Non se ne può più di una certa narrazione tutta tarantina che sfocia in autocelebrazione dei fasti passati e delle glorie future glissando ovviamente sul presente fatto di monnezza abbandonata sulle spiagge, di piccole miserie quotidiane
«Settecentosessantuno rifiuti in cento metri di spiaggia, sette rifiuti e mezzo ogni metro: questo è quello che abbiamo trovato sulle sponde del Mar Piccolo in corrispondenza della Pineta di Cimino».
E’ questo il bilancio fornito da Legambiente a valle di una ricognizione effettuata sulla spiaggia del Mar Piccolo di Taranto.
L’inventario del materiale rinvenuto è davvero impressionante e indentifica con una certa chiarezza gli autori: «L’elenco di ciò che copre l’arenile è una testimonianza raccapricciante della follia dei tanti che ancora continuano a considerare il mare e le spiagge come una sorta di grande cloaca in cui scaricare i propri rifiuti. Vale la pena leggerlo, questo inventario, questa sorta di specchio della nostra cattiva coscienza: 33 tra shopper e buste, comprese quelle nere per immondizia, 99 tra bottiglie e contenitori di plastica per bevande, 60 contenitori di detergenti, detersivi o altri liquidi, 28 contenitori di olio motore, 107 bicchieri di plastica, 196 reti e pezzi di rete superiori a 50centimetri, 63 tappi, 14 cassette di polistirolo, 10 cassette di plastica, 6 secchi, 87 pezzi di plastica superiori a 50 centimetri, 4 pezzi di plastica da 2,5 a 50 centimetri, 3 taniche, 9 guanti, 5 boe, 23 pezzi di polistirolo superiori a 50 centimetri, 6 pezzi di polistirolo da 2,5 a 50 centimetri, 5 lattine, 3 altri pezzi di oggetti (legno, gomma, plastica). Il tutto in soli cento metri».
Con buona pace di chi ancora si rifiuta di prendere atto della realtà, il materiale rinvenuto è di natura palesemente non industriale e sta lì, come in molti altri scenari naturalistici ionici, ad imperitura testimonianza della doppia morale di molti nostri cittadini ambientalisti di giorno ed inquinatori di notte.
Quando a Taranto si fanno questo tipo di ritrovamenti, in molti salgono in cattedra ad attribuire le colpe della sporcizia ai soggetti più svariati e bizzarri: c’è chi dà la colpa alla criminalità, c’è chi attribuisce certi ritrovamenti al periodo degli anni di piombo (piombo ce n’è tanto in mare), c’è chi ha la faccia di tolla di trovare una matrice vagamente industriale anche in un pannolino sporco abbandonato sull’arenile, c’è chi fa risalire l’inquinamento ad un periodo in cui la sensibilità ambientale non era molto spiccata (sigh) e c’è chi si incazza e basta perché ritiene scandaloso generalizzare descrivendo i tarantini come degli inquinatori impenitenti.
Dato che certo tipo di alterazioni dell’ambiente viene denunciata con una certa frequenza, noi generalizziamo eccome di fronte al malcostume diffuso di stracciarsi le vesti in piazza perché l’Ilva è una fabbrica di morte onde poi trattare l’ambiente come fosse il water di casa propria.
A beneficio dei soliti beoti che la butteranno sul pistolotto ambientalqualunquista, nessuno intende negare in questa sede l’impatto della grande industria sulla qualità della vita a Taranto.
L’intento è invece quello di inchiodare il tarantino alle proprie responsabilità chiedendogli con quale faccia riesca a scagliarsi contro la ferriera quando poi – per superficialità, per maleducazione, per incoerenza, per strafottenza – inquina impunemente di notte pretendendo di fare la morale ai Riva di giorno strillando nella piazzetta italietta piuttosto che da Magalli.
Questa attitudine a lordare il proprio mare fa apparire grotteschi gli sforzi per moralizzare la grande impresa: il tarantino, quando gli tocca essere disciplinato per rispettare le proprie coste, sembra fottersene dell’ambiente rendendosi quindi poco credibile se poi denuncia la questione industrial-ambientale.
Quest’ultima sembra sbattuta in prima pagina su tutti i giornali quasi fosse un diversivo per vincere la noia, un motivo per raccontarsela, come un modo per attribuire al destino crudele i propri insuccessi che invece dipendono in primis dal dilettantismo tutto ionico.
Sì, il tarantino se la racconta e gli piace pensare che, se non ci fosse stata la grande industria, orde di turisti avrebbero arricchito il territorio dotato di un mare unico (bello, per carità, ma come molti altri), di una storia millenaria (tutto ciò che è sulla penisola italica ha una storia millenaria) e di chissà quali originalissime bellezze.
Il tarantino campa di “se”, di “si dovrebbe” e di “faremo” provando a dare sempre la colpa agli altri in una sorta di racconto degli eventi che assomiglia tanto ai filmati di propaganda che Saddam Hussein faceva trasmettere alla tv irachena per rafforzare il sentimento nazionale.
“Se non fosse” per l’Ilva, “se non fosse” per Bari, “se non fosse” per Calenda. E ancora, “si dovrebbe” puntare sul turismo e sull’aeroporto, “si dovrebbe” immaginare uno sviluppo basato sulla portualità, si dovrebbe puntare sull’enogastronomia e sulla cozza arraganata. Oppure “presto faremo” una conferenza di servizi, “presto faremo” un tavolo istituzionale, “presto faremo” un tavolo tecnico.
E da questi slogan privi di significato parte una narrazione che sfocia in autocelebrazione dei fasti passati e delle glorie future glissando ovviamente sul presente fatto di monnezza abbandonata sulle spiagge, di piccole miserie quotidiane e di una visione del domani per la quale – anche se fantasiosa e discutibile - i tarantini non riescono ad impegnarsi nemmeno per un attimo. Il domani è un temino di fantasia, un gioco a spararla grossa, un volo pindarico sciocchino buono per animare i dibattiti, un buon modo per permettere ai giornalisti di non scrivere solo di “nera”.
Ai buoni propositi seguono azioni coerenti? Manco a parlarne, c’è solo epica del passato ed esaltazione autoreferenziale di un non meglio precisato buon proposito. Fuffa, insomma. Ma poi si lamentano se gli altri decidono sulla pelle della città.