Ha scoperto tardi la città vecchia («da piccoli non ci facevano andare»), ma ora che vive e lavora a Firenze sta recuperando il tempo perso. E nonostante il suo nome e le sue opere abbiano fatto il giro del mondo, c’è una cosa che a questo architetto e designer manca particolarmente
Nei suoi progetti ci sono forme, colori, immagini carichi di tanta ironia. Giuseppe Di Somma, architetto e designer, ci “ri-mette” anche la faccia, in un percorso artistico dai mille volti, da Diabolik a Mission Impossible, reinterpreta, altera, modifica i colori e le forme, in una visione realtà distorta al pubblico, ma corretta a suoi occhi.
Nasce e cresce a Taranto sviluppando la sua innata passione per le forme e i colori nelle aule del liceo artistico “Lisippo”, dove si diploma, e fugge a Firenze, dove oggi vive e lavora. Nel capoluogo fiorentino, studia Architettura e Grafica Pubblicitaria e diventa uno dei punti di riferimento per organizzazione di eventi della dolcevita fiorentina: mostre, sfilate, vernissage.
Nel 1983 è uno dei fondatori del gruppo Syntax Error, sperimentando vari campi: dalla comunicazione al design. Attualmente insegna al Polimoda International Institute Fashion design and Marketing: Visual Merchandising e Visual Communication. All’Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura è cultore della materia in Tecnica della Rappresentazione, e Arredamento degli Interni (1993-2004). E’ relatore e correlatore di tesi su architettura e design.
E’ Visual-Designer per aziende di fashion shoes, filati, accessori per la casa… progettandone il total design dal web alle campagne pubblicitarie, all’interior design, agli stand. Scrive saggi e articoli sul design per libri e riviste italiane ed internazionali.
Chi è Giuseppe Di Somma?
«Ho studiato Architettura e Grafica a Firenze dove insegno Visual Merchandising e grafica pubblicitaria all’Istituto Polimoda, e Arredamento degli Interni all’Università di Firenze, Facoltà di Architettura. Ed è proprio con questo background che nasce la mia voglia di progettare con allegria per emozionare. La mia tendenza di ricerca è un’interpretazione trasversale tra linguaggio dell’arte, della moda e quello del design. I miei oggetti/progetti hanno ricevuto vari riconoscimenti come il secondo posto al GIA, Global Innovator Award, retail award selezione italiana 2008, e sono stati esposti in diversi musei: alla Foundaçion Joan Mirò a Barcellona, al Metropolitan Art Museum a Tokyo, al Centre Pompidou a Parigi, al Palazzo della Triennale a Milano. Ho fondato il mio studio e mi occupo di design, grafica e architettura. Tra le tante pubblicazioni internazionali, ho avuto il piacere di essere stato inserito nell’Enciclopedia Universale del Design edita dal MoMA di NewYork».
Come descriveresti il suo stile creativo in cinque parole?
«Coinvolgente. Romantico. Deciso. Colorato. Giocoso».
Sul tuo portfolio ci sono vari progetti: foto, disegni, sculture. In che senso ti definisci un creativo a tutto tondo?
«Ogni volta è un progetto globale: dalla creazione del logo a tutta l’immagine coordinata, dal biglietto da visita alla shopper, dal progetto dello spazio sino al disegno dei pezzi d’arredo e di illuminazione. Il mio design per molti è una sorpresa continua, dalle idee originali e sempre sensazionali, a volte dolcissime, a volte provocatorie. Non è sempre facile riuscire a convincere i clienti a realizzare determinati progetti, ma alla fine siamo tutti soddisfatti. Il design è l'emozione degli oggetti. L'effetto speciale che arriva al cuore».
Il tuo rapporto con Taranto?
«Inizialmente conflittuale, come accade sempre quando si cerca la propria strada. Con il passare degli anni l’amore per questa città si è fatto sentire maggiormente e ogni volta che torno è un piacere scoprire qualcosa che prima non sapevo. In questi ultimi anni ho scoperto anche la città vecchia, che trovo meravigliosa: e pensare che da piccoli ci vietavano categoricamente di avvicinarci. E’ interessante tutto il lavoro per la rivalutazione dell’isola che i giovani stanno creando. Un luogo dove si radunarono poeti, cantautori, scrittori, studenti, musicisti e artisti. Peccato che gli enti pubblici ma anche i privati contribuiscano in minoranza. Taranto è una città che vanta una storia antica, piena di cultura, di archeologia e di storia che in pochi conoscono. Un luogo incantevole di magia e poesia. Ma non è tutto roseo come sembra: Taranto ha grossi problemi con un mostro dell’industria siderurgica che sta rovinando la sua bellezza e non di meno lo sono anche alcuni quartieri in degrado, causato dagli stessi abitanti che usano in malo modo il loro spazio pubblico».
C’è qualcosa che in questi anni ti è mancato di Taranto?
«(Ride, ndr). Una cosa strana e molto vicina al mio lavoro: mi mancano i balconi! Perché, diciamoci la verità, a Firenze sono rari. Poi ovviamente il mare e i suoi odori».
Cosa vedi nel tuo futuro?
«Vivo il presente che è già molto faticoso».
Giuseppe artista o professore?
«Un artista e un professore artista».
Che consigli dai ai tuoi studenti ?
«Non è facile dare consigli, ogni individuo ha la sua personalità. Posso solo dire di fare molta esperienza, di essere umili e accettare consigli. Viviamo in un periodo in cui tutto corre così velocemente che nessuno vuole più aspettare, ma solo arrivare. In qualsiasi modo e a qualsiasi costo».
Quanto conta studiare?
«Direi molto, tanto, tantissimo. A prescindere dal lavoro, avere una cultura è fondamentale».
Parlaci dei tuoi ultimi lavori… “Autoritratti”, i miei preferiti!
«Nati per caso e per gioco più di 20 anni fa, quando non esistevano applicazioni che inserivano il volto in un corpo già digitalizzato, ma soprattutto per fare gli auguri in modo diverso ai miei amici e ai miei clienti. Ormai erano diventati un cult delle feste natalizie. In seguito mi sono appassionato a ironizzarmi e a burlare me stesso, a leggere nei miei difetti fisici il pregio. Un Giuseppe dai mille volti, un po’ come Diabolik o Ethan Hunt di Mission Impossible, al punto da trasformare il mio cognome in DisommiK. Mi piacerebbe realizzare un evento, una mostra con tutti gli autoritratti. Ultimamente ho ripreso la passione per la fotografia. Una visione diversa di fermare la realtà. Non mi interessa riprodurla, preferisco vederla così com’è con i miei occhi. In queste nuove fotografie reinterpreto, altero, modifico i colori e le forme, una visione distorta ma corretta della mia percezione visiva».
Guardando i vari lavori sul tuo sito web, è ovvio che hai un modo giocoso nel trattamento di forme e colori. Qual è la ragione di questo stile?
«Chi guarda i miei lavori viene trasportato nel “regno dell’impossibile plausibile”, come scrisse Walt Disney. Il mio linguaggio fumettistico viene filtrato attraverso la cultura del design. Le forme si semplificano, i segni diventano mega-grafica: pochi elementi riconoscibilissimi. Il fumetto diventa parte dell’arredo. L’uso del colore è importante: colori forti e decisi, a contrasto, colori spiazzanti, coinvolgenti, in combinazioni che creano allegria e piacere, attraendo chi osserva ed invitandolo a sperimentare questa immersione totale nel mondo della fantasia. Un esempio calzante è il progetto Reggi-netto, divertente e ironico, realizzato per una mostra sul tema del reggiseno. Il mio è l’unione tra la semplicità e l’eleganza. Con pochi elementi ho realizzato un oggetto pieno di poesia. E’ stato esposto poi in tutto il mondo e ha ricevuto un premio. Trovo sempre il modo di infondere di ironia i miei progetti, prima di tutto per divertirmi e poi per divertire».