L’imbruttimento del paesaggio imperversa pericoloso su una delle zone più belle. E gli strumenti di tutela sembrano non poter fare nulla contro il cattivo gusto
Quanti fra coloro che oggi abitano le campagne della nostra Valle (una delle più suggestive al mondo) e s'aggirano tra nuove villette stile californiano e pertinenze e depositi, sanno che sotto i loro piedi si stendeva una meravigliosa realtà autoctona fatta di trulli imbiancati con la calce, muretti a secco secolari, e poi anche di viti coltivate col sudore dei nostri antenati? E’ banale dire questo, ma di quel paradiso storico e artistico comincia a restare concretamente poco. Si vedano le foto.
E' tempo di "febbre edilizia" persino nelle campagne. Non basta più la città. E il “principe” (si perdoni l’ironia) ha bisogno di realizzare. Non importa che il senso della bellezza sia in netto contrasto con le esigenze della cazzuola.
La "perla d’Itria" è perduta per sempre: i coni in pietra, quelli medesimi i quali un giorno avevano sparsa la solennità del loro antico mistero sul capo olimpico – e leggendariamente capatosta - dei nostri antenati contadini, giacciono lì quasi come in uno stupro di branco. Sembra che soffi sulla campagna di Martina un vento di barbarie e minacci di strapparle quella raggiante corona di trulli, ulivi e muretti a cui nulla è paragonabile nel mondo delle memorie e della poesia martinesi.
Ci si chiede che fine abbiano fatto i difensori del bello. Gli intellettuali odierni così attenti alla cultura dell’anti-modernità. Così ansiosi di globalizzare “localizzando”. Una volta Emile Zola si era indignato per la curèe edilizia a Parigi in un suo libro. Si pensi a Gabriele D’Annunzio che una volta ebbe da ridire sullo scempio romano di Villa Ludovisi, dove la natura virente veniva estirpata in nome della cazzuola. Ma qui trova anche di peggio: non abbiamo nostrani Zola o D’Annunzio.
Nelle nostre campagne lo scempio è sotto gli occhi di tutti. E nessuno (a parte pochi che su Facebook insistono – vedi l’avv. Giuseppe Gaetano Marangi) sembra destarci la memoria storica: qui, mentre una volta si scozzonavano i cavalli che portavano i contadini alle vendemmie, dove giacevano trulli in pietra, ulivi e viti, ora sorgono nuove costruzioni. In qualunque zona della Valle voi andiate, o si smuove o s'agguaglia il terreno per guadagnar fabbricativi e pertinenze a ridosso di trulli e casedde che non hanno nulla a che vedere con le stesse casedde di una volta. Oppure, peggio: nuove villette dai colori troppo sgargianti, segnate da cancelli dallo stile imprecisato e sostenuti da colonnati che interrompono la continuità architettonica dei muretti a secco. E al posto di coni di pietra troppo spesso di ergono tetti colorati di rosso, spioventi, su costruzioni a due piani dove svettano non educate fumaiole più alte degli ulivi.
I nostalgici del bello (pochissimi) spesso si sgolano per moltiplicare le accuse contro l'oscena e demoniaca “occupazione” perché è fuor dubbio che in appena quindici anni la Valle D’Itria risulta trasfigurata dalla febbre edilizia.
Lo spettacolo è deprimente. Le foto lo dimostrano. Però: possibile che chi prima rivendicava i diritti privati ora non riesca, e faccia fatica, a chiamare al pubblico soccorso? ma la parola “bello”, nel Piano Paesaggistico Territoriale, è mai presente? E qualcuno ha considerazione di cosa sia? Un concetto astratto o puro e semplice buon senso?