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QUI E ORA/I VELENI LEGALIZZATI

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

24
OTT
2018

Nel recente Decreto Genova, per la ricostruzione del Ponte Morandi, sono stati inseriti altri articoli fra cui quello che legittima l'uso dei fanghi reflui in agricoltura, alzando i limiti di tossicità con grave pericolo per la salute

“Al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, continuano a valere, ai fini dell'utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i limiti dell'Allegato IB del predetto decreto, fatta eccezione per gli idrocarburi (C10-C40), per i quali il limite è: = 1.000 (mg/kg tal quale). Ai fini della presente disposizione, per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell'allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, richiamata nella decisione 955/2014/UE della Commissione del 16 dicembre 2008.”. Questo è il testo dell’art. 41, “Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione” inserito nel D.L. 28 settembre 2018, n. 109, “Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze”, meglio conosciuto come Decreto Genova. Leggendo l’articolo tout court, potrebbe apparire fuori contesto dall’emergenza verificatasi a Genova per il crollo del ponte Morandi ma osservando il titolo per intero, si comprende come, sotto la voce “altre emergenze” si sia infilato un po’ di tutto, compresa la deroga per la gestione dei fanghi di depurazione. Evitando i tecnicismi, cercheremo di spiegare come, per l’assenza di una precisa normativa in merito, la riaffermazione dell’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura, secondo i valori citati nel suddetto articolo 41, sia notevolmente dannoso per la salute umana e animale. In concreto, oltre a una quantità rilevante di metalli pesanti e batteri come la Salmonella, i fanghi contengono diossine. Le diossine sono composti organici dall’alto e persistente potere inquinante che, per il loro elevato peso molecolare, tendono ad accumularsi nei tessuti viventi con effetti sicuramente cancerogeni sull’uomo e gli animali, oltre a essere causa dell’endometriosi e di alterazioni dello sviluppo fisico. Gli effetti dannosi sono stati riscontrati a seguito del largo impiego di sostanze chimiche che producessero diossine. Gli eventi storicamente riconosciuti riguardano gli stabilimenti tedeschi della Basf che nel 1953 causò un’abbondante fuoriuscita di diossine causa di un vasto inquinamento con devastanti conseguenze alla salute umana e animale, così come durante la guerra del Vietnam dove, a fini bellici, s’impiegava un potente diserbante precursore delle diossine, che causò un’esponenziale nascita di bambini deformi e numerosi casi di cancro nella popolazione. Le evidenze scientifiche che hanno dimostrato il nesso fra la presenza di diossine nel suolo e l’incremento delle malattie nel nostro Paese, ebbero precise conferme dopo la copiosa fuga di diossine dallo stabilimento ICMESA di Meda, in Brianza, a seguito del quale i territori di Seveso furono contaminati tanto da indurre alla rimozione di grandi strati di terreno perché fosse in seguito bonificato. L’effetto sulla salute non tardò ad arrivare con la nascita di nuove generazioni ad alta incidenza di deficit fisici e intellettivi oltre a frequenti alterazioni della tiroide. Lo stesso avvenne nei pressi di Ventimiglia, dove la Ciba-Geigy (l’attuale Novartis) di Basilea abbandonò le scorie piuttosto che trattarle. Il caso, forse il più evidente, d’inquinamento del territorio da diossina, riguarda lo stabilimento Ilva di Taranto e gli effetti sulla salute umana e animale che esso provoca. Ciò che ha destato serie preoccupazioni in merito alla proroga dei valori ammissibili di fanghi depurati per l’impiego agricolo, tramite la proroga prevista dall’articolo 41 del Decreto Genova, è che le tolleranze ammesse sono notevolmente superiori ai valori di tossicità. I dati, infatti, si riferiscono a percentuali rilevate con metodi obsoleti tanto che quelli riferiti a Seveso, con le relative conseguenze, si sono dimostrati inferiori a quelli dell’Ilva di Taranto. Per ovviare a questa grave incoerenza, la Regione Puglia ha emanato la Legge Regionale 30 marzo 2009, n. 8 che fissa nuovi e più adeguati limiti per le emissioni. In concreto, dopo aver eseguito le relative equivalenze fra i valori di diossina in ng/m3 a quelli in ng/kg di terreno esaminato, risulta che l’articolo 41 del Decreto Genova, permetta l’impiego di fanghi contenenti diossina pari 25 ng/kg decisamente superiore a quanto indicato dalla Legge anti-diossina varata dalla Regione Puglia di 0,4 ng/m3 di tossicità equivalente (0,4 ng TEQ/Nm3) e dall'Istituto Superiore della Sanità che fissa a 4 ng/kg il limite della somma di diossine più PCB per i terreni da pascolo. Di fatto, tra il 2008 e il 2010 fu ordinato l’abbattimento di circa 3000 capi di bestiame allevati presso le aziende limitrofe all’Ilva di Taranto. Il caso più rappresentativo è quello dell’azienda gestita dalla famiglia Fornaro presso la quale fu riscontrato un valore di diossine pari a 10,1 ng/kg, condizione che impose l’abbattimento di oltre 500 ovini contaminati. Oltre ad aver causato un notevole e immediato danno economico, l’estesa zona contaminata ha pregiudicato la possibilità di proseguire l’attività zootecnica di svariate aziende. Ciò che determina perplessità è come sia possibile che il Decreto Genova, attraverso l’articolo 41, permetta l’impiego di fanghi in agricoltura con valori limite pari 25 ng/kg di diossine quando per quelli di 10,1 ng/kg è stato necessario l’abbattimento dei capi considerati contaminati così come tutti i terreni da pascolo. È inevitabile che sorgano dei dubbi sull’inserimento di questa norma. A giudicare dall’intero contenuto del D.L. 28 settembre 2018, n. 109, lacunoso e approssimato, si potrebbe ipotizzare che il governo promotore abbia avuto un’ispirazione ambientalista che, però è stata concretata in modo approssimativo come i restanti articoli del decreto. Volendo ipotizzare, invece, che l’articolo 41 sia stato scritto in quei termini con precise finalità, si potrebbe ipotizzare che esso favorisca interessi di parte e accolga le istanze di chi abbia la necessità di smaltire fanghi altamente contaminanti e dannosi per la salute pubblica. Non è attualmente possibile conoscere la versione esatta ma, valutando il permissivismo dell’attuale governo nei confronti dei nuovi gestori dello stabilimento Ilva di Taranto, la seconda ipotesi non è da escludere. Ciò che emerge è l’insostenibilità della condizione indicata dal decreto che, se dovesse permanere nella sua interezza, causerebbe nuovi danni alla salute pubblica insieme a un incremento di danno ambientale. Oltre a questo, l’attuazione dell’articolo 41 vanificherebbe gli innumerevoli sforzi della popolazione nel contrasto all’avvelenamento del suolo così come l’enorme impegno profuso dalle associazioni ambientaliste, i cittadini, gli imprenditori virtuosi e tutti coloro che tentano di contrastare la diffusione dell’inquinamento nel nostro Paese. Vogliamo immaginare che il governo, nell’entusiasmo di voler emanare il decreto, sia stato avventato e come per gli altri articoli, secondo la tradizione che lo distingue, abbia commesso più di un errore anche nel redigere l’articolo 41. L’importante è che se ne faccia ammenda rettificando la stortura commessa. L’eventuale perseverare nell’errore, causerebbe danni incalcolabili che finirebbero per delinearsi come veri e propri crimini. È sufficiente pensare che ciò che di dannoso sia immesso nella terra, è sempre restituito con gli interessi e, nel caso specifico, il prezzo sarebbe pagato in termini di vite umane e distruzione dell’ambiente. Ancora una volta siamo costretti a costatare che dove l’iniziativa privata cerchi di ottemperare alle mancanze del sistema, lo stesso tenda a opporre nuovi ostacoli o a distruggere quanto realizzato. Vincenzo Fornaro, ad esempio, dopo aver ricevuto l’ingente danno economico conseguente all’abbattimento dei suoi capi di bestiame, dovuto dalla dannosa gestione dell’Ilva, non si è arreso e, al contrario, ha convertito i suoi fondi alla coltivazione della canapa che, dopo lunghi studi condotti nei territori di Seveso, si è dimostrata un eccellente metodo naturale di bonifica dei terreni contaminati. Lo riaffermiamo, vogliamo auspicarci che quel decreto sia solo frutto dell’inesperienza, della buona fede e della necessità di offrire una risposta alle promesse elettorali, così come per il caso Ilva o quello della Tap, e che, quindi, un errore commesso nel passato e ripresentato nel presente, sia corretto prima che divenga l’ennesimo insuccesso che si traduce in un nuovo danno per la popolazione italiana. Chi vorrebbe avvelenarsi mentre si nutre o respira?

 



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