Sappiamo bene che chiunque dovesse attribuirsi l’acquisizione dell’Ilva avrà il solo intento di ottenere il massimo profitto con il minore impegno economico possibile. Le proposte di totale riqualificazione dello stabilimento saranno nuovamente rinviate così come le azioni di tutela a favore della salute pubblica e della manodopera impiegata. Previsioni catastrofiche? Purtroppo no: solo ragionevoli prospettive
Extra Magazine ha sempre espresso il suo parere contrario all’esistenza dell’Ilva amplificando la voce di tutte le parti deboli coinvolte, anche involontariamente, dalle conseguenze generate dall’attività di questa fabbrica, nata per lo scellerato volere politico degli anni sessanta dove si rincorreva l’effimero mito del boom economico senza nessun rispetto o tutela per le attività economiche storicamente preesistenti e, soprattutto, per l’ambiente e il territorio. Abbiamo raccontato, nei nostri articoli “Ilva, fabbrica di voti, fabbrica di morte” e “Non c'è più tempo da perdere”, la storia di questo stabilimento, delle distorte logiche che l’hanno tenuto in vita sino a oggi e delle conseguenze che questo genera. Fra le tante vicende, la meno giustificabile è stata la cessione della fabbrica al gruppo Riva, rivelatasi la conferma dello strapotere politico sulla popolazione di Taranto e la reale dimostrazione di assoluta noncuranza delle necessità del popolo italiano, operate prima dal governo Dini e perfezionate dal primo governo Prodi, che cedettero quel bene di stato, valutato dall’IRI per circa 4 miliardi di lire, a Emilio Riva per 2,5 miliardi.
Secondo le acute previsioni dei nostri governanti, la privatizzazione avrebbe rilanciato il settore e rivitalizzato l’economia locale. Sappiamo ormai tutti che in realtà ha arricchito la famiglia Riva, anche se il suo destino non si è concluso felicemente e ha ingurgitato uno spropositato quantitativo di contributi statali oltre a tenere sospesi il futuro e la vita di alcune migliaia di lavoratori impiegati, come se la loro assunzione fosse un privilegio concesso. Chiunque sia impiegato nell’Ilva è stato privato della possibilità di divenire una parte indispensabile per la crescita economica di questa parte d’Italia, allontanando progressivamente la prospettiva della creazione di attività consone e proprie di questa regione d’Italia. La produzione si è rivelata anacronistica e antieconomica continuando a essere enormemente dannosa per la salute pubblica e delle maestranze, determinando continue morti sul lavoro e fra la popolazione, causa le precarie condizioni di sicurezza presenti e delle enormi quantità di sostanze dannose sprigionate nell’area dell’intera provincia di Taranto. Il pesante tributo di vite, pagato per la presenza di questo palinsesto dell’assurdità, non è riuscito a dissuadere la classe politica al potere, tanto da concedere un numero infinito di decreti “salva Ilva” che null’altro sono che una concessione d’immunità per qualsiasi crimine ambientale.
Quelle che, anni addietro, potevano apparire opinioni condizionate da una volontà ambientalista e anticapitalista, oggi sono supportate da dati epidemiologici ed economici ufficiali senza timore di smentita.
L’ultimo atto di questa fra le più tristi vicende del dopoguerra italiano, si sta evolvendo a seguito della nomina di tre commissari, Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi, per l’individuazione di un’offerta di acquisto dello stabilimento.
A chi sperava che, la situazione giudiziaria, le rilevanze sanitarie, la condizione economica dell’Ilva fossero la vera opportunità per decretarne la dismissione, questa notizia è suonata come una nuova condanna alla convivenza con quella che abbiamo definito “fabbrica di voti, fabbrica di morte”.
La procedura ha portato alla scelta di due fra le offerte ritenute valide dalla terna commissariale: quella della joint venture, formata dal gruppo Marcegaglia per il 15% e da ArcelorMittal per il restante 85%, sostenute da Banca Intesa San Paolo, l’altra di Jindal South West Steel, con Cassa Depositi e Prestiti, Gruppo Del Vecchio e Arvedi.
Delle due, attualmente è stata scelta l’offerta Am Investco Italy, in virtù dell’importo proposto, pari a 1,8 miliardi di euro, superiore all’altra proposta.
L’unico ostacolo alla definitiva cessione, il cui contratto assumerà validità dopo trenta giorni dalla firma, potrebbe derivare dal superamento del tetto massimo di possesso delle industrie siderurgiche accentrate da un solo possessore, pari al 40% così come stabilito dall’antitrust. È evidente che chi si accinge a un acquisto così rilevante non incorrerebbe mai in un errore così grossolano. Queste scadenze, però, non sono un’assoluta certezza, a seguito dell’immediata reazione della cordata concorrente che si è rivolta al ministero competenze per ricorrere alla possibilità di un rilancio sul prezzo. Il Governatore della Puglia, Michele Emiliano intanto, minaccia opposizione al provvedimento se non saranno rilasciate le dovute garanzie di tutela della popolazione e del territorio.
L’ultimo parere dovrebbe essere rilasciato dal ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda oltre a quello dei sindacati dei metalmeccanici, Fim, Fiom, Uilm e quelli confederali, Cgil, Cisl, Uil. Dopo mezzo secolo di eventi legati all’Italsider prima e Ilva dopo, non abbiamo perplessità nell’affermare il loro nulla-osta non prima di aver riproposto egemonia di potere contrattuale e prerogative politiche.
L'offerta di Am Investco Italy, oltre il prezzo d’acquisto, comprende investimenti per 2,3 miliardi di euro a favore di un target produttivo di 9,5 milioni di tonnellate di prodotti finiti. Dovrebbe, inoltre, coprire i debiti contratti dall’Amministrazione Straordinaria Ilva. S’impegnerebbe a realizzare a Taranto un centro di ricerca e sviluppo.
Non abbiamo difficoltà nell’affermare che chiunque dovesse attribuirsi l’acquisizione dell’Ilva avrà il solo intento di ottenere il massimo profitto con il minore impegno economico possibile. Le proposte di totale riqualificazione dello stabilimento saranno nuovamente rinviate così come le azioni di tutela a favore della salute pubblica e della manodopera impiegata. Quest’ultima non godrà di nessun regime di tutela sul lavoro e sarà perennemente considerata in esubero.
Le nostre non sono previsioni catastrofiche e pessimistiche ma si basano su dati di fatto: chiunque acquisti l’Ilva di Taranto lo farà con l’intento di aggiudicarsi una roccaforte industriale sul Mediterraneo che, dato lo stato in cui versa, sarà sfruttata il più possibile e con le stesse risorse, prima fra tutte il carbone per il maggior tempo possibile. Non vi sono garanzie alcune che saranno attuate tutte le norme di tutela proposte nelle offerte prodotte dai concorrenti che contano sull’impunità totale già prevista per ogni reato ambientale e sulla salute. Il semplice dato di fatto che il Gruppo Riva, realtà industriale inferiore agli attuali proponenti, abbia fruito di privilegi illimitati nonostante la continuativa perpetrazione di reati, conferma che l’immunità è una condizione atta a garantire l’esistenza dell’Ilva così come chiaramente dimostrato dalle governance del nostro paese.
La lotta che ha condotto sino ad ora la popolazione di Taranto per vedere rispettati i più elementari diritti, come la vita e il lavoro, non potrà che proseguire anche più aspra di prima. Il primo degli strumenti da adottare è certamente il voto che i tarantini si apprestano ad attribuire ai prossimi candidati all’amministrazione della città, rendendosi attori di una scelta che se errata renderà loro correi di quella che sta divenendo una minaccia, ancora più seria, per il rilancio di Taranto. In questo stato di cose non è più possibile parafrasare: chi è favorevole all’esistenza dell’Ilva per quello che è, vuole la fine di Taranto.
"Quando l'economia passa nelle mani degli speculatori tutto si rovina. Diventa un'economia senza volto e quindi un'economia spietata", "un buon imprenditore non è speculatore" e che "chi pensa di risolvere i problema della sua impresa licenziando gente non è un buon imprenditore", “L'obiettivo non è un reddito per tutti ma un lavoro per tutti. Senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti". Sono queste alcune delle frasi pronunciate da Papa Francesco durante la sua recente visita agli stabilimenti Ilva di Venezia e nel corso dei successivi incontri con i fedeli.
In un paese come l’Italia che vanta l’attuazione della democrazia, in questo momento, nessuno come il Papa si è espresso concretamente in difesa del diritto al lavoro e della dignità del lavoratore così come per quella del popolo, seguendo i suoi principi che tanto assomigliano al socialismo che, evidentemente, è stato dimenticato perfino dai governi che dichiarano la loro appartenenza alla sinistra.