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LE DISAVVENTURE DEL RAGIONIER MATESE

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

28
GIU
2018

Quel sabato sera Loris Matese era a casa e stava seguendo la partita a scacchi che si stava svolgendo tra sua moglie e la loro figlia Iannina.
«Quel che conta è che devi sempre tenere bene a mente la disposizione di tutti i pezzi, e non scordare che in questa disposizione, l’alfiere protegge la regina e la regina protegge il cavallo».
Stava dicendo questo alla figlia, quando sentì squillare il telefono.
Finalmente il suo datore di lavoro si era deciso e lo stava chiamando. Per tutta la giornata lo aveva cercato ma non era riuscito a trovarlo. Il ragionier Matese era passato anche da casa sua, ma aveva trovato solo la moglie in compagnia del dottor Sales.
Adesso, mentre stava andando a rispondere, se qualcuno gli avesse detto che la sua vita sarebbe stata sul punto di cambiare di punto in bianco e che la sua fotografia sarebbe stata riprodotta su tutti i giornali, si sarebbe messo a ridere. E si sarebbe messo a ridere anche se gli avessero detto che l’ingegner Giorgio Santini, il suo datore di lavoro, in quel momento si trovava in un bar e si stava ubriacando.
«Esci?» Chiese la moglie, vedendolo indossare il cappotto e prendere le chiavi.
«Sì. Mi ha telefonato l’ingegnere e ha bisogno di vedermi subito». Rispose, e richiuse dietro di se la porta d’ingresso.
Loris Matese seguì alla lettera le indicazioni ricevute, e in pochi minuti raggiunse l’ingegnere in un bar frequentato da gente del porto.
Loris entrò nel locale e lo riconobbe subito, anche se si era rasato la barba e indossava un cappotto sproporzionatamente grande per la sua taglia. Era proprio lui, l’ingegner Giorgio Santini, seduto in un angolo, con davanti una bottiglia di cognac e stava bevendo.
«Siediti. Scommetto che sei andato a cercarmi anche a casa mia, oggi».
«Sì. Ci sono andato nel pomeriggio, perché volevo parlarle di quel trasporto…»
«Quindi avrai visto che assieme a mia moglie c’era quel ruffiano del dottor Sales?»
«Ma…» Rispose il ragioniere, non sapendo che altro dire.
«Non sentirti in imbarazzo, Loris. Da due anni il dottor Sales va a letto con mia moglie e questo lo sai anche tu. Prendi un bicchiere e vieniti a sederti qui, che ti devo dire una cosa».
L’ingegnere parlava, e intanto continuava a bere. Beveva e fumava una sigaretta dietro l’altra, mentre il ragionier Matese, dopo due bicchierini, si sentiva già annebbiato.
«Non m’importa niente di mia moglie, e d’altronde anch’io mi vedo con Pamela. Te la ricordi Pamela, vero?»
L’ingegnere era così calmo che Loris non capiva se parlasse in quel modo perché era ubriaco o dicesse sul serio, ma intanto al solo sentir nominare Pamela era arrossito.
«Ascoltami attentamente, Loris, perché ho poco tempo… e intanto pensa a quanto sei stato ingenuo. Be’, ne vuoi una prova? La mia ditta di autotrasporti conta dodici tir e si occupa di trasporti internazionali ma, di fatto, io mi sono sempre occupato di contrabbando, di traffici clandestini e tu non te ne sei mai accorto, e ti è sfuggito anche che due di questi tir sono spariti nel nulla per frodare l’assicurazione. Tutto è andato bene finché mio padre teneva le redini della ditta, ma ormai è così rintronato che non ricorda più niente e io sono rovinato, in bancarotta. Ti assicuro che ho fatto di tutto per salvare l’azienda, ma non ho avuto fortuna. Speculazioni sbagliate. Controlli della Finanza, e tutto è andato a rotoli. Tanto che lunedì prossimo scoppierà lo scandalo. Se vuoi, potrai riferirlo tu stesso ai nostri bravi dipendenti quando troveranno i cancelli della ditta chiusi, perché io, intanto, risulterò ufficialmente morto e tu sarai nei guai, vecchio mio. Nei guai perché hai fatto male a fidarti di me e mettere i tuoi risparmi nella mia azienda e hai sbagliato a comprarti anche quella villa faraonica. A proposito, la rata del muto scade a fine dicembre, vero? E come farai a pagarla?»
Loris pensava che fosse tutta colpa dell’alcool, perché trovava irreale e incredibile quello che stava sentendo, ed era sicuro che una volta uscito dal bar tutto sarebbe tornato alla normalità.
«Adesso ho pensato di badare solo a me stesso e di rifarmi una vita altrove. Quando uscirò di qui porterò i vestiti che ho in questa borsa al molo, e domani tutti crederanno che io mi sia suicidato per non subire il disonore e l’onta della galera. Invece io sarò lontano da qui. Che ne pensi?» Proseguì l’ingegnere.
Il ragionier Matese trasalì, come in preda da un incubo.
«Se non sei troppo ubriaco, ascoltami e cerca di capirmi bene. Innanzi tutto non pensare che ti voglia comprare, io non compro nessuno. Ti dico questo perché so che non andrai mai a raccontarlo a nessuno. Ma parliamo di te piuttosto, perché, di fatto, tu ora non hai più un soldo e conoscendo le banche so che si riprenderanno la villa alla prima rata inevasa. Non solo, gli inquirenti crederanno che tu sia stato mio complice e per questo sarai coinvolto in procedimenti giudiziari e alla fine ti ridurranno a pezzi. Pertanto, pensaci bene, se rimani qui passerai grossi guai. Sei sempre stato il mio più fedele collaboratore, parli tre lingue, e per questo voglio consigliarti di sparire, come farò io, anche se non saranno ventimila euro a cavarti d’impaccio. Ma se per caso, prima di lunedì ti riuscisse di comprendere quello che ti sto dicendo, eccoli qui. Prendili, ti serviranno. Quanto a me, non ho giocato tutte le mie carte, non sono mica scemo, e non mi ci vorrà molto a rimettermi in sesto, magari in Giappone o chissà, forse addirittura in qualche Paese sudamericano. Questo non posso rivelartelo».
E dicendo così, trasse dalla tasca interna del cappotto una busta e la mise nelle mani di Loris. Poi si alzò, prese la sua borsa di pelle e si avviò verso l’uscita.
«Ora tu mi farai ancora una piccola cortesia. Mi dispiaceva partire senza rivederti. Domani per tutti io sarò morto, e allora ti chiedo di accompagnarmi».
Uscirono dal bar e s’incamminarono per strade poco illuminate. Passarono anche davanti alla casa di Pamela, ma nessuno dei due disse una parola e proseguirono verso il molo.
Il resto Loris lo visse come in un sogno.
Arrivato sul molo, l’ingegner Santini trasse dalla borsa un cappotto, un cappello, un paio di scarpe e gettò tutto in mare, poi si avviò verso la stazione ferroviaria con il ragionier Matese che lo seguiva come un cane bastonato.
Sul terzo binario sostava un vecchio treno e il capostazione, col berretto rosso in testa, sembrava aspettasse solo il momento di dare il segnale della partenza per poi tornarsene a dormire.
«Perché non parti con me?» Chiese l’ingegnere, affacciandosi al finestrino, mentre i vagoni cominciavano a muoversi, ma Loris scosse la testa.
«Senza rancore, vecchio mio. Così è la vita». E quelle furono le ultime parole che il ragionier Matese udì pronunciare dall’ingegnere.
Loris non seppe mai come quella notte fosse riuscito a tornare a casa, né come si fosse trovato nel suo letto quando la moglie lo stava strattonando.
«Ha telefonato la signora Santini, e ha mandato qui anche un suo domestico a chiedere se sai qualcosa del marito. Questa notte sembra non sia tornato a casa». Gli disse la moglie.
«No, non so niente. Ci siamo lasciati davanti al portone di casa sua e io sono andato al circolo degli scacchi a farmi una partita». Le rispose, sicuro che se le avesse detto la verità, sarebbe scoppiato il finimondo.
Appena alzato, la prima cosa che fece fu quella di andare a vedere se nella tasca del cappotto ci fosse ancora la busta con i soldi, e la seconda quella di andare a trovare Pamela, l’amante dell’ingegnere. Le era sempre piaciuta perché quando s’incontravano lei faceva certi sorrisetti… D’altronde, con quello che stava accadendo e, non avendo niente da perdere, riteneva giusto andare a casa di Pamela per consolarsi.
«Chi devo annunciare?» Chiese il portiere.
«Ragionier Loris Matese». E intanto si avviò verso l’ascensore.
Pamela gli aprì la porta in vestaglia e lo fece accomodare in salotto.
«L’ha incaricata Giorgio di venire qui? Mi deve dire qualcosa? A proposito che ore sono?»
«Sono le nove e quindici. Ieri abbiamo parlato di te e allora sono venuto…»
Rispose Loris, mentre si toglieva il cappotto.
«Che intende dire?». Chiese Pamela, perplessa per il modo confidenziale che aveva assunto il ragioniere, che per altro non aveva mai osato prima.
«Non capisci. Intendo dire che sono venuto a passare un’oretta con te».
Quando uscì, era calmo. C’erano da scendere cinque piani ma non prese l’ascensore e solo quando fu nell’atrio si accorse di aver dimenticato il cellulare nella stanza da letto di Pamela, ma non tornò a riprenderlo. Un quarto d’ora dopo era in stazione e stava acquistando un biglietto di seconda classe per Roma. Il rapido partiva alle undici e dodici, ossia di lì a un’ora e allora ingannò il tempo contando i treni che entravano e uscivano dalla stazione.
A Roma andò subito a informarsi a che ora partiva il primo treno per Parigi, e questa volta salì su un vero treno della notte, come quelli che aveva sempre immaginato. Un treno internazionale, lunghissimo, con vagoni letto, tendine calate sui vetri, luci abbassate e viaggiatori che parlavano diverse lingue.
Seduto nel suo scompartimento, non riusciva a comprendere del perché Pamela si fosse burlata tanto di lui, quando le aveva detto cosa voleva. Avesse opposto un rifiuto, l’avesse presa male… Ma no! Dopo averlo squadrato da capo a piedi, era scoppiata in una fragorosa risata.
«Non ridere. Ti proibisco di ridere». Le aveva intimato, ma Pamela aveva continuato a sghignazzare e allora l’aveva afferrata e spinta sul letto. Quanto alla cintura della vestaglia si trovava lì, tra le lenzuola, e lui non fece altro che stringergliela intorno al collo.
D’un tratto si accorse che il treno rallentava e stava entrando a Gare du Nord di Parigi.
Uscito dalla stazione, si incamminò verso Pigalle. Era tranquillo, non aveva fretta e si guardava attorno alla ricerca della tour Eiffel. Arrivato all’altezza di un alberghetto da quattro soldi, scorse una donnina in attesa e si avvicinò. Ecco, le cose si stavano mettendo come aveva sperato.
«Permette?» Chiese alla donnina vestita di verde, ferma sul marciapiede.
«Sono inglese e non conosco Parigi, Potrebbe indicarmi un hotel decente per potermi cambiare d’abito e rinfrescarmi?»
«Conosco un albergo qui vicino, in Rue Victor Massé. Se vuoi, ti accompagno».
Quando arrivarono all’hotel la sua accompagnatrice aprì la porta a vetri e gridò:
«Non si disturbi messieur Alphonse. Prendo la chiave della numero 7».
“Meglio così, non chiedono nemmeno i documenti qui”, pensò Loris.
Si svegliò sul tardi, rifece l’amore con la sua accompagnatrice, le dette dei soldi e lasciò l’albergo.
Erano passate le due del pomeriggio, quando andò a pranzare in un bistrot affollato e dove delle persone, a dei tavoli appartati, stavano giocando a scacchi. Si andò a sedere alle spalle di un giocatore e rimase a seguire le sue mosse sino a quando lo vide fissare per diversi minuti la scacchiera senza risolversi a giocare.
«Lei vince in tre mosse, vero?» Gli disse in un francese perfetto.
Il giocatore volse lo sguardo verso di lui, e meravigliato gli rispose che proprio non vedeva come si potesse dare scacco matto all’avversario.
Seguì un attimo di silenzio e poi Loris chiese:
«Lei permette?» Il giocatore assentì, ma lo guardò scettico.
«Sposto il cavallo qui? Lei che fa?» Chiese all’avversario che senza perdere tempo rispose:
«Lo mangio con la torre».
«Benissimo! Avanzo allora di due case la regina. Lei che fa?»
Stavolta l’avversario non rispose, ma arretrò il re di una casa.
«Ecco! Ora avanzo di una casa la regina e dichiaro scacco matto. Non era difficile, no?»
Concluse, e si alzò.
Uscendo dal locale, vide un’edicola e andò a comprare dei quotidiani italiani. Appena ne aprì uno, in terza pagina la sua fotografia troneggiare sotto il titolo: “La verità sul caso Matese”.
Prese i giornali e si andò a sedere in un giardino poco distante. Tutti i giornali italiani parlavano di lui. La moglie, intervistata, dichiarava che non riusciva a spiegarsi l’accaduto. Gli inquirenti asserivano che l’arresto sarebbe stato solo questione di ore, che l’assassino della donna probabilmente aveva ucciso anche il suo datore di lavoro e lo invitavano a costituirsi.
Quando si alzò, ebbe l’impressione che tutti lo stessero guardando, e allora decise che era giunto il momento di risolvere definitivamente il problema. Si toccò il cappotto per sentire sotto le dita la busta con le banconote e si incamminò senza dare nell’occhio. Escluse gli hotel di un certo livello; pensò anche di cambiare quartiere e questo per non lasciare dietro di se’ troppe tracce del suo passaggio.
Fattosi buio, con la linea due del metro raggiunse Montmartre e subito si mise alla ricerca di una locanda, un alberghetto senza troppe pretese. Anzi, meglio se avesse trovato un’altra donnina e si fosse fatto accompagnare da lei.
Sperando che si ripetesse la stessa fortuna della volta precedente, trovata la ragazza, andarono insieme in albergo e anche questo sonnacchioso portiere non chiese nulla, si accontentò di ricevere una mancia da Loris e il sorriso dalla ragazza. La notte la trascorse in compagnia dell’entraineuse, ma non avendole fatto nessuna avance, il mattino, quando la stessa lasciò l’albergo, si recò di filato al più vicino posto di polizia e raccontò con che strano tipo aveva trascorso la notte.
Disse che era stata pagata bene e in anticipo, ma che appena messosi a letto, il tizio, uno straniero, forse italiano, si era girato all’altra parte e si era subito addormentato.
«Decidesse lei, signor Commissario, il da farsi, ma per me è una cosa molto strana, che non si è mai verificata prima». Concluse la lucciola.
Il commissario volle sapere in quale albergo avesse trascorso la notte con quel tipo e le chiese di descriverlo. Le mostrò le foto segnaletiche giunte dall’Italia e, quando la ragazza lo riconobbe, il commissario mandò una volante a quell’albergo per arrestare il ragionier Loris Matese.
Ma quando la volante giunse sul posto, non lo trovò. Il ragionier Matese in quel momento si trovava sott’acqua, trasportato dalla lenta corrente della Senna. Voleva imitare il suo datore di lavoro e aveva gettato il cappotto, la giacca e i suoi documenti nel fiume, ma era scivolato sui gradini sdrucciolevoli della rampa ed era finito in acqua e, non sapendo nuotare, era affogato.
 



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