Il dialogo che vi propongo questa settimana è con Giacomo Conserva, un giovane della politica. Ma cosa si intende per giovane della politica, in effetti? Oggi quella delle quote giovani è un tema molto cavalcato e lo abbiamo visto in questo mese quanto sia importante, o comunque abusato. Praticamente tutti e sei i candidati sindaci hanno vantato la presenza di giovani nelle loro squadre. E come riconoscere un buon giovane politico dal solito pupacchiotto in stile Trota Bossi?
Chi scrive, per chi ancora non dovesse saperlo, ha 22 anni e un’inusitata passione per la politica (secondaria a molte altre cose, in effetti). Essendo un cronista di stampo umanista, si diverte ad analizzare tutti coloro che incontra alle riunioni o, magari, che intervista. Di coetanei attivi in politica ne consce molti e ne incontra tanti. Semplicisticamente (come ogni discorso, sarebbe più complesso e con numerose sfumature), può affermare che esistono tre categorie di giovani politici: 1) l’ESTREMISTA: può essere di destra o di sinistra ma in ogni caso non va oltre gli slogan e gli stereotipi della rispettiva fazione. Raramente si candida o viene candidato. Insomma, quale candidato sindaco si affiderebbe a un diciottenne che crede che Stalin fosse un leader democratico? E’ il più diffuso e ha un età media di 16-20 anni. 2) il PUPAZZO: appartiene alla stessa fazione del papino o dello zietto o di chiunque possa raccomandarlo. Non prende mai posizioni diverse da quelle dei suoi protettori. Quando interviene in pubblico recita o legge direttamente un discorso che ha imparato a memoria. Ha un’età media di 18-25 anni (in genere abbandona la politica in cambio di un buon posto di lavoro) e Renzo Bossi è l’esempio lampante di questa categoria, anch’essa molto diffusa. 3) il RAGAZZO MERAVIGLIA: rarissimo, è colui che comincia a interessarsi alla politica autonomamente, per curiosità propria; che si fa idee politiche indipendentemente da quelle che ha la sua famiglia (potrebbe essere concorde o meno); che sa sviluppare uno spirito critico, anche nei confronti del proprio partito; che vuole imparare e imitare i grandi del passato. Quando tiene un discorso, che di certo avrà scritto da solo, parla speditamente e non abbassa mai lo sguardo. Non si candida mai alla prima occasione: prima di candidarsi come consigliere comunale segue almeno tre campagne elettorali. In genere ha un’età che va dai 20 ai 40 anni (che è l’età massima per essere considerato ancora un giovane della politica).
Giacomo Conserva è un avvocato di 36 anni. Si è candidato per la prima volta per queste elezioni, ma al 1994 risale la sua primissima esperienza politica, partecipando alla campagna elettorale di Peppino Semeraro che lo vide candidato sindaco quando, al ballottaggio, vinse Zizzi. E’ molto amico di Pinuccio e Giovannino Caroli, insieme ai quali ha sempre seguito le dinamiche della politica cittadina. Si è diplomato al liceo classico Tito Livio con 55 sessantesimi e laureato con 108 su 110 a 23 anni. Ha fatto pratica presso lo studio legale della dottoressa Annamaria Corrente, esponente del MSI (e in seguito di AN) sino al 2007, dopodiché ha aperto uno studio proprio nel centro di Martina, dove conta sull’apporto di numerosi collaboratori. Si occupa principalmente di civile e di penale.
All’interno PdL è membro dell’area moderata tendente a destra, essendo ex AN. Con i suoi 566 preferenze si attesta, dopo Pino Pulito (1415), al secondo posto dei più suffragati nell’ambito del PdL e al quarto in assoluto, dopo lo stesso Pulito (da molti considerato vero vincitore delle elezioni), Bufano e Coletta (entrambi del Pd, a quota 807 e 609 rispettivamente).
Secondo voi, lettori, Conserva a che categoria appartiene?
E’ alla sua prima candidatura è ha già ottenuto un grande risultato. Si aspettava un tale successo?
«Sarò sincero e lo dirò senza presunzione: ho fatto solamente trentatré giorni di campagna elettorale, essendo stato corteggiato dal consigliere e spinto alla candidatura da Gianfranco Chiarelli e dal senatore Lino Nessa, ai quali sono legato da una forte amicizia. E’ un risultato che mi aspettavo ed è stato giusto, ma se fossi partito tre mesi prima avrei preso anche qualche voto in più.»
Ma il suo è stato comunque un risultato notevole!
«Certo, certo, ma molta gente mi ha… come dire… “sottovalutato”.
Conosco come vanno le campagne elettorali; so come si raccolgono i voti e, in questo caso, il nucleo del mio bacino è stato rappresentato perlopiù dai molti amici e dai tanti clienti, nei confronti dei quali sono sempre stato molto disponibile, specie nei loro momenti di debolezza. Per trentatré giorni mi hanno accompagnato, mi hanno poi suffragato e non mi hanno tradito. Per questo voglio ringraziarli tutti: dal primo al cinquecentosessantaseiesimo.»
Più in generale, si aspettava anche il duello finale tra Marraffa e Ancona? Immaginava sarebbe andata così, con loro due a fronteggiarsi?
«A voler essere sinceri, nella prima parte della campagna ho pensato addirittura che il centrodestra di Michele Marraffa potesse vincere alla prima tornata. C’è stato il fattore protesta relativo alla scorsa amministrazione e per quello abbiamo pagato con un gap di tremila voti, ma che oggi abbiamo superato e, per questo, sono convinto che vinceremo le elezioni.»
Però anche Ancona… insomma, il suo nome ha catalizzato parecchi consensi. Secondo Lei è valsa più la presenza di così tante liste (ben cinque!) o la sua figura come candidato sindaco?
«Io direi piuttosto che Ancona abbia seguito la teoria machiavellica del fine che giustifica i mezzi. Per la bramosia di potere, ha creato un’accozzaglia di partiti, come l’ha definita Michele Marraffa, dove ci sono un Martucci e un Lasorsa, fondatori del MSI a Martina negli anni passati. Costoro oggi si ritrovano a essere nell’aggregazione di Ancona, che proviene da una storia politica nettamente di sinistra e di certo non proveniente da aree moderate.»
Un po’ come quei fasciocomunisti che si presentarono alle elezioni di Latina un anno fa…
«Sì, sì. Assolutamente fascio e martello. Pasquale Lasorsa, che è un amico e che stimo tantissimo, non ha avuto il coraggio di scendere in campo, democraticamente, per constatare quanti suoi elettori, nei fatti, lo stimino ancora come politico: ha preferito rimanere dietro le quinte e il candidato che supportava, da quanto io ne sappia, non ha preso più di un centinaio di voti. E oggi Lasorsa sale su un palco decorato a falci e martelli dopo essere stato per anni, qui a Martina, un pilastro, assieme a Martucci, del Movimento Sociale prima e di Alleanza Nazionale dopo.
Questo per esemplificare il contenuto di quest’accozzaglia di simboli e personalità che supporta Ancona, ma che di certo non gli servirà per vincere il ballottaggio. Michele Marraffa, invece, con quelle delibere firmate da noi consiglieri eletti e dagli altri potenzialmente eletti, ha dato alla città un messaggio forte, di rinnovamento e della politica del fare. Il contrario di quella… anconiana.»
E se l’UdC fosse andato con la sinistra? Allora Ancona avrebbe vinto al primo turno?
«No. Devo rendere atto che Ancona, quanto Marraffa, è stato coerente sin dall’inizio della campagna elettorale. Il Terzo Polo, dal canto suo, voleva essere l’ago della bilancia ma non lo è stato per nulla e credo che quel 13% di elettori in quota all’UdC, che potrebbe rappresentare la vittoria per l’uno o per l’altro, non voterà Ancona. Non si può certo imporre a un elettorato di centro di votare Ancona. Io dico che il 70% di quell’elettorato voterà Marraffa.»
Questo discorso ci porta alla scelta di evitare apparentamenti con alcuno…
«Si è mantenuta e si manterrà fino all’ultimo la coerenza che ha caratterizzato la corsa al voto di Michele Marraffa, di noi candidati consiglieri e di tutti coloro che rappresentano il Popolo delle Libertà a Martina, ovvero dell’avvocato Chiarelli e di Lino Nessa. Apparentandoci avremmo avuto la possibilità di vincere, ma credo anche che avremmo avuto parecchie ritorsioni all’interno della nostra stessa coalizione e avremmo potuto perdere dei voti importanti, che, andando da soli, coerentemente, non perderemo affatto.»
Sarà un duello all’ultimo voto, insomma! Tra Ancona e Marraffa!
«Certo, ma, ripeto, la sinistra in provincia e in città non ha mai fatto nulla. Vendola governa da ben sette anni e, nonostante Pentassuglia e Laddomada siano nelle forze di maggioranza, non ho mai visto dei provvedimenti importanti per la città di Martina Franca.»
Vendola non è mai stato troppo attento alla nostra provincia e poi, in questo periodo, in vista delle politiche del 2013, tende anche a dimenticare che è governatore di Puglia…
«Sì, assolutamente. E’ una persona assente e che in Puglia non ha fatto provvedimenti positivi: da ultimi i tagli alla sanità. E proprio Martina, che rappresenta un’arteria importante con i suoi cinquantamila abitanti, stava per perdere dei reparti importantissimi, quali cardiologia e ostetricia. Solo un provvedimento del 2 novembre ha fatto sì che venissero accorpati. Lo stesso Pentassuglia, che raccoglie un gran consenso nell’agro, non l’ho mai visto impegnarsi per la città in modo serio. Non vive nemmeno a Martina e non credo sia poi così consapevole delle problematiche della città.»
Mi perdoni se usciamo un attimo extramoenia, ma vorrei parlare con Lei della situazione a Taranto, dove Filippo Condemi ha subìto una sconfitta agghiacciante. Considerando che a Taranto, come a Martina, il PdL (o comunque ex Forza Italia) ha anche lasciato un pessimo ricordo di sé, perché a Martina il PdL ha saputo recuperare e a Taranto no?
«Perché Taranto ha un’anima politica molto diversa da quella di Martina. Anzitutto Taranto continua a patire le conseguenze del default avvenuto con la Di Bello, che è stato maggiore e ben più grave della situazione di stallo avutasi a Martina.
A ciò si aggiunga che è nel capoluogo dei Due Mari è radicata un’idea di destra molto diversa dalla nostra: quella vicina al Cito-pensiero e alla sua AT6, soprattutto nei quartieri più deboli. Diciamo, volendo esemplificare, che a Taranto prevale una visione di destra più popolare, soprattutto a Paolo VI, nella Salinella e nei Tamburi. Al contrario, a Martina si è sempre espresso un elettorato di centrodestra più moderato e di stampo cattolico invece che sociale.»
C’è un’altra cosa che non torna: Alfano, Gasparri e Fitto sono passati da noi, a Martina, come a Taranto. Eppure, come si è detto, il PdL ha ottenuto dei risultati diversi. La domanda è: per le elezioni comunali, quanto conta nei fatti la pubblicità di un personaggio di importanza nazionale?
«Sinceramente? Poco. Credo che nelle campagne elettorali locali sia molto relativo. Magari influisce nelle campagne elettorale regionali e provinciali, ma a livello comunale si scelgono le persone e lo sappiamo tutti benissimo. La loro presenza non può far variare la preferenza dell’elettorato se non per l’1 o il 2%. E’ molto relativo e poi penso che chi deve salire su quel palco deve effettivamente conoscere i problemi reali della città.»
A Martina, quindi, il nome Marraffa vale anche più della sigla PdL…
«Sì. E’ una persona che io conoscevo già e che ho conosciuto a fondo in quest’ultimo mese. E’ l’unica persona che può fare il sindaco a Martina. Una persona pragmatica che rispecchia i princìpi cardini della cultura martinese, rispetto alla tanta retorica astratta e stereotipata di sinistra. La cultura politica di Martina è fatta di moderazione e cristianità. I martinesi vogliono una politica fattiva e non distruttiva, tipica della sinistra.»