Detta così la frase potrebbe sembrare offensiva. Si tratta In realtà del linguaggio asettico, puramente statistico, che caratterizza il rapporto annuale dell’Eurobarometro pubblicato dalla Commissione Europea e riguardante gli interessi culturali nei paesi dell’Unione Europea. Va da se che il soggetto di questo poco lusinghiero primato è il Belpaese. Vediamo in dettaglio di cosa si tratta. Nel così detto indice di “pratica culturale” il 49% degli italiani ha “bassa pratica” a fronte del 34% della media UE e siamo il fanalino di coda, tra i paesi dell’Unione, con appena l’8% della popolazione che manifesta un interesse medio alto nei confronti dei prodotti culturali. Solo nell’ultimo anno il consumo di programmi culturali, Radio e TV, sono calati del 14%; del 7% per la lettura dei libri (solo il 56% della popolazione ne ha letto uno in un anno); dell’8% per visite a monumenti storici; del 4% per visite a musei e gallerie; del 5% per concerti e frequentazioni di biblioteche pubbliche; del 2% per i teatri, che già erano deprecabilmente disertati; del 3% per balletto e opera. Ma il dato più sconfortante è che l’80% del campione intervistato ammette candidamente di non partecipare ad alcuna attività culturale. Troppi numeri possono facilmente far perdere il focus sull’elemento chiave: siamo diventati il Paese degli ignoranti e, questa volta, non solo in termini statistici ma sostanziali. Certo non possiamo sottovalutare il peso che la crisi economica perdurante ha avuto, e continua ad avere, nella contrazione dei consumi e, conseguentemente, anche del prodotto culturale, ma questo non è sufficiente a spiegare il tracollo di un bene cognitivo che non è puramente materiale ma essenzialmente spirituale. Vi è indubbiamente l’attivazione di un meccanismo perverso. La crisi costringe le persone ad occuparsi principalmente dell’immediato ma questo le spinge in una spirale pericolosa: l’egoismo intellettuale e morale che porta all’impoverimento delle coscienze, per cui si diventa più materialisti e meno appassionati alle idee. Ma al di là della crisi economica, va detto che uno dei motivi che spiega il basso livello di richiesta di cultura è da imputare alla scarsa qualità dell’offerta televisiva. A differenza di quanto era accaduto negli anni 50 e 60, anni in cui il benessere economico era tutto da conquistare, quando la TV si era fatta carico di pascere la fame culturale degli italiani, oggi l’offerta televisiva è deplorevole e denota un livello così basso da far scadere chi li guarda nella dissoluzione del pudore intellettuale. Erich Fromm diceva che lo stimolo passivante richiede un ricambio continuo e non nutre la mente. Quando al contrario si legge un libro l’intelligenza si attiva, si innesca la creatività attraverso parallelismi tra quanto letto e le proprie esperienze di vita. È altamente improbabile che coloro i quali trascorrono molto tempo passivo davanti alla TV d’oggi, a meno che non sia per motivi professionali, possano considerarsi persone colte. Ma tra i tanti perché irrisolti intorno all’impoverimento culturale, alcuni possono trovare risposte chiare. La scorsa settimana vi ho ricordato Pasolini, ma la televisione era fatta anche da Mario Soldati, da Giovannino Guareschi, da Indro Montanelli, da Marcello Marchesi, da Enzo Biagi. Oggi pendiamo dalle labbra di Bruno Vespa, Fabio Volo e, soprattutto, Fabio Fazio, Luciana Littizzetto e Roberto Saviano. Vi confesso che, culturalmente , sono più stimolato da Ficarra e Picone.