Un anno fa Roccaforzata piangeva la morte del giovane Giacomo Campo, operaio di un’azienda operante all’interno dello stabilimento metallurgico di Taranto. Alcune riflessioni sul futuro e sulla centralità del lavoro nella vita umana
Quando accadono eventi del genere, il buon senso impone di rispettare - senza spettacolarizzare - il dolore dei cari e tenersi lontano da ogni polemica inopportuna e scontata. Ma quello che è successo esattamente un anno fa al giovanissimo venticinquenne di Roccaforzata ha lasciato davvero senza parole un’intera comunità, che ha deciso di ricordarlo come si deve con una messa in suo onore, alla presenza di numerose autorità.
Lo stesso Sindaco di Taranto, Melucci, non ha mancato di far sentire ai familiari e agli amici di Giacomo l’abbraccio dell’intera città di Taranto per cui: ‹‹uscire da casa a 25 anni per andare al lavoro e non farvi più ritorno per un tragico incidente è un avvenimento che si fa fatica ad accettare e a commentare. Questi momenti di commemorazione servano a rinnovare vicinanza alla famiglia che vuole mantenere sempre vivo il ricordo››. Parole che quasi fanno da eco a quelle che lo scorso anno pronunciò con forza Mons. Filippo Santoro proprio il giorno del funerale del giovane, parlando di ‹‹assurdità di questo prezzo da pagare in vite umane›› e quindi di ‹‹un tributo insostenibile e ingiusto››.
Era il 17 settembre 2016 quando Giacomo rinunciò a una passeggiata per vetrine di negozi, mettendosi subito a disposizione della sua azienda a coprire un turno di lavoro che, ordinariamente, non era il suo. Ci teneva molto al suo lavoro, per cui osservare scrupolosamente e con senso del dovere tutte le direttive dell’organizzazione aziendale della quale era dipendente era la sua priorità. L’obiettivo quello di una trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, per poter - finalmente - cominciare a progettare una vita serena, indipendente, fatta di tanta felicità. Come da sempre la sognava.
Purtroppo, quel maledetto giorno, il destino beffardo ha voluto che fosse tragicamente colpito da un rullo proprio mentre eseguiva un intervento di manutenzione allo stesso impianto al quale era addetto. E già all’alba di quella giornata settembrina tutti i sogni e i progetti di vita di un ragazzo che andava rincorrendo la meta di una nuova dignità umana sono andati in fumo.
Nessuno, chiaramente, vuole entrare nel merito di polemiche nè attribuire colpe ad alcuno. Far luce sulle responsabilità dell’accaduto è dovere di qualcun altro, non certamente della stampa.
A noi non resta invece che riflettere sull’altra grossa piaga sociale, ossia quella dei caduti a causa di incidenti occorsi durante e sul posto di lavoro. Piaga dolorosa che si staglia accanto a quella ancor più grave dell’inquinamento ambientale prodotto dalle strutture ormai obsolete dello storico stabilimento tarantino. Fa riflettere che, guarda caso, nella stessa giornata del 16 settembre, in Italia, a cadere sul lavoro furono anche altre due persone. Oltre alla vicenda di Giacomo avvenuta nell’Afo4 Ilva, a Roma un operaio Atac folgorato mentre eseguiva un intervento di riparazione a un mezzo aziendale e nel triestino un operaio agricolo schiacciato da una macchina operatrice.
Un qualcosa davvero di inaccettabile che ha suscitato persino l’ira del prudente presidente Mattarella: ‹‹ogni morte sul lavoro costituisce una ferita per l'Italia e una perdita irreparabile per l'intera società. Non è ammissibile che non vengano assicurate adeguate garanzie e cautele per lo svolgimento sicuro del lavoro››.
Fatti drammatici che nel contesto generale si inseriscono in dati di statistiche raccapriccianti: secondo le rilevazioni Inail, infatti, l'Italia già nel decennio 1996-2005 è risultato il Paese con il più alto numero di morti sul lavoro in Europa. Nel 2014 l'Osservatorio di Bologna ha registrato ben 663 lavoratori morti sul lavoro; mentre la stessa Inail, che da poco ha reso pubbliche le statistiche per i primi sette mesi dell’anno in corso, ha fatto presente che i decessi sono aumentati del 5,2%, raggiungendo quota 591 (29 in più rispetto ai primi sette mesi del 2016). E la matematica non è un’opinione.
Casi fortuiti a parte, chissà se un giorno investire in dignità umana e benessere sociale non possa portare più benefici rispetto a quelli che, sotto l’aspetto produttivo, porta un mero risparmio economico sui costi di messa in sicurezza degli impianti industriali. Senza perdersi in ragionamenti utopici e inconcludenti, dunque, forse una maggiore cautela potrebbe portare ad assottigliare questi numeri terribili e ad alimentare i sogni e le speranze riposte nel futuro di tanti altri Giacomo del nostro Paese. Perché i sogni non si barattano.