D’impulso mi verrebbe da dire che le due motivazioni sono complementari, ma sarebbe semplicistico ed anche superficiale. La prostituzione nel corso della plurisecolare vicenda umana è stata una professione, di volta in volta nobile o ignobile, che ai giorni nostri è diventata una vera piaga sociale. Nell’età classica le etere erano donne che all’indubbio fascino estetico associavano un livello culturale ed una vivacità intellettuale da reggere discussioni filosofiche con i più grandi pensatori del tempo. Le sacerdotesse del tempio di Afrodite, o del tempio di Venere, svolgevano la professione rispettate ed ammirate da tutti. In tempi più vicini a noi, durante il Rinascimento, le cortigiane avevano un posto di rilievo in tutte le corti europee. La celebre Vannozza diede ben tre figli, riconosciuti, a papa Alessandro VI Borgia ed era donna di indubbie qualità non solo amatorie. È altrettanto vero che i frequentatori dei lupanari, operatrici o clienti che fossero e qualunque epoca prendessimo in considerazione, non si distinguevano per brillantezza culturale, ma le meretrici avevano una funzione calmierante sul rischio costante di tumulti popolari che scoppiavano per i motivi più disparati. Tutto questo per dire che la prostituzione nei secoli ha avuto una funzione sociale, al di là delle degenerazioni inevitabili, che merita una considerazione ed una attenzione più articolata che il semplice giudizio morale ed etico. Fino ad oggi. La realtà attuale impone una riflessione più sconfortante. La prostituzione si sviluppa in due filoni che originano dalla stessa matrice: la perdita della concezione etica della vita umana. Il primo filone si compone del caleidoscopico mondo delle nuove schiavitù, di tutte quelle donne in fuga dalla disperazione di una vita difficile da vivere nei propri paesi d’origine che cadono nella rete dei nuovi schiavisti, organizzazioni per delinquere che sembrano poter vivere nella certezza dell’impunità garantita da uno Stato incapace di svolgere la propria funzione. Le vittime sacrificali le vediamo quotidianamente bivaccare lungo le strade delle nostre periferie, oltraggiate dallo squallore dei luoghi, dal disprezzo dei passanti e dalla violenza fisica e morale provocata dei clienti. Il secondo filone è, se possibile, ancora più squallido e degradante, dove le protagoniste non sono soggetti passivi, non sono vittime, ma protagoniste colpevolmente consapevoli. Riguarda il mondo apparentemente dorato delle escort, delle hostess, delle signore annoiate della middle class, delle studentesse dei licei più esclusivi delle città o delle studentesse universitarie alla ricerca di guadagni “facili” per una borsa o un paio di scarpe “griffate” in più da esibire. Ma riguarda anche, se non soprattutto, un universo maschile degradato e degradante fatto di professionisti affermati, di nuovi ricchi, di uomini di potere, di alti prelati, di tutta quella classe dirigente che di questo Paese, che dovrebbero guidare, sono lo specchio fedele dell’indigenza etica e culturale. Quanto stiamo leggendo nelle cronache romane di questi giorni, il caso delle due studentesse minorenni che si prostituivano in un appartamento del sofisticato quartiere dei Parioli, è emblematico di un malessere della nuova società civile che abbiamo costruito, o forse è meglio dire della vecchia società civile che abbiamo distrutto, frutto di decenni dedicati allo smantellamento sistematico dei valori fondanti di una comunità a cominciare dall’istituzione familiare, per passare attraverso il depauperamento dell’organizzazione scolastica nella sua globalità, il degrado di ogni forma di spettacolo proposto dai vari network televisivi, l’impoverimento del linguaggio, l’esaltazione esasperata della ricchezza quale unico strumento di visibilità sociale e di rispetto. Donne che male interpretano la legittima e auspicabile emancipazione legandola alla esasperata conquista dell’effimero, ma soprattutto uomini che hanno perso il senso della dignità, riducendo le loro aspirazioni al soddisfacimento degli istinti più primordiali che li porta ad essere, essi stessi, vittime della loro arrogante stupidità. Allora forse riusciamo a capire quanto più edificante fosse la storia d’amore che legava Aspasia di Mileto a Pericle