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CRONACHE DI UN CONNESSO VIAGGIATORE/NEL PAESE DELL´ASCENSORE ROTTO, DOVE IL POTERE È ETERNO

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

9
GEN
2019

In primo luogo auguro a tutti i lettori di Extra Magazine e delle cronache di un connesso viaggiatore un buon 2019, felice e prospero. Riprendiamo il nostro cammino nel pieno di una vicenda che mi tocca assai da vicino, ma che allo stesso tempo è specchio della società italiana, ovvero una battaglia furibonda che parte dell’avvocatura italiana sta combattendo, contro un’altra fazione, perché molli il potere all’interno degli Ordini locali, dopo due mandati nel ruolo di Consigliere. Mi rendo conto che la questione potrebbe apparire tecnica o distante dai cittadini, ma in realtà non è così: il problema del ricambio, dell’alternanza, all’interno dei ruoli di rappresentanza, sta diventando sempre più pressante per bilanciare le degenerazioni delle nostre democrazie.
Non è più un segreto che in Italia il cosiddetto ascensore sociale si sia inceppato. Chi nasce ricco resta ricco, chi nasce povero rimane povero. Le possibilità di invertire un destino segnato dalla nascita si restringono sempre di più, mano a mano che il merito, il lavoro, il valore personale, vengono mortificati dalla rendita, dalla speculazione, dall’espediente truffaldino. I dati pubblicati dagli istituti demoscopici sono sconfortanti e raccontano di un’Italia ingessata, in cui l’impegno trova sempre minori ricompense, spingendo moltissimi, troppi cittadini, a confidare in una sorta di rassegnato fatalismo, perché si tende a pensare che sia tutto inutile, che comunque mettercela tutta non serva e non basti a costruire un futuro migliore, per sé e per la propria famiglia. Un tempo anche noi italiani avevamo la versione nazionalpopolare del sogno americano: era l’Italia del boom, del miracolo economico, che si spinse fino agli anni della Milano da bere, prima di pagare il conto con un declino che non accenna ad invertire la rotta.
Il lascito della degenerazione mediocratica e nepotistica del sistema Italia lo vediamo anche all’interno dei ruoli di rappresentanza: tutto ciò che un tempo era onorifico è diventato mercato. Tutto quello che un tempo non suscitava appetiti insaziabili, cede il passo alla difesa ossessiva di uno status da cui si cerca in ogni modo di trarre vantaggio. E’ quanto da anni accade anche all’interno degli Ordini professionali, dove le cariche hanno spesso fatto rima con gli incarichi, dove una finta retorica del sacrificio ha spinto eterni Consiglieri a ripresentarsi, per anni ed anni, spesso per interi decenni, fino a renderli un corpo unico con il mobilio e gli arredi delle stanze dei Consigli. E’ accaduto fino a quando la Corte di Cassazione, ancora una volta costretta a frenare appetiti privi di qualsiasi logica e giustificazione, è intervenuta con una sentenza destinata a scatenare il putiferio, almeno tra i togati: la “famigerata” n. 32781. Con questa pronuncia la massima magistratura italiana ha posto un freno immediato alla possibilità di una terza ricandidatura per i consiglieri che abbiano già svolto due mandati e cosa pensate che sia accaduto dopo questo precetto, volto ad ottenere un ricambio generazionale? Semplice: il finimondo. Scene di panico, eterni maggiorenti attaccati alle proprie sedie, uomini santi e pieni di volontà di servire la professione forense che proprio non riescono ad accettare la fine del faticoso impiego. Una sconfinata voglia di continuare a spendersi, a perderci, a rimetterci, che non ne vuol sapere di finire.
E’ dunque nel pieno di una battaglia di opinione, consumata a colpi di dichiarazioni, ricorsi, pressioni fatte e subite sul nostro parlamento, da chi spera che nulla cambi e da chi invece vorrebbe che tutto cambiasse, affinché tutto resti esattamente come ora, che rifletto sulle connessioni tra l’Italia bloccata, incapace di valorizzare i meriti, e la sclerotizzazione delle rendite di posizione. E’ il ruolo, ormai sempre più mefitico, delle asimmetrie di potere, che riporta l’homo nudus ad una dimensione medievale, debole ed insicura, della propria involuzione. E’ per questo che, vergate queste poche righe, torno immediatamente alla mia battaglia, perché il viaggio sia sempre rivolto al progresso comune. Perché, come continuo a ripetermi, come in una sorta di mantra, nessuno è veramente libero, se non siamo liberi tutti.



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