Caro Silvio, consentimi il tu confidenziale data la relativa vicinanza anagrafica e la più o meno forzata convivenza ventennale, ho deciso di scriverti oggi questa lettera aperta nei giorni della polvere dopo i giorni dell’altare, per riprendere i versi che Don Lisander ha dedicato ad un altro dux. Non che tu possa essere minimamente paragonato al grande Corso, se non per le misure antropometriche, ma unicamente per la simmetrica alternanza di vittorie e sconfitte della carriera “politica”. In verità avevo già avuto occasione di scriverti privatamente nel 2010, quando eri ancora saldamente ancorato a Palazzo Chigi, per segnalarti un problema di normale cecità manageriale pubblica che stavo vivendo personalmente mentre svolgevo a Roma la mia attività di consulente ambientale per il CONI. Rispetto ad una questione che era, ed è ancora perché irrisolta, di pubblica utilità, la risposta cortese ma deludente del tuo, allora, segretario alla Presidenza Valentini fu che non avevi le “competenze” per risolvere il problema. Ti confesso che a distanza di più di tre anni, ed alla luce delle ultime disavventure giudiziarie che ti sono capitate, ho il fondato sospetto che se fossi stato una bella ragazza dalle curve pericolose avrei ottenuto migliore ascolto ed avresti trovato le giuste “competenze”. Ma è solo un sospetto. Da pochi giorni è iniziato il tuo personale esilio alla tua Sant’Elena, ma mi sembra di capire che sei determinato a lottare strenuamente per ritornare a Parigi. Da un punto di vista umano ti capisco perfettamente perché gli uomini che da sempre sono abituati a lottare, ed io mi ritengo uno di questi, non possono accettare la ghettizzazione anche e soprattutto quando la ritengono ingiusta. Ma, vedi, la differenza sostanziale tra te ed i poveri mortali come me sta tutta nelle differenti motivazioni che spingono a lottare strenuamente. Io, come milioni di cittadini di questo tragicomico Paese, ci alziamo al mattino con la consapevolezza di dover affrontare il problema della sopravvivenza (mancanza di lavoro, burocrazia asfissiante, tassazione inumana, inefficienza dei servizi pubblici, scuola degradata, sanità malata, futuro dei figli) senza avere le risorse per poter far fronte alle difficoltà. Tu apri gli occhi ad ogni nuovo giorno con l’input di salvare il tuo regno (la credibilità politica, l’impero economico, i profitti delle tue aziende) avendo a disposizione mezzi ed opportunità che sono di pochi al mondo. Penso che sia giunto anche per te il tempo di prendere coscienza dei tuoi limiti, anche se per “l’unto del Signore” questi siano più ampi, e pensare seriamente ad una dignitosa uscita dalla comune. D’altro canto ad un esame oggettivo della tua azione politica, di governo e di opposizione, i risultati sono drammaticamente sconfortanti. Il milione di posti di lavoro sbandierati dall’improbabile, ed improponibile, tribuna di Vespa sono rimasti un sogno nel cassetto, anzi di posti di lavoro se ne sono persi molti di più. La ventilata, sbandierata ed auspicata rivoluzione liberale è naufragata nel perpetrarsi di politiche centraliste e verticistiche da far impallidire il centralismo di stampo sovietico. La statura morale e politica delle centinaia di uomini e donne che hai portato in parlamento suona come un insulto alle coscienze dell’intera nazione. Per quanto riguardo lo stato catatonico della nostra economia e la recessione stagnante ormai da più di cinque lustri, non tutto può essere addebitato alla tua insipienza perché il peso maggiore del disastro è da addebitare al duo comico Ciampi-Prodi ed alla loro maledetta forzatura per entrare nella zona euro. Ma tu, caro Silvio, hai avuto un decennio per porre rimedio allo sfregio arrecato alla nostra comunità ma non ti sei sbattuto più di tanto, salvo essere cacciato con ignominia dalla carica di Premier dai poteri forti che governano l’Europa quando, all’acme della tua crisi di credibilità internazionale, hai rivendicato una sovranità economica e finanziaria che non ci appartiene più dal 2001. È giunta ormai l’ora di riporre la corona e lo scettro, scendi di sella dal tuo Marengo, e goditi un dorato riposo pensando a quanti vorrebbero godere del tuo stesso privilegio ma che invece sono costretti a rovistare tra gli scarti dei mercati rionali per sopravvivere. Per quanto riguarda le sorti del Paese, non avere troppi patemi. Chi verrà dopo di te difficilmente potrà fare peggio. Con poca simpatia e ancor meno affetto tuo Vito Pietro Corrente.