Sono le Alpi la nuova strada della speranza che i profughi intraprendono tentando di raggiungere il resto dell’Europa. Il desiderio di rinascita è molto più forte delle avversità che uomini, donne e bambini devono superare per valicare passi alpini camminando fra la neve alta e le temperature proibitive
È quella alpina la strada che centinaia di profughi percorrono nel tentativo di sfuggire alle forze di polizia italiane e francesi. Perché, dopo aver abbandonato la fame e la disperazione, percorso migliaia di chilometri di deserto, aver subito traversate di fortuna, aver sopportato angherie e violenze di ogni tipo, il loro destino è il rimpatrio o quello di essere ospitati in un centro di accoglienza che è molto simile a un istituto di reclusione. Nonostante sia questa la prospettiva possibile, è molto meglio rischiare ancora una volta la vita e la libertà piuttosto che restare ad attendere la propria morte e quella dei propri cari per fame o guerre. Per chi ha disprezzo e riluttanza verso i profughi, questo dovrebbe essere sufficiente per comprendere che la loro migrazione non è mirata a chiedere l’elemosina nei pressi dei supermercati o possedere uno smartphone ricevendo rifiuti, insulti e minacce. Nessun uomo, anche chi è privo di dignità, sarebbe pronto a questo se non avesse motivi più che validi. Le leggi vigenti in Italia o quelle francesi non transigono e il prossimo governo italiano promette attraverso i suoi leader una nuova stretta di vite affinché nessuno disturbi le nostre strade e le nostre coscienze. Il 10 marzo scorso, un uomo nigeriano, con sua moglie e i suoi bambini, cercava di entrare in Francia dall’Italia attraversando il passo del Monginevro, a 1.900 metri d’altezza. La donna, che era incinta, ha avuto un malore. A quante donne in gravidanza è successo di accusare un malore durante l’attesa per poi essere soccorsa e colmata di cure e attenzioni. Quella donna nigeriana, al contrario, camminava con un bimbo in braccio e uno nel ventre con la neve fino alle ginocchia. Ha ceduto, non ha retto allo sforzo e fortuna ha voluto, se così possiamo definirla, che una guida alpina abbia scorto la famiglia nei pressi di Briançon in Francia, l’abbia fatta salire a bordo della sua automobile per condurla al più vicino ospedale. Durante il tragitto la Gendarmerie ha intercettato il veicolo traendo in arresto l’equipaggio e inviando la donna in un nosocomio. Il destino di quei migranti è segnato e con loro anche quello del soccorritore. Per il suo grande gesto di umanità rischia cinque anni di carcere per aver violato le leggi francesi sull’immigrazione. La guida afferma che lo rifarebbe, anche se dovesse essere confermata la condanna e come lui chiunque abbia ancora un briciolo di umanità. Solo pochi giorni dopo, una profuga incinta muore dopo aver partorito presso l’ospedale Sant’Anna di Torino. A febbraio era stata respinta al confine francese e di lei si erano presi cura i volontari di Rainbow4Africa. Anche soffrendo di un grave linfoma aveva preferito aggravare il suo stato pur di offrire un futuro migliore ai suoi piccoli. Dopo questi episodi, che uniti ad altri simili di totale intolleranza nei confronti dei bisognosi, qualche giorno fa l’ennesimo ha dimostrato come i migranti siano trattati peggio di oggetti indesiderati. Molti di questi uomini disperati, dopo aver attraversato l’Italia, s’immettono sulla strada di Ventimiglia per affrontare quella che, dalla Valle Stretta a monte di Bordonecchia, porta al Col d’Echelles e scende poi a Nevache in Francia. Chi non resiste al gelo e lo sforzo chiede aiuto alle guide alpine, gli altri vengono quasi tutti intercettati dagli agenti della dogana francese per poi essere abbandonati alla stazione per essere rimpatriati. Nei locali della ferrovia di Bardonecchia, i volontari hanno istituito un punto di primo ristoro e soccorso per fornire aiuto a uomini, donne e bambini che dopo un lungo viaggio, si vedono respinti come nemici, come invasori, armati però del solo istinto di sopravvivere e della forza di volontà. Come se l’espulsione eseguita con modi bruschi e violenti, non fosse sufficiente a rimarcare la volontà del governo francese, le forze dell’ordine transalpine hanno pensato bene di varcare il confine, entrare nel settore italiano della stazione e invadere le stanze dell’Ong Rainbow4Africa che si occupava dei migranti. Gli agenti francesi, dopo aver minacciato i volontari e i medici, hanno sequestrato un giovane per sottoporlo a un test antidroga, dopo averlo accusato di essere uno spacciatore. Il raid e l’arresto sono stati interrotti solo dall’intervento degli agenti del vicino Commissariato che hanno respinto i colleghi francesi. Quanto accaduto riveste l’aspetto di una gravissima violazione dei diritti umani e un totale disprezzo per le organizzazioni umanitarie e per le istituzioni italiane. L’azione degli agenti francesi, che non è una libera iniziativa ma l’esecuzione di un ordine preciso, dimostra quale opinione abbia il governo francese, che non pago di aver rifiutato la cooperazione nella soluzione del problema, intende interferire nelle soluzioni di quello italiano, tanto da ingerire perfino nelle azioni di polizia e di rimpatrio. Le forze di polizia francesi affermano di aver agito secondo un trattato con l’Italia che permetterebbe loro di superare i confini per interventi di ordine pubblico. Hanno scordato, però, che qualsiasi azione deve essere preventivamente autorizzata e organizzata con i colleghi italiani cui possono solo dare supporto. Almeno per una volta, l’opinione dei diversi fronti politici italiani è stata unanime come l’indignazione. Tutti convergono nell’affermare che la Francia ha spostato il problema dell’immigrazione sull’Italia e, pertanto, se gli agenti francesi decidono di respingere malamente i profughi, non hanno alcun diritto di superare i confini e adoperare gli stessi metodi in Italia. È concreto il rischio di un incidente diplomatico internazionale, anche se, così come accaduto nel passato, il tutto si concluderà sicuramente con le vicendevoli promesse di collaborazione. Chi paga il prezzo dell’intolleranza sono, ancora una volta, i più deboli. Quello della migrazione dei profughi, che cercano rifugio in Italia o vie di passaggio per l’Europa, è un problema che merita una celere soluzione. Questo non può risalire nel negare gli immensi disagi cui sono soggette intere popolazioni che chiedono aiuto all’Europa oppure nel respingere i profughi. Accusarli di delinquere o di vivere a spese degli europei è un falso, utile solo a nascondere l’emergenza e che s’infrange contro i dati statistici che dimostrano l’opposto. Qualsiasi stato dell’Europa ha un debito mai pagato specie nei confronti dell’Africa, cui sono stati sottratti ricchezze e uomini per avviarli alla schiavitù. Sebbene sia necessario guardare oltre, non si può dimenticare per comodo. È doveroso ricercare un briciolo di umanità nelle proprie coscienze o, quantomeno, non bisogna ostacolare chi offre il proprio contributo ai bisognosi. Non ci sono poveri e bisognosi italiani, o francesi da anteporre a quelli provenienti da altre parti del mondo. Ci sono solo poveri così come non sono criminali i migranti ma ci sono criminali anche fra i migranti. Il vero nemico è il crimine e a nulla serve colpire i migranti nel timore che vi si affilino. La storia dell’umanità è chiara: chi oggi è stanziale, prima è stato emigrante e può tornare a esserlo in qualsiasi momento. La condizione in cui vive il nostro e altri paesi cosiddetti evoluti lo dimostra e chi crede di esserne esente commette un grave errore nei confronti dei propri simili e delle generazioni future.