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Urbanistica/La favola della "bella Martina"

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

22
MAR
2013

 

La verità è che la città è bella entro i confini del centro antico, al massimo fino ai borghi ottocenteschi. Per il resto evitiamo il rischio di un Piano di Rigenerazione Urbana impostato all’antica e mascherato da innovativo, perché potrebbe portare nel giro di qualche decennio alla “scomparsa” della nostra città
 
Rigenerare significa ristabilire un’integrità strutturale o fisiologica. Il verbo è, dunque, utilizzato per indicare un qualcosa che, non funzionando più bene a causa delle alterazioni di un sistema complesso, necessita di essere riportato alla propria interezza e funzionalità. Oggi il termine è di moda in molti ambiti disciplinari e si confronta con più significati e si presta a molte interpretazioni. Nell’ambito della pianificazione territoriale e urbana il termine si carica di importanti valenze economiche, politiche, sociali, ecologiche ed estetiche determinanti per una progettualità consapevole. Il sistema complesso città-territorio della nostra nazione è stato normato fino a qualche anno fa da una serie di leggi che prevedevano semplicemente il controllo, la limitazione o il divieto dell’attività edilizia sul territorio basandosi su dei concetti teorici derivati dalle ricerche funzionaliste e razionaliste dei primi del Novecento.
I tempi sono cambiati, infatti, mentre fino a poco tempo fa il bisogno abitativo era particolarmente sentito a causa dell’incremento demografico e della crescita economica, oggi è esattamente il contrario e si prospetta una decrescita o comunque una stasi urbana senza precedenti nella storia contemporanea. A questo si somma una delle crisi economiche più pesanti degli ultimi 80 anni con trasformazioni sociali, in questo momento, non ancora completamente chiare, ma che hanno immediatamente avviato un’alterazione della struttura socio-economica sia del nostro paese che del mondo intero.
Martina non è diversa da altri luoghi della nostra nazione o della terra, perciò anche la nostra città deve fare i conti con questa crisi epocale. Oggi non è più pensabile progettare il territorio e la città così come la legge 1150 del 1942 e le susseguenti modifiche ed integrazioni,  e varie leggi nazionali prima, e regionali poi, hanno regolato in tutti questi anni. 
Il territorio non può più essere suddiviso in aree, per di più slegate tra di loro, che altro non fanno se non degradare il sistema ambientale ogni qual volta si verifica un cambiamento non previsto.
Non è più possibile consumare altro suolo agricolo o forestale. E’ finito un ciclo storico durato oltre sessant’anni e caratterizzato da un’espansione urbana disordinata e brutta.
Il termine “rigenerare” assume alla luce di tutto ciò un significato che va ben oltre la semplicistica logica di “aggiustamento” delle cose o di risoluzione di problemi tecnico-amministrativi dovuti alla gestione alquanto allegra, avutasi in passato, del nostro territorio e del relativo ecosistema.
Io sono estremamente convinto che oltre a non consumare più territorio è necessario avviare una fase di decrescita e razionalizzazione dei sistemi urbani esistenti.
Per noi Martinesi in questo momento storico il termine “rigenerare”, inevitabilmente, viene collegato alla Proposta Preliminare di Rigenerazione Urbana della nostra città in relazione alla Legge Regionale n. 21/2008.che l’Amministrazione Comunale ha avviato con i primi incontri pubblici per il confronto, previsto dalla legge, con tutte le categorie sociali.
Malcontento e scetticismo hanno dominato la prima fase del dialogo democratico tra le parti.
La sensazione è che il termine “rigenerazione”, forse, è stato, un poco, frainteso.
Non è sembrata, ai più, una proposta estremamente rigenerante, ma piuttosto una riedizione in chiave dandy dei vecchi PRG e della relativa follia del metro cubo su metro quadro che tanti meravigliosi danni ha fatto negli ultimi sessant’anni.
Sessant’anni di costruzioni contemporanee apparentemente sembrerebbero nulla rispetto ai 5000 anni circa di storia dell’architettura!
Solo che come ha sottolineato il Consiglio Nazionale degli Architetti in occasione di RI.U.SO. (convegno sulla rigenerazione urbana sostenibile tenutosi a Milano nella primavera del 2012): dei circa 120 milioni di vani che costituiscono la struttura urbana della nostra nazione solo 30 milioni sono stati costruiti dal 1000 a.c. al 1950. Questo significa che 90 milioni di vani sono stati realizzati nel giro di poco più di 60 anni.
Fin qui nulla di male, perché il bisogno edilizio, dal secondo dopoguerra a oggi, è cresciuto in maniera esponenziale per i motivi che noi tutti conosciamo.
Il problema è che la stragrande quantità di strutture architettoniche, sia edifici pubblici che privati, sono stati realizzati con scarsissima qualità architettonica e costruttiva, non antisismici, in posizioni errate o inadeguate, con impiantistica e materiali non “sostenibili” e, come ciliegina sulla classica torta, con prodotti altamente cancerogeni per la salute umana. Infatti solo dai primi anni ’90 la normativa ha limitato fortemente o eliminato alcuni materiali edili normalmente utilizzati fino alla fine degli anni ’80 in tutti gli edifici che noi utilizziamo tranquillamente ancora oggi.
Viene naturale pensare che è una follia mantenere ciò che non funziona e distruggere territorio non urbanizzato. C’è da aggiungere che noi italiani, in generale, e noi martinesi, in particolare, non amiamo molto il verbo “demolire”, forse perché lo ricolleghiamo facilmente al termine “abusivismo” creando così nella nostra mente una rimozione psicologica immediata.
In questo caso “demolire” avrebbe invece una funzione catartica doppiamente efficace, eliminando ciò che è brutto, costoso ed inefficace, ed inserendo tutto ciò che è bello, economicamente conveniente ed efficiente.
Perciò, per piacere, non tocchiamo più suolo se non per realizzare dei connettivi verdi e infrastrutturali ecosostenibili. Demoliamo e ricostruiamo l’esistente con premi volumetrici in funzione dell’efficienza economica, sociale ed energetica.
Prima di iniziare a demolire, comunque, bisogna avere le idee chiare su cosa fare.
Le città  sono utilizzate dall’uomo per i suoi bisogni fisici, psichici, culturali, sociali, economici e politici. Le città così come sono nate potrebbero anche morire, anche Roma che è la “città eterna”, in realtà  è morta e rinata più di una volta. Le città condizionano l’ecosistema con livelli di pericolosità per l’uomo che alcune volte risultano fatali. Queste affermazioni sono sufficienti a far comprendere l’assoluta necessità di chiarezza sul futuro delle città e per quanto ci riguarda di Martina. Ma per far luce sul futuro è necessario riflettere sul passato, su ciò che è stata Martina nei sette secoli della sua storia ufficiale.
Solo attraverso un’analisi approfondita della sua evoluzione fisica, psichica, culturale, sociale, economica e politica saremo in grado di intravedere e di proporre la Martina del futuro con i suoi bisogni e i suoi punti di forza. Perciò, prima di tutto, attraverso incontri programmatici, costituzione di commissioni d’analisi, tavoli di concertazione, ecc., bisogna capire quale potrebbe essere il nostro futuro.
Bisogna evitare il rischio di un Piano di Rigenerazione Urbana impostato all’antica e mascherato da innovativo, perché potrebbe portare nel giro di qualche decennio alla “scomparsa” della nostra città dal panorama economico-sociale nazionale.
Ed infine, oggi Martina non è assolutamente ecosostenibile, deve diventarla. Ha un livello di sicurezza edile ed urbana non in linea con la sua evoluzione sociale e tecnologica, deve diventare una città sicura con strade ed edifici sicuri. 
A questo punto, prima di concludere, vorrei avventurarmi nel concetto di “estetica della città”, infatti se il legislatore ha avvertito la necessità di proporre e normare la “rigenerazione urbana” l’ha fatto anche perché, obiettivamente, le nostre città, e dunque anche Martina soffrono di alcune disfunzioni estetiche molto evidenti.
La favola della “bella Martina” parte dal centro antico e si ferma al massimo ai borghi ottocenteschi voluti dall’illuminato sindaco Fighera nella seconda metà dell’Ottocento. Fu solo illuminazione o sapiente business? Sul necessario ampliamento urbano dettato sia da motivi igienico-sanitari che speculativi, il sindaco liberale di Martina seguì le più moderne linee dell’urbanistica ottocentesca di integrazione del verde con il costruito, la maglia ippodamea, le piazze e i viali scenografici che erano stati già sperimentati in tante realtà urbane nazionali.
L’architettura, dunque, ha da sempre coniugato economia e bellezza. E si è sempre vantata di questo. L’architettura è l’unica opera d’arte di cui noi fruiamo giornalmente 24 ore su 24 per tutta la nostra vita.
Perche allora ad un certo punto della nostra storia si è perso di vista l’importante funzione estetica dell’architettura delegando tutto il fare architettonico alla componente economica?
Forse, perche l’articolo 9 della nostra costituzione in maniera esplicita tutela l’arte ed il paesaggio ma non specifica tempi, luoghi e modi e noi pensiamo che l’arte sia quella antica e che il paesaggio è in grado di vedersela da se.
Purtroppo non è così.
E’ necessario rivedere il nostro modo di pensare alla città sotto tutti i profili, non lasciare niente di intentato, sperimentare nuovi modelli, promuovere concorsi internazionali di idee, percorrere strade apparentemente complesse e sconosciute, sfidare i luoghi comuni, immaginare l’inimmaginabile, demolire, fisicamente e mentalmente, tutto quello che ci deprime per bruttezza e inefficienza, non distruggere il territorio, ma usarlo come connettivo verde per una città che attraverso la valorizzazione delle risorse locali e la sua innegabile forte identità culturale risorga a nuova vita.
Rigeneriamoci.
 
 
 


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