C’è ancora chi lotta giorno dopo giorno per il valore antropico della parola, per la ricerca delle tradizioni, degli antichi canti, dell’identità dell’essere umano. Intervista alla poetessa sangiorgese apprezzata dalla critica nazionale
«Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.». Parole che troncano letteralmente il respiro! Era John Keating, il professore di letteratura più noto del cinema, interpretato dall’eterno Robin Williams ne L’Attimo fuggente. Poesia, quindi. Elisir contro la morte sociale, contro l’invisibilità quotidiana, quel camminare accanto allo sconosciuto ignorandone a prescindere la natura, la storia, celata dietro il capo chino su un Ipad. La poesia come liana magica e atemporale contro i cibernetici tempi moderni dove tutto è raggiungibile nel mondo (e ora anche nello Spazio) con un clic, meno che la nostra anima… Esiste ancora però, chi lotta giorno dopo giorno per il valore antropico della parola, per la ricerca delle tradizioni, degli antichi canti, dell’identità dell’essere umano. Abbiamo avuto il piacere di incontrare la poetessa sangiorgese Anna Marinelli, che ci ha aperto le porte della sua casa per questa intensa intervista dal sapore etereo ed incontaminato.
Una produzione poetica lunga una vita e che inizia nel 1989 con la prima raccolta di poesie e prosa Il silenzio e la parola, edita da Il Grillo, Genova. Lei Anna, apprezzata dalla critica nazionale, è stata paragonata ad Emily Dickinson. In cosa si sente vicina alla poetessa americana e quali sono stati i Suoi modelli poetici?
«In realtà non conoscevo in maniera approfondita la poetica della Dickinson e una volta analizzata, non ho amato molto le sue parole tronche ad esempio. Credo però che l’amore per la natura ci accomuni, così come un lato un po’ più intimo della nostra vita. A volte, inglobata nel tessuto sociale di paese che viaggia su dinamiche simili in ogni zona d’Italia, sento la pressione degli sguardi altrui che non comprendono, ma giudicano. Occhi del vicinato, sterili di lirismo, che tentano di imbragare il mio esprimermi ed ecco che mi sento spesso come tra le mura della camera di Emily. Per quanto riguarda i miei modelli poetici posso di sicuro citare Garcia Lorca a cui tra l’altro, dedicai una poesia immaginando di potergli portare i profumi della mia terra».
Ritornando alla natura, colpisce molto nella Sua poetica la palpabilità di odori, sapori. Leggendo le Sue liriche, si annusano stagioni e tradizioni. È questa una Sua libera interpretazione di un Naturalismo moderno a sé stante o è espressione di qualcosa di più profondo, come la lotta contro l’asettica tecnologia dei social?
«Tradizione e modernità possono convivere a patto che ci sia una reale e profonda comunicazione tra gli esseri umani. Ho lottato tutta una vita per il recupero delle tradizioni del mio territorio ed in particolare della mia città San Giorgio Jonico, spulciando annuari, antichi patrimoni fotografici famigliari, intervistando uno ad uno gli anziani di paese, ma l’immersione in un passato anche polveroso, non mi ha impedito di aggiornarmi sui nuovi strumenti di divulgazione. Il mio sito Sapori del Salento – Diario di cultura e tradizione di Anna Marinelli (https://saporidelsalento.wordpress.com/ ) ne è l’esempio lampante: su questo portale non pubblico solo le mie poesie, ma anche antiche ricette salentine, ricerche sulle radici famigliari dei miei compaesani, studi linguistici sul patrimonio dialettale, sui soprannomi. Tutto questo al fine di condividere, nel vero senso della parola, la Storia».
Da dove deriva quindi, questo grande interesse eziologico per il Suo territorio? Pensa che al giorno d’oggi, sempre più proiettati all’Estero per le difficoltà socio-economiche tristemente note in Italia, i giovani stiano perdendo di vista le proprie origini in nome di un disperato e salvifico cosmopolitismo?
«Io mi faccio letteralmente carico di raccogliere e tramandare il repertorio antico delle tradizioni. Leggo nei discorsi delle persone in genere e non solo dei giovanissimi, una certa indolenza a lasciarsi sfuggire dalle mani il passato dei padri, dei nonni. Per me è davvero appassionante recuperare patrimoni storici che altrimenti finirebbero nel dimenticatoio. È sempre stato un vero e proprio imperativo morale! Ho avuto la fortuna di collaborare per esempio con Cosimo Quaranta, un tempo docente e anche lui, attivo ricercatore delle tradizioni della nostra San Giorgio Jonico, a cui sarò sempre ed esternamente riconoscente per avermi sostenuta dagli inizi del mio percorso poetico. In particolare ho curato l’opera Le tagghjiate: scavando nella memoria – Sfogliando pagine di pietra, spigolando vocaboli in cerca di radici…, edita dalla Scorpione (Taranto) nel 2009, con il patrocinio dei Comune di S.Giorgio. Le tagghjiate sono le nostre antiche cave di tufo, sostentamento della popolazione locale e al loro interno, per tre anni consecutivi è stata allestita la Passione vivente. È stato affascinante recuperare la storia di questi luoghi così lontani dalla quotidianità di oggi, impregnati di sacro e di antico sudore. Il riprendere terminologie anche dialettali di un secolo fa è uno studio complicato, ma che regala immense soddisfazioni. I termini arcaici costituiscono delle vere e proprie pepite d’oro della Linguistica e della Storia. Sarebbe bello se ognuno di noi ambisse a diventare un ricercatore delle Silverado della cultura tradizionale per il bene dell’intera comunità».
Dai Suoi componimenti e anche dal Suo blog, si evince un grande interesse nei confronti di temi spinosi come lo stalking e la violenza sulle donne. La poesia può ancora essere un valido strumento di denuncia contro tutto ciò, quando molto spesso le donne rimangono inascoltate dalle stesse autorità? La poesia quindi, è ancora voce o è solo parola su carta o sulla videata di un pc?
«Dall’86 compongo una lirica in onore dell’8 marzo. Al giorno d’oggi non esiste più nulla che denunci realmente. L’arte e la poesia rimangono baluardo nella lotta contro l’invisibilità e la violenza. Assolutamente la poesia è voce, è denuncia e ogni artista o poeta, dovrebbe sentirsi coinvolto nella battaglia quotidiana del rispetto di sé».
Ciò che traspare dalla lettura delle Sue poesie, nonostante la crudezza a volte delle “immagini” e l’importanza drammatica dei temi, è una evidente gentilezza del linguaggio. Questa classe nell’espressione è nel Suo stile innata o è frutto di un’evoluzione compositiva avvenuta negli anni?
«Personalmente ho avuto la fortuna di avere importanti insegnamenti da personalità ricche di sensibilità e cultura come Angelo Lippo, poeta e critico tarantino, nonché direttore della rivista di arte e letteratura Portofranco. La collaborazione con Lippo è stata emozionante e a livello umano molto sentita. Lippo mi ha sostenuta quando molti mi giudicavano solo “quella che viene dal paese”. Il riscatto poi, sta nel leggere la sincera gratitudine negli occhi di chi ti ha “letto” veramente attraverso la tua poesia. Lo stile è una cosa che ha delle basi dentro di noi sicuramente, ma che deve essere supportato da una continua pratica, una costante ricerca lessicale ed ecco che nel tempo riusciamo a plasmarci nella più bella manifestazione di noi stessi».
Ospite da Fabio Fazio a Che tempo che fa, Susanna Tamaro, alla domanda «Si può imparare a scrivere?», rispose di no, essendo la scrittura un processo lungo, intimo e difficile, momento unico nella vita di ognuno di noi. Anche Lei Anna la pensa allo stesso modo ora che al giorno d’oggi sempre più scuole e corsi di scrittura vengono “sfornati” quotidianamente? E cosa pensa delle strutture: il loro studio aiuta a poetare meglio?
«Credo in realtà che la lettura sia l’unica vera grande scuola per il poeta. Trovare un termine che prima non conoscevi e scoprirne il significato, leggere e leggere e poi scrivere continuamente. La scrittura non è solo il flusso momentaneo di una sensazione; è continua ricerca, perfezionamento. Le strutture sono importanti per accrescere la propria cultura riguardo alla forma della scrittura, alla sua evoluzione storica certo, ma il risultato finale c’entra poco con metrica e figure retoriche. Il prodotto di una lirica siamo noi nella nostra intimità e ancora noi riguardo al resto del mondo».
Nella Sua esperienza di scrittrice e di donna, l’ha mossa più il dolore o la gioia, nel momento compositivo? Il poeta melanconico e ispirato è un retaggio della tradizione romantica che continua in qualche modo ad influenzarci?
«Guardi, io nella mia produzione ho affrontato veramente di tutto: dal recupero eziologico del mio territorio, alla lirica amorosa, agli inni in onore della donna e ancora alle liriche di commiato dedicate ad amici poeti scomparsi, come per Nevica, il mio personale saluto al grande poeta tarantino Pasquale Pinto scomparso nel 2006. Un viaggio compositivo che va dal dolore alla gioia, al sogno come sublime trasfigurazione della realtà, all’infanzia, alla terra e alle radici. Traggo ispirazione quindi da qualsiasi cosa, anche semplicemente dal lento sbocciare di una rosa nel mio giardino. Forse più che un periodo storico-letterario definito, il Romanticismo alberga a prescindere nella natura dell’uomo-poeta di ogni tempo».
Cosa pensa dei recenti fatti di Parigi? Al di là dell’evento tragico e riprovevole, la libertà di parola è ancora tale o anch’essa si è mercificata nella spettacolarizzazione dello scandal marketing?
«Continuo a difendere il buon gusto: libertà di parola non significa avere la licenza di offendere impunemente la cultura o la religione di un altro. Noi cattolici siamo più codardi dei musulmani: una vignetta che offende la figura di Gesù Cristo con figure esplicitamente sessuali, pare non offenderci e nemmeno sconvolgerci più di tanto. Ma non per tutti è così, evidentemente. Da semi di odio nasceranno sempre fiori d’odio e violenza chiamerà sempre violenza! Il risultato tragico di quel funesto giorno a Parigi è assolutamente da condannare, ma credo anche che sia stato molto sciocco infilare la mano nelle fauci di un cane furioso».
Per concludere, un pensiero sulla Poesia o anche solo una parola per descriverla. In cosa le ha, se sì, cambiato la vita?
«La poesia e la scrittura in generale, è saper esprimere a parole sentimenti inenarrabili. Tutto ciò che non si può raccontare a voce, nasce come rivelazione su carta, del nostro io più intimo. Mia madre si ammalò di Alzheimer e ho vissuto accanto a lei, giorno e notte, il triste e devastante decorso della malattia. Anni passati nell’oscurità e nel silenzio dove ogni rumore era bandito. Nel 1991 pubblico l’opera di poesia e prosa Animismo domestico, un insieme di liriche dove canto di come la casa dov’era inferma mia madre, all’improvviso prenda vita nell’alone della morte: le bambole che una all’altra si dicono di parlare piano perché la signora di casa riposa, le finestre che filtrano delicatamente i raggi del Sole, le stoviglie che sonnecchiano nella credenza per non far rumore. Esprimere ciò che non potevo dire, è stato il mio riscatto dalla sofferenza. La Poesia è la fine del dolore; è lo sciogliersi di un grumo di sangue. Poesia è la Madre sempre fertile e il mio grembo è la mia anima che scrive».