Dal bacino della Ruhr al bacio di Giuda. Così il Movimento 5 stelle ha preso in giro i suoi elettori
Solo pochi giorni fa, il leader e fondatore del movimento ossia il comico miliardario Beppe Grillo, dal suo blog – punto di riferimento “intellettuale” per molti attivisti – lanciava la sua vision per Taranto. Fare dell’area industriale Ilva non solo “una cosa meravigliosa con tecnologie ad energia rinnovabile” ma anche un grande centro turistico attrattivo con dentro un parco giochi, luci colorate, attività commerciali e centri sub più grandi d’Europa e chi più ne ha più ne metta. Proprio come hanno fatto nei pressi del bacino della Ruhr i nostri cugini tedeschi.
Non a caso questa zona, la Renania, ricca di ferro e di carbone com’è, nel secolo scorso è stata una delle regioni più ambite da conquistare dalle altre nazioni europee, anche per via della ricchezza che si era sviluppata attorno alle intense attività estrattive e industriali più prolifiche del mondo e agli agglomerati urbani della zona come Dortmund o Duisburg.
Da lì il via alla riconversione industriale, che però si è trattato di un processo, anche in termini di riassorbimento occupazionale, non solo durato oltre mezzo secolo ma reso possibile dal fatto che era già la stessa regione ricca in sé per sé di risorse nel sottosuolo e – gioco di parole a parte – terreno fertile per una più facile ripresa economica con meno danni possibili per la popolazione.
Tutto molto bello a parole, insomma. Alla prova dei fatti si è passati invece dal danno alla beffa per i cittadini tarantini. Anni di lotte, di battaglie, di fiumi di parole su blog e social, di sit-in, di gazebo e di meet-up in piazza, di concerti e kermesse musicali a rilevanza nazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica, diretti e organizzati addirittura da testimonial del mondo dello spettacolo e consiglieri comunali che non hanno mai fatto mistero delle loro simpatie per i pentastellati. Gli stessi che per anni hanno goduto della fiducia degli elettori cavalcando l’onda dello slogan: “chiudiamo quel mostro”.
Lo stesso che hanno cavalcato, non ultimo, i cinque onorevoli locali Ermellino, Vianello, Cassese, Turco e la contestatissima Rosalba De Giorgi - quest’ultima poi il volto grazioso di una nota emittente televisiva locale che avrebbe dovuto fungere anche da volto pulito della politica locale - eletti quasi a plebiscito dalla piazza tarantina con un chiaro ed esplicito mandato politico: chiudere l’Ilva, e che invece oggi si ritrovano a perdere la faccia e a dare spiegazioni a una folla inferocita per un repentino colpo di coda del ministro Di Maio.
E adesso che ne è stato di tutto questo? Che ne sarà ora di un movimento antipolitico che si è fatto partito e ha dovuto cominciare a fare politica, ossia a mettere da parte la propaganda e ad assumersi la responsabilità e il peso di scelte impopolari? Che ne sarà ora di chi per anni faceva a gara a chi la sparava più grossa sulla Croce Rossa – Calenda e il Pd – e si è ritrovato beffardamente a prendere come canovaccio per le proprie azioni politiche proprio ciò che invece hanno fatto Calenda e il Pd?
Eppure il programma elettorale a cinque stelle parlava chiaro: chiusura degli impianti inquinanti, riconversione delle aree ex Ilva e reimpiego dei lavoratori nelle opere di bonifica. Niente di tutto ciò insomma è quello che aspetta alla Taranto 2.0, ma solo il sequel di quanto cominciato a mettere su carta dall’ex ministro Calenda e dalla nuova proprietà industriale in fase di trattative, con qualche mancetta in più. Mancetta che Di Maio non potrà sbandierare neanche più ai propri elettori vista la delusione, a cui seguirà senz’altro la rabbia che di solito si riserba a chi ha floppato così clamorosamente alle proprie promesse.
Arrivati sino a qui, per i tanti esponenti istituzionali, locali e nazionali, non sarebbe consigliabile altro che un unico gesto da porre in essere non solo come manifestazione forte di rottura verso i vertici del proprio movimento (nato con i tanti buoni propositi e le buone intenzioni di democrazia diretta, di lotta alla vecchia classe politica corrotta e incapace, di honestà ecc.) ma anche per salvaguardare la propria dignità umana e dare il giusto esempio, come si confà ai buoni padri di famiglia, di non attaccamento alla poltrona e ai tanti recriminati privilegi da parlamentare, di coerenza verso i propri ideali e fedeltà alla parola data. E cioè dimettersi, come atto di coraggio per Taranto.