Cosa unisce Milano, Bari e Taranto? Nulla, veramente nulla. La ricerca, l’università, la sinergia tra pubblico e privato, le biotecnologie:
il livello del dibattito è così sotto l’asticella da non considerare nemmeno lontanamente le realtà di questo tipo
Mattia Feltri ha scritto su La Stampa un bell’articolo in cui racconta come Milano si sia sforzata di non piangersi addosso all’indomani di tangentopoli, compiendo un miracolo senza precedenti.
Nel silenzio della devastazione manettara, tra poche luci e tante ombre, quel ciclone chiamato pool di Milano aveva di fatto azzerato la classe dirigente ed imprenditoriale della città trasformandola in un deserto.
Di fatto Milano era stata rasa al suolo perché privata del proprio tessuto imprenditoriale e della propria funzione di capitale economica d’Italia.
Ma lo sbandamento è durato poco: nel silenzio la città ha lavorato sodo mettendo mano alla propria laboriosità e riannodando quei fili tra imprenditoria e politica, quella sinergia pulita che da sempre ha consentito ai meneghini di primeggiare, raggiungendo vette che le altre città d’Italia nemmeno si sono mai sognate.
Perché Milano è questo: visione del futuro, capacità di reinventarsi sfruttando la naturale vocazione a fare impresa senza mai perdere di vista il fatto che per stare ai piani alti o si innova o si cade.
Ed infatti dopo gli anni bui, adesso la città produce il 10 per cento del Pil nazionale, ospita circa tremila multinazionali, un terzo di tutte quelle presenti in Italia, che impiegano quasi 300 mila dipendenti, la disoccupazione giovanile è al 22 per cento contro la media nazionale del 35, le transazioni immobiliari crescono del 20 per cento ogni anno riuscendo da soli a diventare in breve tempo la quarta economia del continente per trend di crescita.
La rinascita è stata possibile grazie ad una sinergia pubblico-privato che ha intravisto nell’innovazione, nel farmaceutico, nella medicina predittiva, nella ricerca avanzata, nelle nuove tecnologie ma anche nella finanza una formidabile occasione di sviluppo.
Ed a coronamento di una rinascita a dir poco miracolosa ci sarebbero due grandi opportunità derivanti dalla Brexit: con l’uscita dall’UE, Londra sarebbe costretta a liberarsi di due importanti istituzioni comunitarie come l’Agenzia Europea del Farmaco e di Euroclearing, il mercato dei derivati in euro (che porterebbe un Pil aggiuntivo di 30 miliardi l’anno e diecimila posti di lavoro specializzati).
E chi si è candidata per contendere a Milano l’Agenzia Europea del Farmaco? Bari in questi giorni ha allertato tutti i propri esponenti istituzionali per cercare le sinergie adatte a fare in modo di giocarsela provando ad aggiudicarsi una Istituzione Comunitaria che oltre al prestigio garantirebbe un ritorno enorme in termini economici, visto che la città diventerebbe un laboratorio di ricerca a cielo aperto, il punto di riferimento a livello europeo nelle biotecnologie, una enorme start up per il trasferimento di nuove tecnologie, un esempio incredibile di collaborazione tra centri di ricerca pubblici ed aziende private nel settore farmaceutico, una occasione di crescita e di prestigio anche per la ricerca universitaria pugliese.
Riuscirà Bari a raggiungere questo enorme traguardo? Probabilmente no dato che la concorrenza è veramente agguerrita oltre che prestigiosa.
Ma il pensiero corre a Taranto ed alla campagna elettorale che in questi giorni si sta consumando nella città bimare con annesso florilegio di dichiarazioni programmatiche le quali dovrebbero essere ambiziose per definizione, dovrebbero far sognare l’elettorato, dovrebbero essere sparate ad alzo massimo per solleticare un sogno di grandezza nel cittadino.
E’ evidente che, mentre il massimo dell’ambizione barese è quello di competere a livello europeo per succedere a Londra nell’ospitare l’Agenzia Europea del farmaco, Taranto ed i suoi candidati non sospettano nemmeno che certe istituzioni esistano perché il respiro europeo non sanno nemmeno dove sia di casa, perché la ricerca, l’università, la sinergia pubblico privato, le biotecnologie sembrano così lontane da chi al cospetto finanche di Bari sembra il Marocco.
Sognare in grande non costa nulla ma Taranto non ne è capace perché il livello del dibattito è così sotto l’asticella da non considerare nemmeno lontanamente concepibili cose di questo tipo.
Noi siamo alle coglionerie enogastronomiche, alle boiate turistiche, alle semplicionerie basate su “osole, omare, ocieloblu”, mentre intorno a noi c’è il mondo globalizzato, le reti di imprese. Il terziario avanzato.
Noi non ne parliamo perché non sospettiamo nemmeno che esistano, noi vogliamo puntare sulle masserie per fare i camerieri dei ricchi russi che si vengono a mangiare la frisella in riva allo Jonio.
Noi non competiamo con Londra perché non sappiamo nemmeno dove diavolo sia sulla cartina geografica, noi competiamo con Manduria per strappare un turista.
Per noi la finanza è quella in uniforme che ti chiude la bancarella abusiva di cozze, l’università è quella roba che devi raggiungere col treno, il farmaco te lo dispensa il farmacista e l’Europa è lontana, troppo lontana.
Noi non sogniamo in grande perché non ci arriviamo nemmeno con la fantasia.