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In sella con De Sica (e Chiarelli)

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

15
GIU
2012

 

La bicicletta è un segno di civiltà che però non credo faccia al mio caso. L’ultima volta che ci sono salita sopra è stata qualche anno fa, in una passeggiata a due ruote con Benvenuto Messia, fotografo neo ottantenne metà poeta metà ciclista, uno che sulla bicicletta ci sta a proprio agio come Lady Gaga sul palco, come il cacio sui maccheroni, come due gocce di Chanel su Marilyn: il confronto era drammaticamente impari e non ho potuto camminare per i successivi tre giorni.
La bicicletta presuppone un look adeguato: a parte quel vezzo un po’ esoterico del risvolto del pantalone sollevato in prossimità della catena, che fa assomigliare il ciclista a un iniziato della Carboneria, in effetti è impossibile pedalare con la gonna, a meno che non montare all’amazzone come la levatrice nella scena cult di Pane, amore e fantasia: lì però c’era il maresciallo Vittorio De Sica che non solo pedalava ma sussurrava parole galanti, il che la dice lunga sull’improbabilità del caso, visto che gli uomini non riescono a fare più cose contemporaneamente. O pedalano o sussurrano.  
A ogni modo, la bicicletta non fa per me perché non mi permetterebbe di trasportare tutte quelle moltitudini che affollano solitamente il bagagliaio della macchina di una donna. Il mio in particolare contiene: sacchi di differenziata che attendono di passare a miglior vita nei cassonetti appositi, sempre che si riescano a trovare entro distanze ragionevoli; scarpe di riserva caso mai ci si trovi nella necessità di scendere dai tacchi, che nella vita non si sa mai; buoni propositi di svago e di sport sotto forma di cap per equitazione mai usato; masse informi e dal letale contenuto batteriologico destinate alla lavanderia; conchiglie e sassolini, ricordo di un mare che negli ultimi anni ho visto giusto nei documentari di Quark. Senza contare che in bici non si può ascoltare musica, non si può cantare (sicuri del fatto che tanto non ci sente nessuno), non ci si può truccare, non si possono lasciare i capelli sciolti. Insomma, non possiedo una bicicletta e non credo che ne avrò mai una, specialmente in una città come Martina che in termini di discese ardite e risalite non si fa mancare proprio nulla. Potrei forse cambiare idea, a patto di trovare un simil De Sica galante che pedali per me, e sperando che in città vengano creati degli spazi adatti e più confortevoli per i ciclisti e per i pedoni. 
Sempre a proposito di due ruote, c’è chi adesso dovrà pedalare parecchio dopo avere fortissimamente voluto la bicicletta. Gianfranco Chiarelli, avvocato e consigliere regionale, è la dimostrazione vivente che quando si desidera fortemente qualcosa, anche se sembra irrealizzabile, alla fine si ottiene. Anche la mia gatta l’ha capito, e si mette a fissare la maniglia fino a quando –deus ex machine, potenza cerebrale o provvidenza divina – qualcuno non le apre la porta. Chiarelli ha dovuto fare qualcosa in più che limitarsi a fissare l’obiettivo, ma neanche più di tanto, visto che comunque il commissariamento del PdL cittadino gli era stato già promesso prima della deludente esperienza delle comunali. Ora, der kommissar Chiarelli ha molto da pedalare, pardon, da lavorare per ricostruire l’identità di un partito che – verità nuda e cruda – è uno scatolone vuoto in attesa non solo di indicazioni dall’alto, ma anche in cerca di una nuova identità locale che gli permetta di rivestire una maggiore autorevolezza rispetto a quella attuale. Affidare la guida del partito a Chiarelli è una soluzione che, seppure criticata in virtù della necessità di rinnovamento specialmente dopo la Caporetto amministrativa,  se non altro non può essere tacciata di ipocrisia, visto che comunque sarebbe stato facile per il consigliere delegare il compito a un esponente del partito giovane e di sua fiducia che di fatto avrebbe poi obbedito alle sue istruzioni (un dejà vù nella recente politica martinese).


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