Governo e popolo “separati in casa”: lo dice il 46° Rapporto sulla situazione sociale del Paese nel 2012 a cura del CENSIS, presentato a Roma. Noi c’eravamo e il quadro che ne è emerso non è dei più incoraggianti
Nel 2010 era l’assenza di desiderio, nel 2011 la paura di non farcela, nel 2012 la rabbia. Si tratta delle parole-chiave individuate negli ultimi tre anni dal Censis, il Centro Studi Investimenti Sociali, che dal 1964 svolge una costante ed articolata attività di ricerca, consulenza e assistenza tecnica in campo socio-economico. Un’attività che nel corso degli anni si è sviluppata attraverso lo svolgimento di studi sul sociale, l’economia e l’evoluzione territoriale, programmi di intervento e iniziative culturali. Dal 1967 il Censis realizza l’annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese, un corposo volume di circa 600 pagine, considerato il più qualificato e completo strumento di lettura e interpretazione della realtà italiana. E venerdì scorso, presso il CNEL a Roma, il presidente del Censis, dott. Giuseppe De Rita, ha appunto presentato il 46mo Rapporto Annuale.
“Il 2011 è stato un anno segnato da una crisi così grave da imporre l’assoluta centralità della sopravvivenza. Una centralità quotidianamente alimentata dalle preoccupazioni della classe di governo, dalle drammatizzazioni dei media, dalle inquietudini popolari, dalla paura di non farcela.” Sono state queste le considerazioni con le quali il dott. De Rita ha dato avvio al suo analitico intervento, con il quale ha dipinto un quadro dell’Italia tutt’altro che roseo. Un’Italia che è sì sopravvissuta ma che presenta molti punti di criticità, dai quali possano scaturire da una parte, poteri oligarchici e, dall’altra, tentazioni di populismo anche rancoroso. La crisi che ha investito l’Italia è stata affrontata mettendo in moto due azioni: quella del governo e quella del popolo. Il primo ha fatto ordine, ha risistemato alcune giunture, alcuni settori, dando così l’idea di un governo ordinatore. “Questo – ha affermato De Rita – ha dato l’impressione che il Paese sopravviveva e la logica obbediente ha contribuito alla sopravvivenza dignitosa. Noi italiani abbiamo accettato l’ordinato sistema, abbiamo ubbidito. “
Il popolo ha agito per la sopravvivenza mosso da tre spinte: operare un continuo riposizionamento, esaltare la differenza dei comportamenti, resistere, facendo perno sulla “restanza”, cioè valorizzando ciò che resta di funzionante dei precedenti processi di sviluppo. Una restanza fatta di sobrietà e pazienza, di recupero della dimensione della funzione suppletiva delle famiglie rispetto ai buchi della copertura del welfare pubblico, della solidarietà diffusa e dell’associazionismo e della socialità ricreativa (feste, manifestazioni popolari, sagre), della valorizzazione del territorio come dimensione strategica di competitività del sistema, fondata non solo sull’intraprendenza della singola impresa, ma anche sulla capacità delle realtà locali di promuovere l’eccellenza dei tanti fattori che la compongono.
Insomma, la restanza ha permesso il riposizionamento “ma – ammonisce De Rita – non siamo fuori dal guado. I tempi bui possono tornare. Lo spread torna. Nella dimensione nella quale ci troviamo, quella della sopravvivenza, abbiamo bisogno di dire che non siamo oppressi dalla paura di soccombere e, soprattutto dobbiamo accogliere un’intima adesione a cambiare, ad essere altrimenti.”
Tuttavia, quello che il 46 Rapporto coglie del nostro Paese è l’idiosincrasia tra popolo e governo, una distanza che è aumentata perché le logiche da essi seguite sono diverse. La logica del popolo è quella della restanza, del riposizionamento, quella del governo è il rigore, l’ordine. “Lo sviluppo di un paese è fatto dall’azione sinergica di governo e popolo, così come affermava Moro; non si può non sentire che c’è un popolo, non si può solo aumentare la forma di un governo ordinante,, senza avere il senso del riposizionamento del popolo. Sembra che in Italia ci sia come una maledizione: chi sta nelle istituzioni non sente la dinamica del paese.” Quindi sarebbe opportuno superare l’attuale situazione di “separati in casa” per trovare il punto di unità tra governo e popolo, trovare un luogo, il luogo del rinvio, nel quale le due parti si ritrovino per poter rinviare, appunto, l’uno all’altro ciò che sono.
“Quando penso al governo – ha concluso De Rita – mi torna in mente il passo biblico di Ezechiele, quello dei pastori d’Israele che pascono se stessi mentre invece dovrebbero pascere il gregge di cui si nutrono e si rivestono.”
Allo stato attuale, dunque, per quel che è dato di vedere, il fronteggiamento della crisi non vede un apporto significativo degli impegni politici e dell’intervento pubblico. Così, nella loro prova di sopravvivenza, i singoli soggetti sociali sono e restano soli, anzi peggio che soli, con reazioni diffuse fatte di paura e fuga, di frustrazione e sfiducia soggettiva, con venature spregiative e perfino autodistruttive: si pensi ai suicidi dei piccoli imprenditori. L’auspicio è quello che dal sobbollire di pulsioni negative possano prendere avvio percorsi di maturazione e solidità sociale, che il rigore di governo, spesso solo disciplinare, diventi “Legge”, cioè riferimento forte per generare forza psichica collettiva.