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Diritto e musica: c'è un filo che lega le due discipline

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

15
FEB
2019
Potrebbe sembrare azzardato e ai limiti del possibile il confronto, ma chi l’ha detto che la cultura in tutte le sue forme non possa essere concatenata? Dall’assunto che uno sguardo “aperto” e “consapevole” sul mondo non può far altro che limitare la benda che copre i nostri occhi, possiamo affermare che la musica costituisce, al pari del diritto, una disciplina performativa e l’interpretazione è la chiave che lega le due discipline.
Infatti, l’interprete musicale, così come quello delle leggi, muove generalmente – con particolare riguardo alla musica classica – da un insieme di grafemi, ordinati secondo un programma intelligente da un compositore.
La comprensione del testo rappresenta uno stadio preliminare e servente rispetto alla sua messa in opera, ossia la traduzione in suoni di fronte ad un pubblico.
Come il giurista, anche il musicista deve risolvere difficili problemi ermeneutici, i quali reagiscono su un risultato esecutivo, rendendolo più o meno “coerente”, “originale”, “convincente”; o al contrario “incoerente”, “banale”, “non persuasivo”. Se il linguaggio attraverso il quale vengono redatti gli atti normativi è uno strumento altamente imperfetto ed impreciso, altrettanto lo è il sistema della notazione musicale. Non si può fare a meno di notare che il giurista-interprete assume una precisa responsabilità nei confronti del pubblico e specificamente nei confronti dei soggetti direttamente coinvolti dalle attività di interpretazione ed applicazione del diritto e delle leggi. Lo stesso accade, sebbene con diverse modalità ed implicazioni, per l’interprete musicale in relazione al suo pubblico. Diverse e contrapposte sono state le dottrine a favore o a sfavore del legame tra diritto e musica. Si può citare, per esempio, uno studio moderno condotto nel nord America da Jack M. Balkin e Sanford Levinson, all’interno del generale movimento chiamato “law and humanities”, dove la riflessione è condotta secondo le varianti di “law in music” (studio della rappresentazione del diritto e dei suoi attori nei testi messi in musica) e “law as music” (rilettura del fenomeno giuridico alla luce dei paradigmi della critica musicale, nella prospettiva di una teoria estetica del diritto). Sono, poi, svariate le pratiche istituzionali comuni al diritto e alla musica, nonché le contiguità culturali e le funzioni simboliche convergenti, racchiuse nello stesso vocabolo νÏŒμος che, come ci ricorda Platone, oltre al significato di “legge”, aveva anche quello di “canto”; non a caso uno dei primi e più noti esempi della fusione tra le discipline è rappresentata proprio dai νÏŒμοι cantati, germoglio di una pratica sviluppatasi nei secoli e presente ancora oggi, studiata e approfondita da numerosi studi di antropologia giuridica, che hanno dimostrato, ad esempio, come presso diverse comunità del nord America, le liti vengano risolte prevalentemente attraverso competizioni canore, dove la messa in musica del testo, rappresentano un fattore decisivo per la il giudizio, una sorta di “risoluzione non violenta delle controversie“.
Con un chiaro punto di partenza: l’umanità ha un bisogno assoluto e irrinunciabile del diritto, così come della musica. Il primo, per armonizzare reciprocamente le volontà degli uomini; la seconda, per conciliarli con se stessi.


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