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Il diritto del consenso

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

30
AGO
2018

Esiste un momento in cui il diritto sfocia nella politica, allorquando la misura del giusto, secondo la legge, cozza con la percezione del popolo, secondo coloro che la invocano, forti di un’investitura elettorale. E’ il luogo in cui il consenso mira a farsi legge, sostituendosi al diritto: è la politica del diritto, che vuole imporsi, ricercando un equilibrio che vada oltre la legalità. Quando si invoca il consenso per fare ciò che si vuole, mettendo da parte la legge, si apre un conflitto in cui l’arbitrio rischia di diventare sopraffazione. Disobbedire a una legge può avere una funzione nobile, se la disobbedienza mira ad esaltare la funzione deteriore di una norma vigente, seppur palesemente ingiusta e ripudiata dal sentire generale, ma può anche essere un atto di protervia del potere, quando chi disobbedisce, chi sfida apertamente la legalità, è uomo di potere, chiamato a cambiare le norme ritenute ingiuste e dotato degli strumenti per farlo.
Il consenso non può essere il passaporto per giungere in qualsiasi luogo dell’illegalità, specialmente quando si sovrastima, ignorando la sua vera misura e identificando una maggioranza relativa con la totalità. Trasferire la propria idea di forza da un ambito all’altro, immaginare che il metro del giusto diventi il proprio potere, è un ottimo viatico per arrivare alla tirannia.
Il caso delle persone trattenute sulla nave Diciotti ha diviso l’Italia tra tifosi e detrattori dell’uomo che si è erto ad arbitro della sorte di 177 individui. Quella sorte è stata chiaramente affidata a una presunta ragione di Stato, che ha volutamente ignorato le leggi, pretendendo di giudicare secondo un altro metro, parrebbe dettato al telefono e affidato a facebook, per poter essere condiviso dal popolo. Il populismo del potere è proprio questo: dare in pasto alla gente una verità distorta, di comodo, rinunciando a far valere le leggi, passandoci sopra, rivendicando l’immunità, in ragione del consenso. Intendiamoci: è una scelta politica e un atto politico. In questa ottica, nell’ottica della politica, ciascuno risponde alla propria coscienza delle decisioni che assume. Vi è poi un’altra ottica, quella delle leggi, che nel caso di specie tutelavano i diritti delle persone. Quell’ottica non può e non deve guardare al consenso, ma deve sottoporre l’agire del consenso, vero o presunto, al vaglio della legalità.
Qualcuno ha detto che nella vicenda Diciotti l’errore del Ministro dell’Interno sia stato di non andare a spiegare alle persone trattenute che ciò stava avvenendo era fatto per usare la loro sofferenza come merce di scambio politico rispetto all’Unione Europea. E’ una tesi suggestiva: immaginare di poter utilizzare i trattenuti a bordo di una nave, alcuni dei quali malati, reduci da torture, sevizie, violenze sessuali e di ogni altro tipo, agendo d’imperio, ma comunicandolo ai diretti interessati, rendendoli consapevoli di essere merce di scambio politico. Peccato che la tesi non abbia parlato di consenso di quelle persone, né dei loro diritti, e meno che meno delle loro condizioni, fisiche e morali. Nel frattempo, mentre quelle persone venivano usate come merce, in un tentativo di scambio politico fallito miseramente, altre persone, in altri luoghi dello stesso paese, sbarcavano tranquillamente, lontane dal clamore dello show. Il consenso è capace anche di questo: ignorare le leggi, farsi legge e arbitrio, utilizzare pesi e misure di comodo, che sommano e amplificano disuguaglianze e iniquità, spesso confondendo le questioni, sovrapponendo temi che non c’entrano niente tra di loro, come il diritto allo sbarco e l’immigrazione clandestina. Tutto ciò non può non destare sgomento nell’uomo di legge, ma ad aggiungere scoramento allo sgomento c’è la constatazione che molti uomini di legge facciano parte di quel consenso, giustifichino l’arbitrio, ritengano la legge superata dalla volontà del potente di turno. “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole e più non dimandare”. 



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