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Non sparate all'avvocato

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

10
MAG
2017

Un caso di cronaca - un cliente molesto ucciso dal proprio difensore a Brindisi - offre uno spunto di riflessione su una professione bistrattata che molto spesso, agli occhi comuni, viene vista come un male necessario

Un avvocato a Brindisi ha sparato al suo cliente.
E' un fatto drammatico.
Di solito sono i clienti che ammazzano i difensori. Qui si è verificato il contrario. E' forse un segno dei tempi che cambiano oppure il sintomo di una malattia più grave, che non si dice, ma c'è.
Gli avvocati sono prima di tutto una categoria professionale odiata, anzi detestata.
Perchè fanno parole e parole e poi vogliono pure farsi pagare per qualcosa di volatile, che in mano non puoi neanche prendere né toccare.
In Philadelphia, film tragico e dolentissimo, la miglior barzelletta sugli avvocati è: cosa fanno mille avvocati incatenati sotto il mare? Un buon inizio.
In questi giorni sta impazzando su FB una maledetta battuta su di noi: tutti detestano gli avvocati fino a quando non ne hanno bisogno.
Diciamocelo fuori dai denti.
Gli avvocati sono un male necessario.
Un'erba grama che fa bene alle coltivazioni, magari non sempre, ma è meglio pensare che ci sia quando la necessità lo impone.
Il problema di un avvocato che spara al suo cliente è tuttavia un grido di allarme.
Può essere un fatto isolato ma anche no. Mi spiego meglio.
Gli avvocati – siete liberi di crederci o meno – sono ostaggi che camminano.
Prigionieri consapevoli delle scadenze processuali, ostaggi deferenti di giudici severi, esseri in stato di perenne cattività alla mercè dei propri clienti.
Questi ultimi ti danno da mangiare ma possono farti anche piuttosto male. Pensate alle azioni di responsabilità. Ultimamente è diventato molto più difficile perseguire un medico ma un avvocato da inchiappettare resta resta sempre uno dei sogni proibiti degli italiani.
Oggi la prigionia è diventata più severa, le maglie della catena rinserrate. Sapete qual è la chiave con cui si sono blindati i cancelli ?
La povertà.
In quell'omicidio consumato da un collega – a quanto pare minacciato in continuazione dal suo cliente – la molla perversa ed acuminata che ha fatto andare in cortocircuito il sistema personale di un individuo, è stata la povertà.
Con un cliente inizia il sodalizio professionale. All'inizio è tutto un cammino di rose e petali. Le spine non esistono. Si crea qualcosa che sembra un rapporto umano, ma attenti, è pura illusione.
Il rapporto professionale non può mischiarsi mai. Acqua e olio non si uniscono, le loro molecole hanno composizioni chimiche diverse, sono  immiscibili. Stanno insieme dentro un catino ma il loro galleggiare insieme è frutto di una mera contingenza ambientale. Non c'è nulla di profondo. Così, se noi siamo l'olio (lo dico soltanto perchè è il liquido più pesante), ed i clienti l'acqua, verrà prima o poi il momento in cui il confine tra i due liquidi tornerà netto, e la loro alterità salterà agli occhi più di prima.
Mercè la povertà di questi tempi sembra che i rapporti umani diventino più forti.
Nella cattiva sorte la povera gente si aiuta di più. Non è vero. Nei tempi grami – quando le classi medie scompaiono – la povera gente diventa sempre più incazzata.
E siccome l'avvocato non può essere povero, si pensa che lui – con quelle parole – ne approfitti.
La povertà diventa una molla che non si controlla più. Quando il rapporto (pseudo) umano comincia a sfilacciarsi, e il fantasma della disperazione ricompare, l'avvocato si ritrova con un tipo incazzato come una belva nel quale ha forse contribuito ad infondere un'illusione in più.
Ecco che in quel momento il cliente comincia a chiedere all'avvocato qualcosa che questi non gli ha mai promesso. Più la povertà è feroce, maggiore è l'illusione provata. Più si perde una prospettiva processuale ed esistenziale (con i soldi la qualità della vita cambia), più l'avvocato diventa colpevole ed è allora facile vederlo come un capro espiatorio.
La povertà del cliente può trasformarsi in una minaccia.
In questi casi è brutto dirlo ma si perde la dimensione umana dell'avvocato.
L'avvocato è un uomo ma non nell'accezione della semplice categoria antropologica. E' un uomo anche nell'accezione naturalistica del termine.
Non so se mi sono spiegato ma voglio dire che anche lui può perdere la testa. Nè più né meno di un verduriere o di un ginecologo. Il cliente può ribellarsi con una ferocia inaudita e non è detto che l'avvocato tenga sempre botta. Può spaventarsi, può incazzarsi, può diventare anche lui pericoloso.
Il confine – come ai tempi del west – diventa perciò selvaggio.
Sparare a un proprio cliente diventa tuttavia quello che può assomigliare a un sogno proibito: un po' come ammazzare la suocera, per esempio.
Ma non fa ridere allo stesso modo.
Anzi, fa rabbrividire.



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