Stretta nella morsa tra ricatto e occupazione, la città sale all’attenzione di tutta l’Europa. Ma se è facile parlare dallo scranno delle istituzioni o dalle poltrone politiche, noi abbiamo preferito ascoltare le parole dei cittadini, di operai, di malati, di persone che quel dramma lo vivono sulla propria pelle
Non so se ce ne stiamo rendendo conto, ma il problema dell’Ilva sta per far esplodere una questione socio-politica a livello nazionale non indifferente, quasi come se stesse per scoppiare una pentola a pressione. Si può dire che l’acqua ha cominciato a bollire dal 30 marzo scorso, con la chiusura dell’Incidente Probatorio, a opera del Gip di Taranto Patrizia Todisco nell'ambito dell'inchiesta della Procura tarantina sull'inquinamento, che vede imputati i vertici del siderurgico. Gli operai hanno sfilato per le strade della città per difendere il loro posto di lavoro, e la stessa cosa si è ripetuta negli ultimi giorni; mentre a Roma era in corso il secondo appuntamento istituzionale sul caso Ilva, il gip Todisco ha firmato il provvedimento di “sequestro senza facoltà d’uso di tutta l’area a caldo” dello stabilimento siderurgico. I sigilli sono previsti per i parchi minerali, le cokerie, l'area agglomerazione, l'area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi. Oltre al sequestro sono stati arrestati otto dirigenti ed ex dirigenti della fabbrica, indagati per disastro ambientale: tra loro il patron Emilio Riva, presidente fino a maggio 2010 e il figlio Nicola, che gli è succeduto nella carica e si è dimesso a metà luglio 2012. Da qui si è alzato un polverone tale, da preoccupare davvero tutta l’Italia: come si fa se chiude l’area a caldo? Che fine faranno i 12000 operai che ci lavorano? E soprattutto dove si produrrà l’acciaio poi? Le indagini epidemiologiche parlano chiaro però, dimostrando una connessione tra le malattie, le morti causate da tumori, e l'inquinamento prodotto dall'Ilva: 174 decessi per tumore nell'arco di sette anni e i tumori infantili aumentati del 25%. Per non parlare delle mobilitazioni dei sindacati, venuti a Taranto lo scorso 2 agosto a sostegno dei dipendi Ilva, e di tutte le intercettazioni che piano piano stanno venendo a galla: periti e giornalisti corrotti per falsificare le perizie i primi, e far tacere i secondi. Ciò che mi premeva sapere però, è l’opinione dei cittadini di fronte a tutto questo calderone; mi è dispiaciuto percepire un clima di rassegnazione tra i commercianti del mercato Fadini e i passanti del posto: «Che dobbiamo fare, la salute è importante, ma come si fa a chiuderla la fabbrica, oramai ce l’abbiamo». Qualcun altro però, lungimirante, pensa al bene del territorio e delle generazioni future: «In troppi ne hanno approfittato, faceva comodo a molti la situazione così com’era, ma loro stessi conoscevano il rischio a cui andavano incontro, prima o poi sarebbe dovuto succedere. Ora è il momento della svolta». A dividere la città sembra la maniera di approcciarsi alla questione: i sindacati e le istituzioni pongono il lavoro al primo posto, tutti gli altri, la salute e l’ambiente. Eppure, se si ponesse un’alternativa lavorativa, la città sarebbe unita al 100%, questo è certo. In attesa che la magistratura confermi o rigetti il riesame, si sono succedute due manifestazioni importanti: quella cittadina o pubblica a dir si voglia, il 2 agosto, che ha visto sindacati, operai e cittadini confrontarsi animatamente sulla base di accuse ai sindacalisti e alle istituzioni, per la loro totale assenza e disinteresse nel corso di tutti questi anni al lavoro e alla salute. Il 3 agosto in Piazza della Vittoria sono scesi gli ambientalisti, e sicuramente tutti coloro che combattono o hanno combattuto il cancro all’interno della loro famiglia; il papà di Francesco Di Mottola pretende che i vertici del siderurgico vadano in galera. La famiglia Di Mottola abita in via Roma, in centro, nei pressi del ponte girevole, Francesco ha 20 anni e lotta dal 2002 contro un cancro al cervello, un medulloblastoma che ha colpito anche il midollo osseo, ha subìto tre interventi, e al momento è a Milano per sottoporsi a una cura sperimentale americana, finanziata da un’azienda farmaceutica svizzera. Per Francesco è l’ultima possibilità per guarire, se non dovesse fare effetto la cura, non ci sarebbero più speranze. Saverio De Florio, del movimento ecologista, dice di essere fiducioso nella magistratura e rimprovera gli industriali e i politici, che sicuramente difendono un interesse regionale e nazionale, ma fanno finta di non capire la criticità della situazione locale, situazione che non è neanche ben fotografata dalle perizie. «Le perizie tengono conto solo delle morti immediate, quelle che avvengono nel corso delle ospedalizzazioni, correlate alle emissioni di sostanze tossico-nocive, 30 l’anno; mentre una perizia della magistratura, riporta le morti di 90 l’anno».
Il ministro Clini, incontrando le nostre istituzioni locali, sostiene che i finanziamenti serviranno ad ambientalizzare gli impianti, è possibile secondo lei?
«Gli impianti non possono essere ambientalizzati per ragioni oggettive: le industrie accanto alle città non sono ambientalizzabili, accanto alle altre industrie non sono ecosostenibili perché generano un cocktail mortale di inquinanti, quelle troppo vecchie tra l’altro sono malridotte oramai e non è possibile ambientalizzarle, a meno che non si radano al suolo per ricostruirle da zero. Gli impianti per essere ecocompatibili, non devono essere mastodontici, in maniera tale da poter applicare i dispositivi di sicurezza più comuni agli standard europei, che vengono montati da tutte le industrie internazionali. Qui non si osservano questi criteri. Se gli investimenti di questi anni da parte della proprietà Riva avessero avuto qualche effetto, le malattie sarebbero scese di numero, invece ne abbiamo registrato un incremento. Il gruppo Riva diceva che le malattie erano frutto delle esposizioni pregresse di decine di anni prima alle emissioni, questa cosa è vera solo in parte, i periti hanno registrato infatti eventi lesivi alla salute anche nel breve termine; la maggior parte di tutte le patologie polmonari, l’asma ad esempio, si producono in poco tempo. Da considerare anche le richieste di invalidità di operai, che solo da qualche anno sono entrati a lavorare in Ilva, per cui queste dichiarazioni sono fuorvianti e strumentali».
In attesa che la magistratura si decida, in molti immaginano una soluzione alternativa possibile: qualcuno dice che si potrebbe fare una legge speciale per i 12000 operai che perderebbero il posto di lavoro, dando loro la precedenza all’inserimento al Porto, poiché è previsto il suo sviluppo. Qualcun altro pensa a costruire un grande parco divertimenti, con ruote panoramiche, luci e attrattive di ogni genere. Nel frattempo che gli eventi diano ragione a una parte piuttosto che a un’altra, il Governo ha stanziato 333 milioni di euro per le bonifiche.