Novembre sembra essere il mese più funesto per le condizioni metereologiche. Dopo gli avvenimenti delle ultime settimane in tutto il mondo, si torna a parlare di Statte, della catastrofe che ha subìto dodici mesi fa e che ancora non riceve l’adeguata attenzione. A cominciare dai fondi destinati alle imprese pubbliche e ai privati
8 novembre 2013: il tifone Haiyan si abbatte sulle Filippine con una potenza mai vista prima, lasciando dietro di sé terrore, catastrofe e devastazione. Oltre diecimila i morti e la paura dilaga anche in Vietnam e in Cina.
18 novembre 2013: ottantuno – ottantuno!!! – tornado colpiscono il Midwest, e in particolare lo stato dell’Illinois. L’allarme dura diversi giorni e l’intera popolazione americana corre ai ripari, preparandosi a sopravvivere a un esercito di cicloni infuriati.
Stesso giorno: il ciclone Cleopatra distrugge la Sardegna. Olbia e Nuoro, solitamente soleggiate e incantevoli, appaiono irriconoscibili. Migliaia di persone sono costrette ad abbandonare la propria casa, raccattando tutto ciò che possono e mettendo in salvo i familiari.
E mentre gli occhi del mondo sono incollati su ciò che sta accadendo nelle ultime settimane, tutti sembrano aver dimenticato – ma se n’è poi mai parlato? – di ciò che è accaduto nella provincia tarantina lo scorso 28 novembre. Un anno fa, dal golfo ionico si è sollevato un tornado di dimensioni impressionanti, il quale passando per il colosso siderurgico si è poi imperversato su Statte, distruggendo tutto ciò ha trovato sul suo cammino.
I danni sono visibili ancora oggi, dal momento che i fondi destinati alla popolazione colpita non sono mai arrivati. Solo una piccola parte pare sia giunta all’amministrazione comunale, ma la distribuzione ha sollevato più di qualche polverone.
Scarsa – anzi, nulla – attenzione mediatica; nessun aiuto da parte di un governo in stato vegetativo per quanto riguarda le questioni importanti del Paese ma, diamine, attivissimo quando si tratta di aumentare i privilegi di deputati e parlamentari. Uno stato di calamità naturale richiesto e mai riconosciuto; ingenti danni all’intero paese, dagli edifici alle strade, alla pubblica illuminazione ancora assente in alcune zone di Statte. Diversi gli sfollati, costretti a vivere per diverso tempo in albergo o ospitati da parenti. Case senza tetto, sventrate, distrutte. Chi è riuscito a sistemarle lo ha fatto a proprie spese, ma tante sono ancora le famiglie che continuano a vivere in situazioni di estrema difficoltà.
Sms solidali per la popolazione sarda – ben vengano, se il denaro arriva davvero a chi ne ha bisogno – ma di Statte e Taranto il resto dell’Italia non ne ha mai saputo nulla. Nessuno sa degli automobilisti in stato di shock per essere stati sollevati e sventolati a metri di distanza; né dei bambini con i tagli sul viso provocati dalle finestre della scuola andati in frantumi. Nessuno ha visto il terrore negli occhi di chi si trovava a pochi passi dal tornado.
Ma di questo poco importa. Non è visibilità, non è il quarto d’ora di celebrità che chiede la popolazione di Statte. Solo il giusto riconoscimento da parte di chi può fare qualcosa, di chi deve fare qualcosa, ma che si ostina a considerare il sud come la periferia della periferia e i suoi abitanti come cittadini di serie B.
Il racconto
E il cielo si fece grigio
Statte, 28 novembre 2012.
Il cielo è grigio, buio come non mai. Cupo e intenso, si staglia in tutta la sua oscurità come a segnalare a chi vive sotto di lui che qualcosa sta per accadere.
La pioggia batte incessantemente sui tetti delle case: allaga i giardini, trasforma le vie in piccoli e tortuosi fiumi straripanti. Gli animali cercano rifugio, le persone corrono indaffarate, perché nonostante il maltempo devono adempiere ai loro impegni. Qualche ombrello spezzato dal vento, gli impermeabili che sembrano fare fatica a svolgere la loro funzione. I più, in ogni caso, si rintanano nelle proprie abitazioni, al caldo del camino e alla sola luce di qualche candela accesa. La corrente è andata via da tempo e non si può far nulla se non aspettare che torni e intanto ascoltare i suoni provenienti dall’esterno.
Ma è un attimo, e tutti i rumori vengono assorbiti da un unico, spaventoso e tremendo frastuono: una centrifuga, un gigantesco motore in ebollizione, un soffio di vento particolarmente rabbioso.
Un tornado attraversa il paese manifestandosi in tutta la sua brutalità: sradica alberi secolari come fossero teneri ramoscelli; solleva recinti, auto e veicoli di ogni tipo; distrugge case, si appropria dei loro tetti come un ladro che furtivo agguanta una mela da una bancarella al mercato e corre via più veloce che può. Sa che è in errore. Sa che sta portando via qualcosa che non gli appartiene. Ma nulla può la voce della coscienza: è nato per quello, è la sua natura. E scappa. Scappa a perdifiato verso i volti impauriti di chi ne incrocia il passaggio, verso vetri ancora intatti, ancora da distruggere. Cosa resta del paese? Che ne è di quella stazione di servizio che fino a pochi minuti prima se ne stava beata in via Taranto e che ora, morente, cade a pezzi, sbriciolata fino all’anima? Cosa ne è stato di quella villetta appena inaugurata? Dovevano esserci urla gioiose di bambini che giocano sull’altalena e non grida di terrore di chi ha creduto per un istante di morire. Cosa è accaduto a quella scuola che in un baleno è stata trasformata in un edificio spettrale?
È la natura, dicono, e non si può far nulla.
È il tornado che passa e va via, lasciando un paese sventrato ma anche il sorriso di chi riesce a riabbracciarsi ancora.