Dopo i fatti di Grumo Appula, dove un sacerdote ha esaltato post mortem la figura di un mafioso, alcune considerazioni tra religione e religiosità, valori e contraddizioni
“Hai conquistato Roma ora conquisterai il Paradiso” recitava un enorme manifesto sotteso all’ingresso della chiesa di Don Bosco in Roma Tuscolana durante i funerali di un noto boss della malavita romana, mentre un’antica carrozza trainata da sei cavalli neri, seguita da una Rolls-Royce, attendeva il feretro. Nell’aria le note del “Padrino” mentre un elicottero lanciava petali rossi sulla folla. Questo accadeva nell’agosto del 2015 con il beneplacito del parroco officiante il rito funebre, proprio durante le fasi salienti dell’inchiesta Mafia Capitale. Celebrazioni pregne di sfarzo e ostentazione che suscitarono lo sdegno dell’opinione pubblica e dei romani già fortemente provati dallo stato in cui versa la capitale, oltre a generare un’inchiesta promossa dal Ministro dell'Interno e dal Prefetto.
Un episodio del nostro Paese che sembrava avesse tracciato un solco netto nelle coscienze affinché, si ricusassero definitivamente i rituali di riverenza nei confronti di ricchi e potenti malavitosi, a totale disprezzo per la civiltà, la morale e la religione.
Invece, dopo l’hollywoodiano funerale romano, a giugno di quest’anno, nei pressi del comune di San Paolo Bel Sito nel Napoletano, la processione in onore della Madonna del Rosario ha variato il suo tragitto per sostare presso l’abitazione di un esponente di spicco della malavita Irpina agli arresti domiciliari. Sempre a giugno, questa volta in Sicilia, a Corleone, la processione per San Giovanni, ha sostato presso l’abitazione del boss di Cosa Nostra, per onorare Ninetta Bagarella, moglie del capo dei capi, Totò Riina.
Con le stesse finalità, come ad affermare la supremazia incontrastata dell’illegalità sulla legalità, nel settembre scorso, in Calabria, nel centro di Nicotera, un elicottero è atterrato in pieno centro per lasciare scendere gli sposi, durante i festeggiamenti per le nozze di un appartenente a un noto clan che governa la zona.
Nell’Italia stretta dalla morsa della crisi economica, devastata dalle cattive amministrazioni, in preda alla totale incertezza per il futuro, sgomenta per il dilagante diffondersi del terrorismo internazionale, alla ricerca affannosa di stabilità e legalità, ognuno cerca conforto nei valori che si sforza di mantenere in vita quasi con disperazione. Chi confida nella fede per la sua religione, chi nella famiglia cercando di conservarne l’integrità, chi riscopre i valori dell’amicizia e della condivisione, chi presta la sua opera nel volontariato e chi spera nel cambiamento della politica cui si accosta fiducioso. Un segnale forte, di rivalsa e tenacia degli italiani, stride notevolmente con atti di disprezzo verso questa parte della popolazione stanca ma carica di volontà.
Ribadendo il nostro profondo biasimo per qualsiasi forma di mafia, così come più volte abbiamo fatto nelle nostre pagine, questa volta rivolgeremo l’attenzione verso il comportamento di chi asseconda e favorisce queste esternazioni della malavita organizzata. Perché senza gli adeguati consensi, non si potrebbe mai organizzare un rito funebre simile a un set cinematografico, far atterrare un elicottero nel centro di una città per un matrimonio o dirottare una processione sacra per compiacere un boss del malaffare.
La mafia ha sempre avuto un problema identitario: seppur goda di illimitati vantaggi e privilegi, che usa quale mezzo di confronto nel suo ambiente naturale, accusa il profondo senso d’inferiorità verso la parte sana e civile della popolazione. L’ostentazione di potere e ricchezza, è l’unico mezzo di cui le mafie dispongono per cercare di compensare la totale assenza di civiltà, inscenandone goffe e volgari rappresentazioni che avrebbero serie difficoltà a concretizzarsi se, attorno alla malavita organizzata, non ruotasse una cerchia d’individui, servili e pavidi, che vivono in forza di etiche e morali duttili e malleabili.
Come in uno spaccato della vita raccontata da Leonardo Sciascia, questi piccoli esseri, privi di vera personalità, vivono al limite legale anche occupando i più svariati ambiti della società. Lo scrittore, ne “Il giorno della civetta” aveva dato loro un nome e una precisa connotazione.
E’ amaro pensare che sia possibile incontrarli anche laddove la gente che ha fede, che non vuole comprendere e mai ha preteso di farlo, cerca un conforto nella religione. Quella che segue il parroco, ascolta i suoi consigli, ne affida i propri segreti. Il sacerdote, il parroco, hanno un ruolo molto importante che, specie nelle periferie della popolazione, investe settori della società ben oltre il semplice ufficio religioso. Un buon sacerdote può raggiungere obbiettivi utili alla comunità anche dove altre figure istituzionali falliscono.
Ci sono sacerdoti che, nel rispetto del proprio ruolo, dell’abito che indossano, della fede che professano, del loro credo, a ogni segno di prevaricazione verso i propri fratelli, si ribellano, combattono, denunciano, abbandonando le processioni che onorano i mafiosi, condannando gli sfarzi durante le celebrazione dei sacramenti, rinunciando alla propria vita in nome della giustizia.
Ce ne sono altri, però, emuli del manzoniano prelato che, al contrario, compiacciono ricchi e potenti, specie se mafiosi, ricercando giustificazione al loro comodo e pusillanime comportamento, perfino attraverso le parole della religione. E’ con questa logica, può accadere che un parroco inviti i suoi fedeli a partecipare a una messa in suffragio di un noto boss della ‘ndrangheta ucciso in un agguato mafioso in Canada.
Il sacerdote è un uomo, lo comprendiamo, così come condividiamo che il perdono non si neghi a nessuno e che, nelle religioni, il giudizio è solo demandato all’Entità Suprema. Quello che non riusciamo ad accettare è che sia concessa la benevolenza verso un malavitoso e il supporto morale verso la sua famiglia mentre, sovente, si neghi a chi ama il suo dio soffrendo in un corpo che non gli appartiene, o a chi, nonostante gli sforzi, non sia riuscito a mantenere integra la sua unione coniugale anche vivendo in modo esemplare.
Non oseremmo mai giudicare l’operato di un sacerdote e le sue modalità di professare il credo ma, quando a godere del suo perdono è chi non ha mai ricusato il proprio operato malavitoso, ci duole pensare a quelle anime che hanno fede e non pretendono dalla religione altro che conforto. Quelli che cercano solo un riparo dai mali della vita. Per senso di giustizia nei loro confronti, ricordiamo a quei sacerdoti consenzienti con i potenti e severi con i semplici, le parole di Papa Francesco che, riproponendo quanto aveva già affermato vent’anni fa Giovanni Paolo II nel suo storico appello rivolto agli uomini di tutte le mafie, “Mafiosi convertitevi”, ha scagliato il suo anatema di scomunica contro gli uomini della camorra, della mafia e della ‘ndrangheta, non prima di averli supplicati di pentirsi.
Quella di Papa Francesco, non è forse la stessa religione professata nella parrocchia di Don Bosco in Roma, o quella che ispira le processioni corleonesi o, ancora quella dei riti cristiani di Grumo Appula?