando ho aperto gli occhi, avrei voluto averti vicino” – “Mi manchi!” – “Ti amo e voglio ripetertelo all’infinito” – “Ogni bacio è come un terremoto”. “Scriversi è come baciarsi, solo senza labbra”.
I bigliettini e gli acquerelli, che ricordavano un po’ i teneri disegni di Raymond Peynet, andavano a ruba e i clienti, sempre più numerosi, le chiedevano opere personalizzate.
Solo poco tempo prima era entrato in negozio un distinto signore, non più giovanissimo che, tirato fuori dalla borsa di pelle nera un cartoncino colorato, le aveva chiesto:
«Pensa di avere qualche idea?»
Rosalba guardò il foglio, ascoltò l’anziano signore e infine aveva annuito:
«Certo. Nessun problema».
«Ma deve essere un disegno molto bello. Ci tengo molto». Aveva aggiunto l’uomo.
«Non si preoccupi. Ripassi dopodomani e potrà giudicare lei stesso».
Quella sera, salita al piano superiore, Rosalba si mise subito al lavoro con un’idea precisa in testa e, sgomberato il tavolo dai colorati e dai pennelli di varia grandezza, disegnò un uomo elegante con un completo grigio e una donna in abito verde che si tenevano per mano. Erano al centro di una piazza e guardavano quattro colombe bianche che, tenendo nel becco un nastro azzurro, stavano volteggiando sopra la città. Poi aveva preso un pennello dalla punta sottile e scritto in lettere arabescate: “Dedicato alla donna che amo e con cui vorrei volare per sempre”.
Fino a quel momento tutti i clienti erano usciti dal suo negozio soddisfatti, ed anche quel signore non fu da meno. Ormai aveva perso il conto dei pezzi unici realizzati e si era convinta che i suoi disegni stessero dando una mano anche Cupido, nello svolgimento del suo lavoro.
Pochi giorni dopo l’incontro con l’anziano signore, Rosalba, approfittando di un momento di calma, chiuse a chiave la porta del negozio e salì al piano superiore per prepararsi un caffè. Stava per mettere la caffettiera sul fuoco quando sentì bussare alla porta. Spense il gas e, raccolti i capelli dietro la nuca con un fermaglio, scese la scala a chiocciola che comunicava con il negozio.
Davanti alla porta c’era un signore che batteva insistentemente contro i vetri della porta, Rosalba si avvicinò, girò la chiave infilata nella serratura, aprì e gli disse in tono quasi brusco:
«Ehi, non c’è bisogno di rompere il vetro».
L’uomo si scusò, inarcò le sopracciglia, la squadrò, e poi chiese:
«E lei che dipinge e disegna cartoncini e biglietti colorati?»
«Sì». Gli rispose Rosalba.
«Allora sono nel posto giusto. Posso?» Disse, facendo un passo avanti.
Rosalba tacque. Incrociò le braccia e lo guardò mentre si dirigeva verso l’esposizione e tirava fuori dei bigliettini, li esaminava e poi li rimetteva a posto.
«Li ha dipinti lei questi?». Domandò severo.
«Sì. Li faccio io. Perché?». Rispose Rosalba, prima di chiedere cosa cercasse in particolare.
«Senta, io non voglio comprare nessun biglietto. Sono qui per proporle di illustrare il mio nuovo libro per bambini. È stato il mio editore a consigliarmi di venire da lei».
Lo scrittore si presentò. Si chiamava Piero e subito le passò una copia del manoscritto.
«Se lo legga. Si faccia venire una buona idea, poi, quando avrà finito di preparare dei bozzetti, mi chiami per concordare assieme quelli da utilizzare».
Dopo aver letto l’ultima riga, Rosalba restò a lungo seduta sul letto ad assaporare la magia di quella storia, magari leggera, surreale, ma intanto, mentre leggeva aveva già visualizzato le immagini e i disegni che avrebbero accompagnato l’opera, e si era talmente immedesimata in quel lavoro che adesso, guardandosi intorno, si stupiva di trovarsi in camera sua.
La fiaba, intitolata il “Paese Azzurro”, era proprio un bel racconto per bambini ma Rosalba si chiedeva se ci fosse ancora qualcuno che leggeva le favole. Comunque, qualche giorno dopo, chiamò Piero e gli disse di aver letto la storia e di avere già qualche idea da sottoporgli.
«Bene Rosalba. Allora passo questa sera e poi magari andiamo a cena assieme. D’accordo?»
Rosalba gli rispose di sì ma, riflettendoci bene, pensò che forse sarebbe stato meglio non correre troppo. Per parlare di lavoro, il suo negozio sarebbe andato benissimo, anzi, era il posto ideale.
Quella sera, Pietro arrivò all’orario di chiusura e subito Rosalba gli sottopose i disegni che aveva preparato. Andarono avanti a parlare del “Paese Azzurro” per oltre un’ora, e poi finirono la serata continuando a parlare in un ristorante del centro.
In quel ristorante ci tornarono anche il giorno della pubblicazione del libro; la sera che festeggiarono il successo della favola e anche quando il “Paese Azzurro” venne ristampato e ripubblicato. Ci tornarono altre volte, ma non solo per parlare di quel libro, ma perché sentivano e capivano di stare bene insieme.