Preferisco la bellezza del silenzio.
E non vedo la necessità di frequentare persone se queste hanno poco da dirmi. Trovo straordinario riuscire a passeggiare in una strada solitaria, umida di freddo, poco illuminata, in cui ascolti solo il rumore del tuo passaggio, diventato proverbiale per rappresentare la solitudine. E non ascolti semplicemente la cadenza dei tuoi passi, a bene vedere osservi il tuoi pensieri. Anche i più nascosti, i pensieri resi invisibili dalla quotidianità, dalla confusione, dalla presenza fastidiosa delle parole inutili.
Per chi vive bene in solitudine, non ci può essere ossessione, né ansia da depressione. E’ un traguardo da raggiungere quanto prima, con la voglia di eliminare ogni ostacolo collocato fra te e il silenzio. La vita ti costringe alla gente, le regole sociali ti impongono il parlare, lo stare insieme, l’avere consuetudini. Dopodiché a me viene voglia di chiudere la porta su quel mondo per raggiungere i silenzi delle solitudini. Gli unici in grado di arricchire il tuo pensieri. In molti si preferisce condividere la vita con altri molti. Senza immaginare come tutti questi molti altri, sono altri da te. Sono altri da te, appunto. Sono lontani, surrogato esistenziale alla paura di restare soli. Dimenticando come la solitudine peggiore sia proprio quella, la solitudine fra molti. Perché è indispensabile divertirsi, perché è necessario parlare, perché non si può stare senza commentare, perché è bene esibire a voce alta, perché se ti fai ascoltare si ricorderanno di te, perché anche l’esistenza si misura in decibel, perché come si fa a stare in silenzio, perché nel silenzio mi viene la depressione, perché anche il trillo del cellulare è rassicurante, significa essere cercato da qualcuno, perché oramai siamo sommersi dal rumore.
La tradizione spirituale non solo cristiana ha sempre riconosciuto l’essenzialità del silenzio per una vita interiore autentica. «La preghiera – ha detto il Savonarola, che pur di discorsi appassionati ben si intendeva – ha per padre il silenzio e per madre la solitudine». Solo il silenzio, infatti, rende possibile l’ascolto, cioè l’accoglienza in sé non soltanto della parola pronunciata, ma anche della presenza di colui che parla. Il silenzio è linguaggio di amore, di profondità, di presenza all’altro. Ha scritto Romano Guardini: «Soltanto nel silenzio si realizza un’autentica conoscenza». Del resto, nell’esperienza amorosa il silenzio è spesso linguaggio molto più eloquente, intenso e comunicativo delle parole. Il Signore parla al cuore. Il silenzio di Dio non è per l’uomo un castigo, ma è richiamo profondo e sottile che sale dal di dentro del cuore. Prima di fare qualcosa per Dio, lui chiede di lasciarci amare.
L’adorazione è il “bocca a bocca” con Dio. È come l’esperienza dell’innamoramento, che indica qualcosa di coinvolgente, non puramente razionale, ma nemmeno irrazionale; il percepire che l’altro chiede una risposta totale e il disporsi a darla volentieri, con la testa e con il cuore.