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Lo scollamento dei cittadini dalla giustizia (e di conseguenza dallo Stato)

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
APR
2019

L’assassinio del maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Di Gennaro e il ferimento del carabiniere Pasquale Casertano, avvenuti lo scorso 13 aprile a Cagnano Varano, piccolo centro del Gargano, per mano di Giuseppe Papantuono per una vendetta privata contro le Forze dell’Ordine, fanno emergere la logica di poter ricorrere a mezzi avulsi da qualsiasi sistema sociale per vedere soddisfatte le proprie ragioni, qualsiasi esse siano.

Nonostante gli sforzi profusi dalle Forze dell’Ordine e dalla Magistratura per reprimere la criminalità, è sempre più diffusa la mentalità criminosa anche in ambienti sociali apparentemente lontani dal crimine. Fra le ragioni c’è la perdita di stima nelle istituzioni così come la concreta difficoltà di fare ricorso alla legge anche per ottenere difesa o protezione da condizioni palesemente pericolose.

Appare, quindi, sempre più difficile distinguere i confini del malaffare dalla legalità sia per l’infiltrazione del primo in qualsiasi ambiente sociale che per la possibilità che legalità e giustizia non siano coincidenti. Sebbene debba essere assunto che la giustizia si amministri solo nelle aule dei tribunali, pertanto non è possibile giudicare all’esterno di esse, si assiste a un’eccessiva discrezionalità nell’assegnazione delle pene, tanto che, a causa di un’infinità di componenti, si possa assistere a disparità di trattamento.

Nella lotta al crimine, ad esempio per i reati di natura tributaria, si evidenzia come si attui un contrasto inesorabile verso i contribuenti parzialmente inadempienti o in errore, ivi compreso il sequestro di tutti i beni, mentre non si attui un serio contrasto nei confronti di chi fruisca di ampi proventi e benefici di beni di lusso anche non dichiarando alcun reddito. Sicuramente è più facile esaminare la situazione di un soggetto che dichiari la sua situazione patrimoniale da chi non lo fa per nulla ma, proprio per questo, l’azione dovrebbe essere concentrata su questi ultimi rispetto ai primi. Sono, chiaramente, carenti l’identificazione delle priorità e quella delle reali forme di malaffare. Di tutte le forme di malavita organizzata, ad esempio, si conoscono le caratteristiche, i tipi di crimini, perfino i nomi delle singole cosche mafiose ma non se ne riesce a operare un reale contrasto. Per comprendere come sia soggettiva la priorità nel combattere i diversi reati, è possibile esaminare le relazioni al Parlamento prodotte dal Ministero dell’Interno sull’attività delle Forze di Polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata incentrate su argomenti come il rapporto fra l’immigrazione e il crimine o l’eversione marxista-leninista e anarco-insurrezionalista, non concretamente calzanti con la realtà. Di fatto, e nonostante lo sforzo profuso dalle Forze dell’Ordine e la Magistratura, la criminalità e, peggio, la mentalità criminale, sono incredibilmente diffuse. A questo si aggiunge la scarsezza di esempi etici e di segnali positivi in molteplici ambienti sociali ivi compresi quelli religiosi, istituzionali, politici e del lavoro. Oltre alle forme repressive, quindi, non ci sono reali incentivi a perseguire azioni positive e utili alla comunità e a distinguere ciò che è giusto fare da quello che non lo è. La corrente induzione all’odio e la profonda divisione, ampiamente adottate negli ambienti istituzionali, non sono favorevoli per frenare la ricerca di giustizia attraverso la violenza.



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