Tutto come da copione: i cittadini, di fronte alla scelta, hanno preferito l’opzione “testa-sotto-la-sabbia”. Campioni di astensionismo, i quartieri Tamburi e Paolo VI
Il 90% dei tarantini vuole la chiusura, almeno parziale (area a caldo), dell'ILVA. Detto così ovviamente, oltre a far saltare le coronarie a quanti si sono prodigati per far mancare il quorum, la cosa può apparire frutto di un improvviso calo di zuccheri, o peggio, di un totale squilibrio mentale di chi scrive. In realtà quel 90% si riferisce non a tutti i tarantini, ma a quel 20% circa che ha ritenuto di esprimere apertamente la propria opinione su una questione di grandissima rilevanza, andando a votare in occasione del referendum dello scorso 14 aprile. Se partiamo dall'assunto che in democrazia vige la regola della maggioranza, e che tale maggioranza si costruisce attraverso il voto, arriviamo alla conclusione che chi, per qualunque ragione, si astenga dal voto, delega automaticamente tutti gli altri (quelli che invece vanno a votare). Succede così in tutte le elezioni. Ormai il tasso di astensionismo, soprattutto a Taranto, ha raggiunto cifre molto vicine al 40%. Cionondimeno c'è chi vanta di essere stato eletto da una "larga maggioranza". Ciò avviene per le elezioni amministrative come per quelle politiche e, facendo mente locale, perfino in quelle condominiali! Non è così per il referendum. Perché mai? C'è sempre una ragione a tutto ovviamente. L'Italia è una democrazia (ognuno poi avrà le sue considerazioni su quanto compiuta sia) di tipo rappresentativo. I costituenti hanno voluto rimarcare questa caratteristica limitando al massimo le forme di democrazia diretta, come appunto il referendum. Non è sufficiente raccogliere il numero di firme dei sottoscrittori previsto da norme e regolamenti; perché il referendum abbia validità deve andare a votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto. Un modo quindi per essere certi che lo strumento referendario venga utilizzato solo quando davvero c'è una diffusa convinzione popolare che sia richiesto un parere direttamente ai cittadini. Una formula che potrebbe anche essere condivisa nel principio fondante ma che, visto quanto accaduto in quasi tutte le ultime occasioni referendarie, è diventato una forte anomalia che, di fatto, stravolge quella regola attraverso un comportamento assolutamente antidemocratico. Cosa avvenuta puntualmente, come avevamo previsto e scritto, con il referendum sull'Ilva. Si usa l'astensione, quella fisica, perché ricordiamo si può sempre astenersi con la scheda bianca, per impedire che si raggiunga il quorum. Così facendo si rende nullo il voto di quanti invece, nel caso che trattiamo ben 34.000 tarantini, hanno invece espresso la loro opinione. Senza parlare dei costi che si sostengono. Verrebbe da chiedere, a questo punto, l'abolizione del referendum come strumento, e magari, se non ci fosse di mezzo una norma costituzionale, potremmo pensare di indire un referendum abrogativo! Molto spiacevole, imponendoci una certa eleganza stilistica, che a impedire ai tarantini di esprimere la propria opinione su una questione così dibattuta e così rilevante siano stati molte organizzazioni che, almeno a parole, mangiano pane e democrazia! E stendiamo un velo pietoso su tutta la attività della amministrazione comunale, non solo in termini di scarsa informazione, riduzione del 50% di seggi e scrutatori, ma per quanto di omissivo ha messo in campo sin dall'inizio. Si è voluto giustificare il grande movimento messo in piedi per boicottare di fatto il referendum, dicendo che i quesiti non erano corretti, erano svianti, ne andava aggiunto un terzo, la legge 231/2012 supera di fatto ogni questione, e tante altre simili amenità. Come dire non vado a votare per le amministrative perché non condivido alcun programma, non individuo alcun candidato che mi rappresenti. Sì, è vero, accade anche questo, ma, in questi casi, il voto di chi invece va alle urne è sempre rispettato e conserva tutta la sua validità. Nel caso del referendum non andare a votare non vuol dire automaticamente sono contrario alle proposte; in questo caso bisognava andare al seggio e semplicemente apporre una X sul NO. Chi ha voluto che non si raggiungesse il quorum o ha avuto paura dell'esito, o considera in genere il parere dei cittadini superfluo; tertium non datur! Sta di fatto che ora abbiamo alcuni dati certi, ovvero circa 30.000 tarantini si sono espressi per una radicale rivisitazione del modello economico di Taranto, mentre l'80% non ha espresso il proprio parere. Questi sono fatti, il resto è interpretazione Cicero pro domo sua. Se vivessimo davvero in una democrazia compiuta l'amministrazione comunale dovrebbe prendere atto della volontà di chi ha votato (lo stesso sindaco Stefàno è stato uno dei primi, e qualcosa ci spinge a pensare che abbia votato SI, anche se non lo sapremo mai). Ma ciò non avverrà. Altro dato che non ci sorprende, assolutamente prevedibile, è che la maggiore astensione si è avuta nei quartieri Tamburi e Paolo VI, ovvero quelli più vicini all'ILVA. Si tratta quartieri operai; addirittura Paolo VI nasce come una sorta di foresteria ILVA, con le prime costruzioni in cui abbondavano le travi in acciaio. Chi lavora all'Ilva, o chi semplicemente ha dei parenti occupati nella acciaieria, ha fatto prevalere la preoccupazione per il lavoro. Preoccupazione legittima. I trentamila e passa che sono andati al voto a conti fatti rappresentano la sommatoria di quanti in diverse occasioni hanno partecipato alle varie marce. Un Popolo che non è fatto solo di ambientalisti. Un Popolo la cui volontà va rispettata.