Mattarella aveva una sola possibilità e l'ha toppata, preso dall’ansia che la Cancelliera lo potesse inseguire con la cucchiarella: avrebbe dovuto spiegare alla Merkel che Savona non era il demonio
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi.
Le vicende patrie degli ultimi mesi ricordano tanto “Lupus et agnus” la favola di Fedro nella quale il lupo – preso da una fame insaziabile - cerca una serie di pretesti grotteschi per azzannare l’agnello capitato per sventura allo stesso ruscello.
Sì, perché ciò che è successo in questi mesi di colpi di scena mozzafiato e di trattative estenuanti per cercare una maggioranza di governo, nulla è se non una serie di manovre volte a lucrare politicamente su una paralisi istituzionale. Hanno lucrato forse tutti, nessuno escluso, giocando sporco e seguendo un proprio personalissimo tornaconto.
Riavvolgendo il nastro di questi ottanta giorni di febbrili consultazioni, nessuno può affermare di aver gestito nel migliore dei modi la situazione ma soprattutto nessuno è scevro dal sospetto di aver agito in mala fede. A qualcuno è andata male mentre a qualcun altro è andata meglio.
A partire dal Presidente Mattarella il quale ha abilmente indirizzato le consultazioni in modo tale da riservare ai Cinquestelle un ruolo inspiegabilmente centrale in ogni possibile incastro volto a cercare una maggioranza di governo.
Ha verificato se ci fosse possibilità di dialogo tra i Pentastar e il PD e ha verificato le possibili interazioni tra Cinquestelle e Lega.
Forse al Capo dello Stato non sarà balzato all’occhio un dato cruciale: la coalizione di centrodestra aveva ottenuto il 37 percento dei voti, elemento che forse avrebbe autorizzato a sospettare che – se Matteo Salvini avesse ricevuto un preincarico - probabilmente una maggioranza sarebbe riuscito a trovarla stante l’esiguo numero di Deputati e Senatori che mancavano al centrodestra per essere maggioranza nei due rami del Parlamento. O almeno, se Salvini avesse chiesto con più forza un mandato esplorativo, ci si poteva provare. Mattarella non ha voluto sentire ragione forse perché aveva altro in mente così come lo stesso Salvini è apparso stranamente tiepido sull’argomento.
Ma in Italia è così, se vince il centrosinistra (vedi caso Pierluigi Bersani del 2013) ci ricordiamo di essere una Repubblica Parlamentare e lasciamo alla coalizione che ha preso più voti l’onere di formare un governo.
Se invece il centrodestra prevale (pur non avendo i numeri) ci comportiamo da Repubblica Presidenziale e cerchiamo mille pretesti pur di verificare solo una parte delle possibilità sul tavolo.
E infatti Mattarella – dopo aver provato invano ad assemblare le maggioranze che aveva in mente – ha pensato bene di minacciare un Governo tecnico come se in un modo o in un altro volesse stanare i grillini, scommettendo sul fallimento, spingendoli a cimentarsi nella formazione dell’Esecutivo e quindi a sporcarsi le mani perdendo la verginità.
La minaccia di Governo tecnico è quasi sembrato il pretesto che Lega e Pentastar aspettavano per far nascere il pentaleghismo, un abominio politico che ha prodotto un contratto di governo ridicolo ed una squadra di Ministri (fatta eccezione per Paolo Savona e pochissimi altri) esilarante.
Basti pensare che Luigi Di Maio – uno che di lavoro ne ha visto poco in vita sua – era in predicato di fare il Ministro del Lavoro.
E perché tentare un accordo solo dopo la minaccia di un Governo tecnico? Mistero.
Vien da pensare che ognuno giocasse una partita diversa: da una parte il Capo dello Stato che evidentemente non credeva al buon esito e aspettava che i due partner si bruciassero e dall’altra Di Maio che cercava di salvare la faccia con la base chiedendo a Salvini un improbabile strappo con Berlusconi a mo’ di pretesto per evitare di rimboccarsi le maniche simulando un atteggiamento proattivo.
L’unico a spingere sul serio è stato Salvini il quale ha chiesto alla sua coalizione (ottenendolo) il permesso di giocarsela a poker, di vedere le carte e di stanare Di Maio.
Poi l’imprevisto: i leghisti e i grillini sembrano piacersi e scoprono di andare d’amore e d’accordo anche perché il volenteroso (?) Salvini media (troppo) su tutto.
Con somma sorpresa di Mattarella vengono stilati programma e squadra di governo e si aspetta solo un cenno del Quirinale per partire. Ma Mattarella aveva una consegna inderogabile da rispettare ricevuta direttamente dai suoi capi europei: evitare che all’economia si sedesse un ministro riottoso a comportarsi da cameriere di Bruxelles.
E’ a questo punto che il gioco si fa torbido: chi è il lupo che cerca il pretesto per mangiare l’agnello? E’ forse Mattarella che temendo le sculacciate europee ha preso a pretesto Paolo Savona – un bravo economista già stato al Governo con Ciampi senza aver compiuto atti eversivi - per far saltare un accordo battezzato come impossibile e poi sfuggitogli di mano?
O forse il lupo è Salvini che, magari d’accordo col centrodestra, aveva già in animo di rompere all’ultimo minuto e, intuendo il veto, si è impuntato proprio sul nome di Savona? Forse la strategia era quella di evocare le ingerenze delle cancellerie europee contando sul fatto che Mattarella avrebbe probabilmente mandato tutto a monte?
O la regia della drammatizzazione dello scontro era di stampo pentaleghista e mirava già all’epilogo drammatico trasformando le prossime imminenti elezioni in un Armageddon tra la vecchia casta e il cambiamento gialloverde?
Lo scopriremo tra non molto: se Salvini e Di Maio faranno coalizione alle prossime elezioni allora vorrà dire che costoro avevano premeditato il tutto.
Se invece Salvini tornerà nel campo del centrodestra allora l’intento era quello di fagocitare il consenso grillino usando di Maio e mandandolo a sbattere.
Fatto sta che qui siamo alla presenza di uno o più potenziali lupi (Salvini e Di Maio), di un potenziale agnello (Di Maio nel caso in cui la Lega lo abbia usato per tornare alle elezioni) e di un pollo.
Sì perché Mattarella, opponendosi alla nomina di Savona, ha inspiegabilmente consegnato il paese al pentaleghismo lasciando agli orfani di Paolo Savona la possibilità di fare le vittime evocando ingerenze straniere ed ingenerando nel popolo la convinzione (manco troppo fantasiosa) che l’Italia sia una Nazione a sovranità limitata con sede legale e Direzione Generale a Bruxelles e filiale a Roma.
Mattarella aveva una sola possibilità e non l’ha vista preso dall’ansia che la Cancelliera lo potesse inseguire con la cucchiarella: avrebbe dovuto spiegare alla Merkel che Savona non era il demonio e che l’unico modo per neutralizzare l’onda pentaleghista era quello di lasciare che essa si infrangesse sull’impossibilità di realizzare le promesse contenute nel contratto di Governo. Altrimenti, potendo cioè contare sulle manovre oscure dei poteri forti, costoro avranno la possibilità di veleggiare verso il sessanta percento alle prossime elezioni. E adesso il pericolo è reale.
A noi quello di Savona sembra un fatto palesemente montato ad arte ed utilizzato nel peggiore dei modi da Mattarella, una di quelle trappole nelle quali non cascano nemmeno i bambini.
Ma a giudicare da quanti nelle piazze virtuali (e non virtuali) in queste ore inneggiano alla Lega e maledicono il Quirinale la storiella ha funzionato.
Salvini farà il pieno di voti avendo scavalcato Di Maio sui temi cari ai grillini e avendo recitato il ruolo di unico sceriffo contro il cattivo del Colle.
Di Maio ha rimediato con molta probabilità la figura del comprimario fesso, di quello un po' tonto che si accorge solo alla fine di aver preso una facciata o che, nella migliore ipotesi, è andato a rimorchio della strategia leghista. Adesso prova a rimediare alzando i toni ma è troppo tardi.
A chi fa comodo il fallimento delle trattative? Forse a quasi tutti: fa comodo a Di Maio per conservare la purezza non dovendosi cimentare con il governo, fa comodo a Salvini che così può rafforzarsi come movimento di protesta e fa comodo a Mattarella che in questo modo può evitare guai con i mangiakartofen. Paradossalmente gli unici a perderci sono Berlusconi e Renzi che sono in caduta libera. La qual cosa spiega molto più di mille congetture.
Scacco matt(arell)o.
Nota dell'ultim'ora
Mentre chiudiamo questo numero di Extra Magazine, la situazione ha assunto una piega inaspettata.
Luigi Di Maio, dopo aver forse capito di essere stato buggerato dai Lumbard, ha cambiato nuovamente idea: è passato dalla messa in stato d’accusa di Mattarella alla collaborazione con il Quirinale rilanciando una rediviva ipotesi di governo politico con Salvini. Immagina una compensazione per la Lega la quale, rinunciando al Ministero dell’Economia, avrebbe diritto ad esprimere il Presidente del Consiglio.
Mattarella ha convocato Cottarelli ma – arrivato al dunque – ci ha ripensato e lo ha fatto uscire dalla porta di servizio del Quirinale.
Salvini parrebbe tenere il punto e chiede di ridare la parola agli elettori ma, come ebbe a dire Franco Califano, non esclude il ritorno ad un Governo gialloverde. Sta pensando se gli convenga passare all’incasso elettorale o se ciò che ha spuntato nel braccio di ferro con il Capo di Stato può bastare.
Tanta agitazione per niente? Può darsi.
Comunque si concluda, lo spettacolo resta indecoroso.