Bambini in difficoltà
Le fatine aghine non fanno paura
In strada, in ospedale, a casa, l'equipe dell’Arciragazzi è sempre pronta a intervenire, con un giocattolo, un burattino o una speranza. Così tutto diventa un gioco, e per un po’ torna il sorriso
Nella vita c'è bisogno di credere in qualcosa, qualcosa che sia positivo, che ci faccia sentire sicuri di poter sempre contare su qualcuno, proprio come si fa con la mamma, quella creatura meravigliosa, che da quando siamo bambini non fa altro che starci vicini. C'è bisogno di condividere, di saper percepire e regalare l'amore, nella sua originaria essenza. Siamo essere umani, abbiamo un'anima, e viviamo di relazioni, di scambi di valori, aldilà di quello che il catastrofismo di questi tempi ci voglia far credere. Quando tutte queste necessità diventano qualcosa di concreto siamo già a metà dell'opera e ne ho avuto la conferma intervistando Katiuscia Guarini e Mariafranca Mastronardi, due educatrici dell'associazione Arciragazzi di Taranto, che operano rispettivamente nel reparto pediatria e quello di ematologia. Parliamo di una grande professionalità che mai come in questo caso è strettamente legata a quell'amore, che non fanno altro che regalare, loro come l'intero staff dell'associazione, a tutti i bambini che seguono nel percorso di crescita, che sia in ospedale o a casa.
Arciragazzi è una associazione di promozione sociale a carattere nazionale. Nasce a Taranto nel 1984. 28 anni di storia...
«La nostra associazione nasce a Taranto per dare spazio e voce ai bambini e ai loro bisogni e soprattutto per tutelare i loro diritti, per crescere nella migliore maniera possibile, anche perché riuscire a fare questo significherebbe formare al meglio il futuro cittadino. Dare la possibilità ai bambini di potersi esprimere attraverso il gioco, poter condividere determinati momenti ed esperienze e potersi sperimentare. Il gioco, che è il lavoro del bambino, è il momento in cui riesce davvero ad esprimersi, è quindi uno strumento fondamentale per permettergli di scoprire qual è la sua parte nascosta e condividerla con gli altri. La nostra associazione organizza una serie di attività per far sì che tutto questo si possa realizzare. Arciragazzi a Taranto è stata fondata dal nostro presidente Ada Mele e altri originari componenti, che hanno svolto un grande lavoro riuscendo a realizzare tutto quello che siamo adesso.»
La vostra associazione presenta un equipe completa, varie figure professionali. Qual è la vostra forza?
«Oltre il nostro presidente, come abbiamo appena detto, l'associazione è composta da diverse psicologhe, tra cui Graziana Calò che è il nostro vicepresidente, educatrici, psicomotricisti, assistenti sociali, mediatori sistemici di relazione, arte terapeuti. Ognuno di noi ha sviluppato, con il tempo, una serie di competenze che vengono messe a completa disposizione delle varie esigenze dei nostri progetti. La nostra forza è lo spirito associativo, Arciragazzi non è il nostro lavoro ma la nostra vita. E' come se fossimo in una grande famiglia e quando ci sono i periodi difficili si ci riunisce, si analizzano i problemi e insieme si decide come affrontarli. Se si sta affrontando un momento di sconforto, lo è per tutti. La nostra attività è partita tanti anni fa come un'attività di volontariato, con il tempo è cresciuta, e grazie a vari progetti e alla partecipazione ai bandi di gara, è diventato anche un lavoro, ma la possibilità di organizzare attività di volontariato ci permette di mantenere l'identità originaria dell'associazione. Poter trasformare questo in lavoro assicura una continuità che, spesso, quando si lavora con i bambini o con i ragazzi è la componente più importante…»
Che tipo di impegno è necessario per lavorare con i bambini e soprattutto, cosa non deve mai mancare?
«Noi svolgiamo diversi tipi di attività, ma comunque quando si lavora con i ragazzi è necessario impegnarsi completamente, dandoti a pieno. Devi riuscire a chiudere tutto fuori da quella che noi chiamiamo la porta magica e concentrarti solo sul bambino, positivamente e mai negativamente. La cosa che non deve mai mancare è la capacità di mettersi sempre in discussione e soprattutto nel momento in cui ci si rende conto di non potersi dare completamente, avere l'umiltà di ammetterlo e farsi aiutare dai colleghi. Basti pensare che anche noi, quando affrontiamo casi problematici siamo seguiti da alcuni psicologi, perché, data la complessità di alcuni periodi, necessitiamo di un aiuto…»
Katiuscia, lei lavora nel reparto di pediatria. Ci racconti di questo grande impegno.
«Io sono nel reparto di pediatria da nove anni, sono presente tutte le mattine e con me un'altra operatrice, Ilaria Pavone. Il nostro compito è quello di occuparci dei bambini durante la loro degenza, non solo facendoli giocare, ma anche spiegando tutto ciò che andranno ad affrontare. Il rapporto è diretto con il bambino, anche se ovviamente la figura del genitore è fondamentale. Gli strumenti di relazione variano dal burattino, al giocattolo, alle arti grafiche. Quando ci sono da fare delle visite specialistiche, abbiamo inventato una serie di favole e filastrocche per spiegare le procedure mediche, per esempio la risonanza magnetica diventa una navicella spaziale dove il bimbo andrà per fare un viaggio, l'ecografia è una foto speciale, le fatine aghine sono gli aghi cannula... Molto importante è la relazione con i genitori, loro si fidano di te. La nostra figura è per loro a volte anche un’ancora, perché grazie alla nostra presenza possono allontanarsi dal reparto e recuperare un po' di tranquillità, e tra l'altro aiutiamo bambini e genitori a giocare insieme. Infine dobbiamo stimolare i bambini a raccontarsi, perché durante l'ospedalizzazione spesso si chiudono o magari esagerano con la manifestazione del dolore.»
Maria Franca, lei invece nel reparto onco-ematologia all'ospedale Nord...
«Siamo entrati in questo reparto nel 2001 grazie alla forte fiducia del primario, il dottor Mazza, che ha creduto profondamente nell' importanza della nostra figura, soprattutto di un sostegno psico-pedagogico e non solo medico. Seguiamo i bambini e i ragazzi affetti da leucemia o linfomi (il nostro intervento ludico-educativo dura per tutto il percorso di malattia che il bambino dovrà affrontare). La leucemia ha un periodo di cure piuttosto lungo, un totale di cinque anni inclusi i controlli... Il nostro intervento consiste nel spiegare al bambino e alla famiglia la malattia e il percorso terapeutico che dovrà affrontare, soprattutto perché si tratta di malattie così importanti e lunghe. Il nostro intervento psico-pedagogico è rivolto anche ai genitori, perché quando un bambino si ammala, si ammala tutto il nucleo famigliare. Gli strumenti psico-pedagogici utilizzati per spiegare gli effetti della chemioterapia e non solo, sono la fiaba, i burattini e le attività grafico-pittoriche, si spiega anche con i giusti metodi la morte. Tutto questo è fondamentale perché i bambini hanno una grande consapevolezza di quello che sta succedendo e di cosa. La parola leucemia a volte viene completamente omessa, perché fa paura, invece noi cerchiamo di attraversare questa paura e questo dolore, aiutando il bambino e la famiglia a capire cosa sta accadendo. Conoscere la propria malattia permette al bambino di affrontarla da protagonista e non di subire le terapie. Durante gli esami diagnostici: prelievo, ago aspirato, l’educatore spiega simulando l’esame su un bambolotto quello che il bambino dovrà affrontare per aiutarlo ad esorcizzare la sua ansia, e soprattutto per renderlo consapevole di quello che dovrà affrontare. Dal 2008 l’Arciragazzi realizza un calendario che riporta tutti i disegni dei bambini ospedalizzati, per raccogliere fondi per sostenere il progetto che non è più finanziato, da enti pubblici. Ogni disegno racconta, emozioni vissute dai bambini come la copertina del calendario: il disegno di Giuseppe, un bambino che purtroppo oggi non c'è più, che abbiamo seguito da quando aveva due anni. Era affetto da leucemia. Nell'ultimo percorso della sua malattia, ha realizzato questo disegno, che è un mulino a vento, in maniera spontanea, dove si racconta. Era un bambino pieno di vita e di gioia e con una grande consapevolezza di quello che sarebbe potuto verificarsi. Giuseppe è andato via all'età di sette anni e i medici ci raccontano che si sente ancora la sua vivacità nelle corsie. Nel reparto ci sono due educatori, io e Graziana Calò. Oltre al reparto di Onco-ematologia, Pediatria, gli operatori sono presenti anche nel reparto di Microcitemia, con la presenza quotidiana di Alessandra Macrì.»
Le vostre attività sono tante, la ludoteca, il gioco in ospedale, il centro estivo, solo per citarne alcuni. Uno dei vostri ultimi progetti che l’associazione porta avanti prevede interventi domiciliari di tipo educativo finanziato dal comune di Taranto nell’ambito della legge 285 Dove intervenite?
«Questo progetto si rivolge a bambini e famiglie multiproblematiche segnalate dai servizi sociali. E' molto delicato perché l'educatore entra direttamente in casa e fa un percorso ludico-educativo con i genitori e con i bambini. Si parte dal semplice recupero scolastico e successivamente l'intervento con la famiglia. Anche questo è un lavoro di equipe dove sono coinvolte diverse figure professionali; coordinatore, assistente sociale, psicologa-psicoterapeuta. Un altro progetto, che a nostro malincuore sta terminando, è la ludoteca nel quartiere Paolo VI finanziato dal comune di Taranto nell’ambito della legge 285, con attività anche di strada. Siamo lì tutti i pomeriggi, e all'inizio non è stato facile perché questi ragazzi vivono delle situazioni particolari e ci sono una serie di difficoltà, che però siamo riusciti a superare ed ora anche loro fanno parte della nostra vita e noi della loro, ed è questo il lieto fine che ci riempie il cuore di gioia e di forza per continuare a svolgere il nostro lavoro nel migliore dei modi.»