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L´INTERNAUTA IMPIGRITO

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

20
LUG
2017

Algoritmi sempre più sofisticati ed internauti sempre meno intelligenti? Può la cattiva navigazione chiudere la mente piuttosto che aprirla?

Un tempo, agli albori della telematica per tutti, gran parte della gente era in cuor suo convinta che i motori di ricerca potessero fornire una risposta ad ogni domanda immaginabile. Il mezzo, proprio perché sconosciuto ai più, venne sovrastimato rispetto alle sue potenzialità effettive, tant’è che tutt’oggi ci rimane ancora un vasto repertorio di aneddoti riguardanti interrogazioni piuttosto inverosimili. Di fatto, in quegli anni, i portali di cui parliamo, allora basati su un funzionamento assai elementare, restituivano semplicemente un elenco di siti telematici in cui figuravano appunto le parole ricercate.
Col passare degli anni, ai risultati di ricerca tradizionali se ne sono aggiunti man mano altri sempre più evoluti ed “intelligenti”: se fate caso, oggi, i maggiori motori di ricerca prevedono anche la possibilità di rispondere a determinate domande secche, come, ad esempio, la capitale di un dato Stato o la traduzione di una data parola. Inoltre, alcuni motori settoriali si sono spinti ben oltre: c’è quello che ti calcola il percorso aereo più conveniente; ma anche quello che ti risolve in tempo reale un quesito matematico, riportando perfino tutti i passaggi intermedi. Alcune applicazioni di ricerca possono, inoltre, dare addirittura delle risposte a domande formulate in linguaggio naturale, per intenderci, un idioma come l’italiano o l’inglese. Il trucco è semplice: il sistema viene ovviamente programmato per rispondere in automatico ad una serie di domande stereotipate e statisticamente prevedibili. Insomma, domande semplici e frequenti, le cui risposte risultano facilmente rinvenibili in database pubblici.

Tutte queste piccole comodità fanno sì che gli internauti possano sentirsi esonerati dalla fatica di cercare delle nozioni ben precise o di svolgere dei calcoli secondo determinate procedure. Ma il problema non è senz’altro questo, bensì che molti, e tra di essi soprattutto molti studenti, possono, confidando troppo nel potere risolutivo di tali strumenti, continuare ad ignorare alcuni meccanismi alla base della conoscenza, poco importa che si tratti di una procedura di calcolo piuttosto che dell’abilità nel reperire delle informazioni. E tale incompetenza di base si ripercuote inevitabilmente sulla capacità di gestire problemi più complessi, un po’ come chi, non avendo affatto compreso il meccanismo dell’addizione, si trovasse a dover quantificare l’ammontare di una spesa composita, dove anche il valido aiuto di una calcolatrice risulterebbe appunto inutile a colui che di fatto ignora il concetto stesso di somma.
Ovvio, nel nostro caso non si tratta solo d’apprendere semplici operazioni algebriche, ma di acquisire, in senso più lato, strumenti cognitivi finalizzati ad inquadrare, gestire e risolvere adeguatamente dei problemi, di volta in volta sempre nuovi e diversi: competenza ormai indispensabile non solo per il professionista, ma anche per il lavoratore cosiddetto “comune”, che, progressivamente sgravato da compiti meccanici, si ritrova sempre più a dover svolgere mansioni in cui è richiesta soprattutto tale capacità di ragionare.
Quindi, sì alla navigazione, a patto, però, che essa sia svolta nella consapevolezza dei meccanismi sottostanti, ossia di quegli algoritmi di ricerca e calcolo che corrispondono appunto alla formalizzazione logico-matematica di processi conoscitivi basilari, la cui ignoranza non permette affatto di poter gestire efficacemente la complessità delle problematiche che nel lavoro d’oggi, improntato sulla conoscenza, ci si ritrova sempre più ad affrontare quotidianamente.



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